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in tesi generale il suicidio non solo, ma se ne indichino ancora i casi speciali, che si ridurrebbero ai tre seguenti: 1° se una legge della città abbia stabilita la pena di morte, non deve il condannato sottrarvisi, ma fare invece del suo meglio perchè la sentenza abbia effetto, uccidendosi anche da sẻ medesimo, quando occorra; 2° se qualche grave accidente costringa uno alla morte, deve egli non già fuggirla, ma sobbarcarvisi volontariamente; 3° se una turpe ed inevitabile ignominia cada su alcuno, se ne liberi tosto col suicidio.

Nel triplice caso adunque di una dix della città, di una Tú improvvisa, di un'aisyóv inevitabile Platone impone il suicidio.

È bello qui mettere a riscontro queste parole delle leggi colle altre già più volte citate del Fedone, dove certamente è meno chiaro e meno esteso il precetto del suicidio. Torna anche qui il concetto dell'assoluta obbedienza alle leggi della città, che domina tutto il Critone, e fa capolino qua e là nel Fedone, anche qui torna il concetto dell' ¿váyxŋ in quel suo participio ἀναγκασθείς, solo che mentre nel Fedone l' ἀνάγκη era tutta divina, nelle Leggi poi non è in modo alcuno specificata.

Inoltre nello stesso libro delle Leggi (80) si accenna ancora ad un altro caso in cui è doveroso il suicidio, si dà infatti per consiglio esplicito il togliersi addirittura la vita (anaλhátтou tou Biov), prima di commettere un peccato di sacrilegio.

Tralascio qui altri passi delle Leggi, dove non meno che nel Fedone, si parla con gran disprezzo del corpo (81).

Ora facilmente mi spiego come Catone e Cleombroto, letto e riletto il Fedone si uccidessero di gran voglia, loro, che al

(80) 854-B.

(81) V. anche il 407-С. del л. лóλews già citato da Olimpiodoro.

postutto erano due seguaci convinti di due scuole filosofiche, che al suicidio fecero sempre buon viso, la stoica e la cirenaica; ora facilmente mi spiego perchè si dovette credere una volta come non fossero punto in opposizione tra loro Fedone e suicidio, nonostante l'apparente divieto del suicidio contenuto appunto nel dialogo.

È forse per questa tradizione, che Dante, accogliendo il pensiero delle età precedenti, colloca da una parte insieme con Bruto e Lucrezia, insieme con Democrito, Diogene, Anassagora, Talete, Empedocle, Zenone, che furono tutti suicidi o persuasero o tentarono essi stessi il suicidio, Socrate, che pur era un suicida, messo là insieme colla turba degli altri spiriti magni, che di vederli in sè stesso si esaltava (82); è per questo che a Catone, celebrato da lui come il fondatore della vera libertà (83), non fu serbato un luogo nell'Inferno accanto a Pier della Vigna (84), ma egli si trova invece solitario alla custodia del Purgatorio, e alla fine del mondo sarà santificato (85).

E finisco con due altre osservazioni: 1a non è forse vero che per tutto il sistema morale di Platone, e per il concetto più specialmente che egli si è fatto della vita presente, altro non è il suicidio che una logica conseguenza? 2a non è forse vero, quando vogliamo credere a Plutarco e a Diogene Laerzio, che se Speusippo, Demostene, Cleombroto, Aristotele si uccisero, loro che eran tutti discepoli immediati ed ammiratori del grande Ateniese, dovettero da lui aver appresa una siffatta dottrina?

Ad ogni modo devono e dovranno forse restar sempre

(82) Inf. l'intiero c. IV. (83) De Mon. II, 5, 94. (84) Inf. XIII, 1-109.

(85) Purg., I, 31-108.

alcuni dubbi intorno alla questione, che Platone, forse a bella posta, non si curò di chiarire; egli solo qua e là in pochissimi luoghi delle sue opere accennò al suicidio, e sempre in modo oscuro e contraddittorio tanto che si deve ripetere qui coll'ultimo suo geniale traduttore italiano che egli non filosofa nè argomenta sempre, ascolta più volte l'animo suo ▸ (86).

Novara, Dicembre 1888.

(86) R. Bonghi, op. cit. vol. II. pag. 33,

VINCENZO POGGI.

BIBLIOGRAFIA

Sopra Raimondo Sabunda, teologo, filosofo e medico del secolo XV. - Studio storico-critico di FILIPPO CICCHITTISURIANI, Prof. nel R. Liceo Cotugno.

Aquila 1889.

L'autore divise il suo studio in tre parti, delle quali la prima comprende i cenni biografici del Sabunda e bibliografici delle sue opere; la seconda l'esposizione storico-critica della sua Teologia naturale; la terza la sua importanza nella storia della filosofia.

Non essendovi documenti per fissare l'anno preciso della nascita del Sabunda, l'autore la pone dopo la metà del secolo XIV, appoggiandosi al fatto che il Sabunda nel capo 206 della Teologia afferma che la religione cristiana fioriva già da 1400 anni; ciò che induce a credere che egli avesse raggiunta una certa età quando pose mano alla sua opera. Corregge poi l'errore in cui sono caduti i biografi del Sabunda rispetto all'anno della morte di questo segnata nel 1436, mentre moriva nel 1432. L'autore non si limitò a consultare le varie edizioni del Sabunda, ma ricorse anche ai codici manoscritti facendone diligenti ricerche nelle biblioteche e specialmente nella Vaticana, del che gli va data la debita lode. Dalle ricerche dell'autore due sono le opere del Sabunda, cioè la Teologia naturale di cui si hanno parecchie edizioni; ed una tuttora inedita col titolo: « