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II.

Posizione del problema capitale della Scolastica.

Tutta la filosofia scolastica si aggira, abbiamo già detto, quasi per intero circa una sola quistione, ma tale, che, se non contiene in modo aperto tutte le altre, a tutte più o meno si riferisce direttamente; e siccome io spirito umano, indagando il perchè delle cose, passa facilmente da una ad altra relazione intermedia fra le cose stesse, così la Scolastica, trattando la sua quistione capitale, ha potuto distendersi per quanto è vasto il campo della filosofia, e principalmente industriarsi a chiarire le ragioni scientifiche dei dommi religiosi a lei già posti innanzi dalle discussioni teologiche tra i Padri della Chiesa e gli eretici. Ma come mai la stessa quistione è nata ?

La Chiesa si era curata molto di quello che si potrebbe dire metafisica e morale religiosa, ma aveva trascurata la psicologia e la logica, che non appartengono propriamente al corpo delle dottriue costituenti ciò che Aristotele chiamava Scienza prima, ma sono, prese insieme, necessaria introduzione a queste discipline. Per ciò, quando le menti speculative sentirono il bisogno di ricercare il valore scientifico dei dommi religiosi, esse dovettero anzitutto occuparsi di siffatta introduzione, nella quale, a dir vero, sotto il nome di dialettica o di logica, comprendevano tutte le discipline filosofiche.

Allora, correndo per le mani parecchie trattazioni di Aristotele, fra le quali l'Organon e i libri De Anima, gli studiosi si volsero ad esse, sperando di ricavarne i lumi necessarii a fine di risolvere qualunque quistione intorno la natura, l'origine ed il fine delle cose.

Fortuna volle che fin dal principio gli Scolastici si accorgessero dell'importanza gravissima di un problema da Aristotele avvertito in più luoghi delle sue opere, e lo trovassero perspicuamente enunciato nell'Isagoge di Porfirio, benchè questo filosofo neoplatonico non si fosse accinto a risolverlo.

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Eccone le testuali espressioni: « A fine di comprendere « la dottrina delle categorie di Aristotele, essendo, o << Crisaore, necessario sapere quello che è il genere, la << differenza, la specie, il proprio e l'accidente; e la co<< gnizione di queste cose tornando utile così per istabi<< lire le definizioni, come per determinare le condizioni « della divisione e della dimostrazione, mi studierò << di dirti brevemente ed in forma d'introduzione quello « che gli antichi hanno insegnato intorno questo sog« getto; ma quì mi asterrò dall'entrare nelle quistioni << troppo alte, anzi toccherò solamente di quelle più « semplici. Pertanto io tralascierò di esaminare se i ge« neri e le specie sussistano, ovvero consistano sola«mente in pensieri; se, quando fossero sussistenti, sa«rebbero corporei; in ultimo, se esistano separati dagli < oggetti sensibili, ovvero si trovino in questi oggetti, «e formino con essi alcun che di coesistente. È questo << affare troppo grave, e richiede ricerche troppo vaste. »

In questo passo sono comprese tre quistioni che con

viene distinguere bene fra loro, affinchè ci poniamo, da una parte, nel punto di vista generale e comune agli Scolastici, e dall'altra nelle vedute speciali ed opposte dei Reali e dei Nominali, tra i quali la disputa si è andata via via maggiormente accenden o, alimentata com'era da equivoci che la speculazione medievale non poteva dissipare.

La prima di tali quistioni vuol essere espressa dicendo: Giacchè le parole genere e specie hanno per la mente umana significazione determinata, è lecito chiedere se quello che entra nella definizione del genere, cioè tale, o tal altro genere, si trovi al di là della mente stessa, vale a dire sia una realità distinta da qualsivoglia altra, sia per se stessa una vera entità.

La seconda quistione dovrà essere enunciata così: Dato che i generi e le specie abbiano realità objettiva, quale ne sarà il modo di esistenza ?

