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giacchè le intellettive si riferiscono ad una attività superiore. Il distacco quindi tra la conoscenza sensibile e la intellettiva non potrebbe essere nè più reciso, nè più irreconciliabile.

Nondimeno questo dualismo dell'attività conoscitiva, importantissimo dal lato storico, non pare sia stato rilevato o almeno abbastanza determinato dai critici. Non è nostro intendimento esporre la teorica della conoscenza secondo Anassagora (1), diciamo soltanto che riteniamo innegabile il riferimento della funzione del sentire all'anima; non si potrebbe di fatti spiegare la distinzione tra la conoscenza intellettiva e la sensibile, qualora si volesse riferire al noo anche la funzione del sentire. Lo Zeller (2) è indotto da un passo di Teofrasto a supporre che, probabilmente, secondo Anassagora, l'intelligenza era quella che percepiva ed i sensi non eran altro che organi della percezione. Ora nel passo citato (3), Teofrasto, dopo aver parlato di Clidemo, secondo il quale le orecchie non percepivano da per sè stesse

(1). Del resto ben poco si può dire riguardo alla conoscenza intellettiva e si può desumerlo dal framm. I. Mullach e dal framm. 25: Schaubach. Anassagora avea concepito i corpi come miscuglio di parti tenuissime, mescolate insieme siffattamente che un organo corporeo non potea percepirle come disgiunte e quindi non potea vedere l'oggetto nella sua purità. La conoscenza è quindi solo possibile per l'intelletto e non per i sensi. Per ciò che riguarda poi la conoscenza sensibile, la fonte principale è Teofrasto (De sensu et sensilibus = §. 27..... 39), il quale nei primi paragrafi sino al 31° espone la dottrina di Anassagora e dal 31° in poi ne fa la critica quasi su tutti i punti. (2) I. c., p. 909 e 910.

(3) V. n. precedente.

gli oggetti, ma trasmettevano la sensazione al vous, dice: però Clidemo non pose la mente, a simiglianza di Anassagora, come principio di tutte le cose (1). Da questa semplice osservazione, riferentesi più alla dottrina del noo, in generale, che alla relazione tra il noo e la sensibilità, a noi non pare si debba o si possa venire ad una conclusione così recisa. Tanto più che noi potremmo ricordare un altro passo dello stesso Teofrasto (2), là dove è detto che in noi inesistono tutte le cose (il dolce e l'amaro, il freddo ed il caldo, eсс.): пάντα уàρ évνñáρἐνυπάρχειν ἐν ἡμῖν. A che gioverebbe il νοῦς, che Anassagora dichiara impassibile, quando i due elementi necessarii e sufficienti alla conoscenza sensibile esistono assolutamente indipendenti dal medesimo? La distinzione quindi tra l'organo della conoscenza sensibile e quello della intellettiva, in Anassagora, a noi pare innegabile, così come a noi sembra non possa porsi in dubbio la distinzione tra il νοῦς e la Ψυχή.

SALVATORE FIMIANI.

(1) Teofr. 1. c. § 38. (2) Id. id. » 28.

BIBLIOGRAFIA

DOTT. PROF. R. BENZONI.

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attinenze coi principali sistemi moderni di filosofia. (Parte prima. Esame critico del concetto monistico e pluralistico del mondo). - Firenze, Loescher et Seeber, 1888.

Quando, in sullo scorcio del secolo passato, la filosofia, dopo un'epoca gloriosa, cadde in discredito, perchè aveva preteso spiegar l'ordine cosmico e quasi dar fondo a tutto l'universo, basandosi sopra concetti puri, senza il sussidio della esperienza e della storia, a molti parve che essa fosse una scienza tramontata per sempre, e tale da sopravvivere solo negli annali della storia. Tutti sanno che, dopo la morte di Hegel, il più grande rappresentante della scuola trascendentale tedesca, risuonò, per le facoltà universitarie della Germania, tarda eco della critica kantiana, il grido nicht keine metaphisik mehr; mentre dalla Francia si propagava contro la vecchia metafisica quel moto di reazione, che, con nomi nuovi di cose vecchie, si intitolò Positivismo e Naturalismo. Se non che, può ben dirsi morta e sepolta la metafisica dommatica, quella cioè che crede possedere il principio fondamentale della realtà, e che, mercè il solo esame logico delle categorie supreme del pensiero, pretende fare la scienza del mondo e giungere ad un concetto determinato ed universale del reale e delle sue forme fondamentali: metafisica vuota e puramente fantastica, sia pure esplicata con sottile dialettica. Ma la metafisica, come scienza che studia il fondamento comune ossia i principi uni

