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della mano e del braccio, comunicati alla penna, ed atti ad estrinsecare sulla carta quella serie di segni rispondenti agli elementi delle parole, dalla cui connessione queste nascono. Da ciò si comprende come la scrittura sia una funzione molto più complessa che non il leggere od il parlare; giacchè queste due ultime funzioni sono un presupposto ed una necessità per essa.

Non si può perciò scrivere senza avere presente nel campo interiore psichico e l'immagine delle cose di cui si scrive, e le parole udite che loro corrispondono, e l'immagine dei movimenti necessari a rendere le parole udite, e l'immagine impressa delle parole, ed i movimenti centrifughi atti ad estrinsecare sulla carta queste stesse immagini. Se una o più di queste condizioni mancano non si avrà la scrittura come funzione psicologica compiuta ed autonoma, quantunque si possano allora avere forme di scrittura inferiori a queste; o puó essere completamente sospesa questa funzione. Così si può copiare anche da chi ignori il significato dei segni e delle parole impresse, come si può copiare conoscendo i segni che compongono la parola scritta senza sapere a quale cosa corrisponda; e si può scrivere sotto dettatura traducendo in segni grafici le parole udite senza intenderne il significato. Ma se manca la ricordanza delle parole udite e dei movimenti interiori necessari per estrinsecare colla parola parlata la parola udita, come è impossibile il linguaggio fonico, anche la scrittura è impossibile, quantunque si possa allora copiare. E, se manca la ricordanza del valore dei segni impressi e la memoria dei movimenti necessari per estrinsecarli sulla carta, anche la scrittura non può effettuarsi.

Se queste sono le condizioni necessarie ed indispensabili per la scrittura, in quanto alta e perfetta funzione psichica, è chiaro come esse debbano essere tenute di mira dal maestro quando avvia alla scrittura i bambini. Egli deve insistere

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molto perchè nell'animo del bambino acquistino una connessione intima le condizioni psicologiche accennate e che sono indispensabili per la scrittura come funzione compiuta.

Ma questo lavorio di associazione deve essere prima preceduto da un lavorio puramente meccanico, preparativo, mediante cui il bambino acquista la facilità ad eseguire da prima i movimenti più elementari del braccio e della mano, atti a rendere i segni che entrano come elementi nei segni scritti più complessi; e questi segni elementari sono la linea retta e la linea curva. Dopo che queste linee sono eseguite in tutti i modi possibili e con facilità dalla mano, si passa a far rendere sulla carta gradatamente le vocali e le consonanti, dalle più facili alle più difficili; e poi si passa al lavorio articolato delle sillabe per scrivere le parole. Ed è chiaro che dopo un lungo e prolungato esercizio di articolazione grafica si è atti a raggiungere il grado di coordinazione grafica che implica un grande lavorio di movimenti ed insieme di memoria di movimenti e di segni impressi, rispondenti a segni sonori e fonici.

E, poichè i segni che comunemente si scrivono non corrispondono che imperfettamente ai segni impressi mediante la stampa sulla carta, nell'animo del bambino bisogna fare associare i segni scritti ai segni stampati. E quando ai segni che si scrivono si danno forme simmetriche ed armoniche e si dà allo scritto una forma artistica, si ha così quel che si dice calligrafia.

Ma poichè queste ultime e così elevate funzioni di scrittura coordinata non si raggiungono che alcuni anni dopo che il bambino ha principiato a scrivere, e perciò, quando si possono eseguire anche imperfettamente, è allora il tempo per fare associare queste funzioni agli altri fatti psichici predetti.

Se non possiamo principiare ad avviare il bambino alla lettura se prima non pronunzia bene le parole e se è ancora

vero che è impossibile fare scrivere al bambino un segno rispondente a quel dato suono od a quella data voce, se prima non ha visto il segno e non gli ha attribuito quel dato speciale valore (per cui in massima è impossibile scrivere se prima non si sa leggere), d'altra parte è bene avviare il bambino alla scrittura anche prima che abbia raggiunto la perfezione nella lettura. Così la funzione espressiva grafica dei segni si unisce alla interpretazione dei segni, e queste due funzioni si completano l'una l'altra.