La terza quistione sarà quindi esposta come segue: La specie, sia essa, ovvero non sia un corpo, quando venga dimostrato che è una cosa, e che la tal cosa è specie objettiva, è ella estrinseca agli oggetti sensibili, si trova cioè fuori degli individui, i quali si affacciano ai sensi, oppure questa cosa, che è la specie, è dessa reale solamente in seno agli individui ?

Siffatte quistioni hanno occupate per circa sei secoli le Scuole, senza che ad alcuna sia venuto fatto di risolverle, a motivo che tutte mancavano dei loro veri principii risolutivi.

Il primo peraltro che siasi accorto dell'importanza del problema posto da Porfirio fu uno dei due ultimi

rappresentanti della letteratura classica, il quale tanto cara doyeva pagare la cura di romanizzare il suo barbaro Signore; e fu anche lo stesso Boezio che primamente si diede a risolverlo. Se non che il tentativo di questo filosofo, che oscillava tra la gnoseologia di Platone e quella di Aristotele, fu appunto il pomo della discordia fra i Nominali ed i Reali, perchè la risoluzione delle tre quistioni da lui fornita e creduta decisiva conteneva molti equivoci, dai quali provennero poi interpretazioui fra loro diametralmente opposte. Ad ogni modo comuni erano agli Scolastici il concetto dell'importanza capitale del problema da Porfirio abbandonato, il presentimento della possibilità di risolverlo e la veduta generale da cui muovevano per conseguire lo scopo, cioè la dottrina ontologica dello Stagirita.

Anzitutto conviene osservare che i Dottori dell'evo medio non potevano, come aveva fatto Porfirio, trascu rare il grave problema, perchè, altramente adoperando, avrebbero posto in non cale l'intiera metafisica, e questa appunto non poteva da loro essere negletta, perciocchè va connessa intimamente colla speculazione religiosa dalla quale precisamente avevano prese le mosse per costituire in modo scientifico la filosofia. Perciò si capisce benissimo come i filosofi scolastici dal punto di vista in cui si sono fin dal principio trovati rilevassero che il problema della natura degli Universali implica molte altre quistioni, massimamente ontologiche, e che lo speculatore, secondo il primo passo che fa, viene da logica inesorabile su varie e fra loro opposte vie trascinato. Ciò non ostante per loro tutti era gioco forza par

tire dal filosofema aristotelico, il quale dice che materia della scienza è l'Essere; ed infatti eglino si fecero anzitutto a scrutare l'essenza dell'Ente.

Se non che, muovendo da questo punto, agli Scolastici subito si affacciarono due ipotesi fra loro contrarię. E di vero, se l'Ente viene definito per ciò che v'ha di più generale, non basta cercarne la natura nelle specie e nei generi, i quali sono entità subordinate; ma bisogna salire fino al genere massimo, che tutti li contiene e non è più da altro contenuto. Ora, questo genere generalissimo ed unico debb'essere necessariamente l'ENTE ASSOLUTO. Se poi l'Ente è preso per ciò che è meno generale, vale a dire per quello che è individuale, bisogna cercarlo al dissotto delle specie, le quali sono ancora divisibili nella moltitudine delle cose più speciali, e fermarsi solamente all'INDIVIDUO propriamente detto.

Questo è il bivio in capo al quale la speculazione del medio evo si è trovata, e per il quale fu divisa in due scuole fra loro opposte, che dovettero combattersi, sempre più divergere fra loro, e giungere perfino a conseguenze ugualmente condannate dall'autorità ecclesiastica, quantunque entrambe fossero entrate nella lizza animate dal medesimo principio religioso, e loro comune fosse l'intendimento filosofico. Coloro i quali scorgevano nell'Uno assoluto l'origine della realtà sostanziale furono detti Reali; e dai lori aversarii vennero incolpati di realizzare una mera astrazione. All'incontro ebbero appellazione di Nominali quegli altri che, quantunque non negassero le relazioni di somiglianza intercedenti fra le cose numerabili, non ammettevano che tra

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