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ben tosto si dava opera a rialzare alquanto la ragione. Av veniva, nel caso, ciò che si è osservato quanto alla negazione ed affermazione della filosofia. Si la filosofia e si la ragione venivano, poverine, trattate come due fanciulle: ora shiaffeg. giate, ed ora accarezzate.

Una filosofia teologica avrà raggiunto almeno una chiara conoscenza della Divinità: nulla di più errato. La confusione, l'incertezza è qui massima per il mescolarsi delle tradizioni bibliche, chiesastiche, filosofiche che s'urtano, s'incrociano, si riuniscono senza conciliarsi mai. La Patristica e la Scolastica si sforzano senza riuscir a buoni effetti. Il Labanca dimostra la tesi con larga ed estesa copia di citazioni, passando al solito in rassegna i Padri e Dottori. In tutti si ebbero delle ineertezze e incoerenze quanto al modo onde sia Dio conoscibile e concepibile. L'illusione infantile d'entrambi consisteva in credere che si conosca Dio; ora a quella maniera che il fanciullo stima che il cielo possa toccarsi col dito e ne siano confini l'orizzonte che circonda i suoi occhi; ed ora che non si conosca in modo alcuno, fantasticando alla guisa di chi sogna, un altro cielo al di là del mondo, nel quale Dio avrebbe dovuto giacere in eterno letargo. Non mai si domandava con la critica conto di quello che vale l'umana coscienza, per staccarsi da simili mistiche illusioni.

La filosofia Cristiana, avendo delle relazioni con la filosofia antica, può dirsi platonica, o aristotelica, o eccletica. Il Cap IX risponde a questo ammettendo certi influssi, col Baur ritenendo maggiori quelli del platonismo, negando recisamente però che le due scuole siano state aristoteliche o platoniche. Essa volle essere primieramente e in modo assoluto cristiana; cioè a dire filosofia che tutto sottopone a Cristo, anche Platone e Aristotele, finché ci si prestano, altrimenti rinnega tutti a nome di Cristo stesso. I Padri conobbero Platone in modo indiretto e ne accettarono le dottrine, non per sè stesse, ma in quanto servivano a ciò che di divino e di spirituale a loro dilettava. Gli Scolastici cristianeggiarono Aristotele; non fecero diventare aristotelica la filosofia cristiana. Il nome che più convenga a simile filosofia è l' eccletismo; per esso qualunque libertà andava all'aria: rassomigliava alla ge

rarchia chiesastica in cui ascendendo si va dai preti ai vescovi e da questi al papa; così nell' eccletismo cristiano ascendesi dai filosofi agli apostoli, da questi a Cristo ed alla Chiesa. Laonde simile filosofia può dirsi eccletica non ad usum Platonis, aut Aristotelis, sed ad usum Christi, o, più storicamente vero, ad usum Ecclesiae.

Sicchè l'ufficio della filosofia cristiana nella storia del pensiero fu secondario, se servi a conservare lo spirito di ricerca e di studio, necessario a qualunque sapere filosofico, di qualunque natura sia. La Scolastica ha giovato più della Patristica. Poco a poco però anche essa andò estenuandosi, mentre il pensiero, aiutato dal rifiorire degli studi classici, ripigliava la dritta via, che era smarrita. La filosofia moderna, la quale sorse sostanziandosi nell'inter res, non volle più sapere nè dell' inesse scolastico, nè dell'anteesse patristico. La separazione fini in nimicizia.

Qui il nostro autore imprende uno studio larghissimo sui principali filosofi moderni per dimostrare questa graduale e risoluta rivolta della filosofia contro la teologia, per negare la perennità della filosofia Cristiana, e per concludere che va a ritroso della storia che crede possibile rinnovamento. Essa è un fatto storico, come tale va studiato per vedere ciò che fu e conoscere quanto fece.