N. R. D'ALFONSO.

IL SUICIDIO IN PLATONE

I.

Fra i libri vecchi, destinati ormai ad esser rosi dai tarli delle bibilioteche, ce n'è uno (e ce ne sarebbero pur tanti altri), che per il nome dell'autore, pel suo contenuto, ed anche pel tempo, in cui fu pubblicato, è ben degno d'essere consultato dallo studioso delle discipline filosofiche.

È questa l'opera che ha per titolo: Istoria critica e filosofica del suicidio ragionato di Agatopisto Cromaziano (1).

Gli scrittori ormai vecchi del secolo passato (e quasi tutti ci paiono vecchi e sono dimenticati, tranne i pochissimi che vanno per la maggiore) ebbero il merito grande dell'analisi minuta, della raccolta il più delle volte indigesta, ma quasi sempre ordinata e coscienziosa di un gran numero di fatti, dello studio amoroso su tutto il materiale lasciato dai secoli precedenti; solamente in generale mancò loro la potenza della sintesi, il lume della critica oggettiva, il riscontro continuo delle fonti non sempre pure e genuine. Ora noi, cresciuti in un tempo nel quale il dente d'una critica di soverchio demolitrice ha sgretolato, e in gran parte già demolito l'edifizio lascia

(1) lo possiedo l'edizione di V. Giuntini, Lucca, 1761. Questo libro oggi s'è fatto piuttosto raro.

toci dalle età passate, lungi dal sogghignare dinanzi alle opere ponderose dei nostri vecchi, noi, dico, purchè si voglia ricostruṛre qualche cosa di nuovo, dobbiamo riandare con amore quel passato, e pigliare da esso tutto quello che c'è di buono, e non è poco davvero; convien che tra quelle sferre sappiamo scoprire i pezzettini d'oro, come il buon Virgilio trovava le perle tra le scorie di Ennio (2).

Agatopisto Cromaziano (3) è il pseudonimo (i pastori arcadi ebbero falso anche il nome) di Appiano Buonafede (1719-1793), uno degli uomini più eruditi del suo tempo, generale dei PP. Celestini, socio dell'Arcadia, autore di una serqua di opere, che sono tutte dimenticate oggi, e furono variamente apprez zate dai contemporanei, uomo contro cui fischiarono più forti e più frequenti le frustate di quel bizzarro ed iracondo spirito piemontese, che fu Giuseppe Baretti (4).

Ma non è qui che si deve trattare delle opere di Appiano (5), accennerò solo a quella che è fra le principali, e ha dato origine a questo scritto.

L'autore ha voluto chiamare filosofica e critica la sua storia del suicidio, ma, a dir vero, nei nove capitoli in cui tutta l'opera è divisa, di filosofia e di critica non c'è gran cosa. Precede una buona raccolta di fatti riguardanti il suicidio presso alcuni popoli della terra (c. I e II) e nei sistemi filosofici

(2) I passi imitati da Ennio furono raccolti dal grammatico A. T. Macrobio, fiorito nei primi anni del V sec. d. C.

(3) Agatopisto vuol essere versione letterale di Buonafede; Cromaziano verrebbe da Cromazio, che fu un compagno di Diomede, e pare fondasse Comacchio, patria di Appiano.

(4) Sono otto discorsi, altrettante invettive personali, che scaraventa il Baretti contro Appiano (Frusta Lett. pag. 23-113 ediz. 3a Milano, Sirtori, 1805, tomo 3°; qui solo una volta è nominato il « suicidio » di Appiano) causati da un suo primo articolo, non indegno compagno dei seguenti (idem, 1804, tomo 2°, pag. 109-114).

(5) V. Mazzuchelli, scritt. d'Italia, vol. II., art. Buonafede.

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