versali del sapere e quindi della realtà, e che, esaminando i risultati delle scienze particolari, paragonandoli fra loro, giudicandoli e interpretandoli con la scorta delle leggi fondamentali della intelligenza, cerca giungere al concetto più comprensivo ed elevato, più universale e compiuto che le condizioni del sapere in un dato tempo, ci permettono avere del mondo; in breve, la metafisica, come ultima fase della evoluzione progressiva dei concetti scientifici, quella che, secondo Bacone, è la cima di una piramide scientifica a base della quale figurano le scienze indagatrici e ordinatrici immediate dei fenomeni, non è morta nè morrà mai. Essa non può scomparire dal campo del sapere, poichè è l'espressione di un vero e forte bisogno tanto della scienza, quanto dello spirito umano: bisogno razionale non astratto, ma concreto, che è unito alle tre tendenze fondamentali della umana natura, cioè sentimento individuale, inclinazione ereditaria e consenso con l'ambiente sociale. Infatti, un impulso naturale ci spinge a raccogliere e congiungere insieme i risultati vari delle scienze in un concetto unico e sintetico del mondo e della realtà: e se possiamo eludere per un momento i grandi problemi dell'origine e della fine delle cose, non possiamo, però, mai rinunziarvi, poichè tali problemi non sono proposti da un'esterna sfinge, non nascono da una necessità esteriore, ma lo spirito stesso se li propone, quando, come disse Aristotele, i primi e immediati bisogni della vita sono soddisfatti. È poi un errore il credere che la metafisica, intesa nel senso sopra accennato, sia resa impossibile dalla Critica di Kant: la negazione kantiana della metafisica è, anzi, la conferma della sua necessità. Kant à modificato il senso, il valore, l'ufficio della metafisica, non l'à distrutta, nè poteva distruggerla. Le sue tre Critiche, come le altre sue opere che a quelle si legano, contengono tutta una metafisica. Una metafisica, più o meno esplicita, più o meno positiva, ànno tutte le scuole filosofiche che si succedettero dopo Kant; e le stesse scuole positive costruirono, sulle rovine della prima, una nuova metafisica, non di buona lega, poichè, sòrte per correggere l'abuso della filosofia precedente, lo esagerarono, sostituendo all'idealismo trascendentale l'empirismo assoluto, ed astratteggiando l'esperienza, come quella aveva astratteggiati

i principi della ragion pura. Che se vi fu mai, nell'evoluzione del pensiero umano, un periodo, nel quale le questioni del donde, come e perchè abbiano occupato un posto eminente nelle meditazioni individuali e nelle discussioni pubbliche, è il periodo che ora attraversiamo. Onde avviene oggi che questa scienza detronizzata, la metafisica, mostra per tutti i segni di risorgere, poichè in nessun tempo forse vi furono condizioni così favorevoli alla sua vita feconda come nel nostro. Per questo noi assistiamo, dice il Chiappelli, ad un fatto notevole, che la tendenza alla sintesi filosofica risorge in seno a quelle stesse discipline che le si eran mostrate più aperte nemiche, le scienze fisiche. Mentre al principio del secolo lo Schiller invocava ragionevolmente la separazione tra la filosofia e le ricerche della natura, sono pochi anni che lo Zöllern, illustre matematico e astronomo, le rassomigliava a due amanti che, dopo lungo e penoso dissenso, ammaestrati dall'esperienza, finalmente riconoscono il loro mutuo torto, e, presi da irresistibile desiderio, si stringono la mano in vincolo eterno, dal quale uscirà nel secolo venturo, una nuova e più grande intuizione del mondo.

Orbene, dopo le fasi ora splendide ora oscure della filosofia, dopo le lunghe lotte e i perenni dissidii tra i filosofi e tra essi e i cultori delle scienze sperimentali, l'accordo sospirato, il connubio presagito dallo Zöllern è cominciato. Oggi filosofi e scienziati, a qualunque scuola appartengano, come riconoscono l'impossibilità di rinunziare alla ricerca delle ragioni supreme dell'universo e l'infinito del nostro ideale, così ammettono la necessità del sussidio scambievole tra la filosofia e le scienze della natura, perchè si possa arrivare ad una concezione generale del Cosmo. Tutti ammettono quindi a) che l'obbietto della speculazione metafisica è la sintesi universale dello scibile umano, la ricostruzione ragionata del mondo; b) che tale sintesi ideale è impossibile, se la materia di essa non è desunta dai resultati delle scienze sperimentali; c) che se le scienze fisiche e biologiche vogliono preparare un nuovo concetto scientifico del mondo, questo deve essere di mano in mano cimentato alla stregua di una severa critica della conoscenza, da cui, come disse l'Helmotz, la scienza non sottrae giammai impunemente.

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