Il nostro secolo, storico per eccellenza, ciò ha compreso, e studia la storia rendendole la giustizia negata in altri tempi, restaurando la verità al suo posto, spostata da inconsulte apoteosi. Di qui un fatto: il dubbio nei sec. XV e XVI s'atteggiò ad apatia ed indifferenza, nel XVII e XVIII fu negativo ed aggressivo; nella prima metà del XIX si pose ad un lavoro di trasformione e d'assimilazione. Il che ha condotto a concludere che la filosofia non può, nè deve dividersi dalla reli gione, considerata sempre nel significato storico. Se lo facesse, peggio per lei; in gran parte s'ammalerebbe e diverrebbe, a così dire, un caput mortuum. La filosofia deve considerare la religione come fatto accaduto, accompagnato da tutti i temi che vi si congiungono, sopratutto da quello che oggi predomina nella storia, al disopra d'ogni altro, la verità, cioè, di ciò che accadde ed accade. « Adunque rispetto alla

ANNO IV. VOL. I.

DISP. I.

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religione cristiana, vedesi chiaro che la filosofia nell'evo moderno ha il dovere di studiarla dal lato storico; mentre nel medioevo se ne occupò nel suo organismo di dogmi o difiniti o da definire della Chiesa, aggiungendo a ciò un ossequio grandissimo verso l'autorità chiesastica. In tale stato di cose la filosofia cristiana, nel modo onde fu dai più coltivata, può giustificarsi ed ancora ammirarsi per molti benefici resi all'umanità». Oggi le parti sono mutate o meglio capovolte. Per conseguenza è ingiusto rimproverarli di negare la filosofia cristiana, così come fu coltivata con grande amore dai Padri e dai Dottori della Chiesa; quando il sapere ed il vivere dominanti intorno a loro l'hanno negato e, che è più, da lunghissima pezza.

II.

L'opera del Labanca è lodevolissima in quanto la vediamo dedicata a risvegliare la coscienza religiosa nelle classi addottrinate, nella stessa scuola positiva, dove poco si cura e meno si valuta. Il dispregiare le credenze come cosa superstiziosa, l'atteggiarsi ad un' aristocrazia di Dei che se ne sente superiore, sarà cosa buona a soddisfare il proprio orgoglio, non a modificare la coltura, sarà il fare gli interessi di chi brama dormire addormentando nel proprio sonno, lasciando che nell'ordine della realtà filosofo significhi sempre ingenuo. Il sentimento religioso, rampollando dalla nostra coscienza, non potrà mai ammirare, nè venerare se non ciò che la conoscenza riconosce vero, nei modi e nelle forme da essa intese. Quindi ogni volta ci sarà contradizione fra l'ideale religioso e gli intendimenti della ragione, avremo lo scetticismo, l'ipocrisia e l'indifferenza. Disgraziatamente in generale la nostra religione è tutta qui; e ciò per una certa tendenza del nostro carattere.

Se si parla del potere temporale, di Roma capitale d'Italia, tutti se ne interessano con entusiasmo, appena però s'entra a discorrere se il papato corrisponda alla coscienza religiosa, e se nel domma stesso non vi sia nulla da rinnovare, l'entusiasmo sparisce, comincia l'impazienza; chi non trova utile, chi non

vede opportuno arrovellarsi per cose di fede. Ragionate di fede commerciale e vedrete con che cautela ne scrutano i titoli, vanno a fondo per scoprirne coi minimi accidenti anche la parte sostanziale; ma in fatto di religione il poter dire a Messer Domeneddio: io muoio nella fede in cui mi facesti nascere, è un argomento che gli italiani hanno sempre trovato bello da Giovanni Boccaccio in poi. Nè i nostri padri latini la pensarono diversamete: quando vidèro venire a Roma gli Dei e le religioni degli altri popoli, le proscrissero; ma appena s'accorsero di potere star d'accordo, gli ospitarono, anzi non gli parve vero ammirarli vistiti nelle fogge nazionali rendere splendere al Dio degli Dei, Cesare Augusto. Venne il Cristianesimo e non volle sapere di simil soggezione: io sono la verità, disse, e non m'inchino a menzogne. I latini concordi cercarono soffocare l'audace, non perchè intrinsecamente lo giudicassero falso, ma per il non volersi inginocchiare ai piè dell'Alma Mater; appena videro in esso il mezzo per riacquistare la potenza rapita dall'Oriente, lo abbracciarono, lo sostennero e lo mutarono in un impero religioso.

I riformatori ebbero sempre poca fortuna in Italia; quando si ammirarono, si compassionarono come persone più fanatiche che sagge. Il Machiavelli dà la colpa al papato di simile indifferenza e di tanto empirismo; noi, che del papato non facciamo nulla che esca dalle condizioni storiche, crediamo che egli abbia più ricevuto che donato al carattere latino. Il Pomponazzi ebbe l'arditezza di negar l'immortalità dell'anima, dichiarando da buon latino di crederla per argomento di fede. Ed egli quando pensava a quel problema non poteva dormire! Immaginiamoci come ci avranno pensato l'Ariosto, il Poliziano, il Magnifico Leone X per citare non i, peggiori del cinquecento. Oggi è lo stesso: gli evoluzionisti posson veder in questo come il carattere italiano in più di due migliaia d'anni non abbia fatto la più minima molificazione: rispetto al problema religioso il latino della Camera de' Deputati è lo stesso di quello che sedeva nel Senato ai tempi d'Appio e degli Scipioni, o che chiacchierava fra il Cusano, l'Acciaiuoli e Cosimo in bottega di Vespasiano da Bisticci. Volete vederli appassionarsi? Proponete di far cittadini gli italici, ragionate del sistema di vota

zione, discorrete dei confini dello Stato Pontificio, o della necessità di sostituire un Ministro di Destra ad uno di Sinistra; ma se vi mettete a discutere della ragionevolezza degli Auguri e del Sillabo è miracolo se vi si ascolta. Riconosciamo essere il sentimento religioso qual cosa di positivo e di sostanziale alla nostra natura, abbiamo paura a toccarlo, a vederlo mescolato a tutti gli interessi non ci par vero uscir d'imbarazzo col lasciar correre. Così ci lasciamo giuocare da una casta di furbi. Cercar di correggere questo lato difettoso del carattere, oggi e sempre, è opera di scienza e di patriottismo. Il Labanca ci si è messo di proposito; ha studiato il problema per lungo e per largo, lo ha discusso liberamente con una coltura individuale, un'acutezza pari alla dottrina. Però il credere che la religione rispetto alla filosofia sia un problema da discutersi più che una verità da spiegarsi, e il cristianesimo valutare come un fatto transitorio sorto ad infrenare, anzi a contraddire le libere manifestazioni del pensiero; il non aver fatto un'esame sul carattere dei nuovi popoli e dei nuovi ceti ed anco delle nuove condizioni in cui si trovarono gli uomini nel medioevo gli ha impedito di chiarire bene quello che fosse la Religione e la Filosofia cristiana in sè e nelle relazioni storiche fra l'autorità e l'evo moderno.

La sostanza del libro è questa: Il Cristianesimo non fu capace di produrre nel suo seno una filosofia, perchè non seppe possederla nell'età sua più splendida. A noi pare anzitutto che in uno studio storico si debba distinguere il Cristanesimo, che è un avvenimento umano, dal Cattolicismo, che è cosa puramente latina e, ci si permetta di dirlo, più intimamente legata all'antichità pagana che alla parte veramente santa e originale della cristiana. Però vuolsi avvertire che il Cattolicismo medioevale è ben diverso dall'odierno; ai tempi dei Concili e dei Comuni, fra S. Gerolamo e S. Agostino, fra S. Tommaso e Dante, fra Abelardo e Scoto il Sillabo non è stato possibile. La Filosofia moderna non vuol sapere di dottrine medioevali, nè d'idee chiesastiche: e va bene. Ma chi può negare che essa è sorta e si svolge nel loro seno?

La religione oggi s'è separata dalla filosofia nell'ordine forraale, dottrinario, però nell'unità della coscienza continuano a

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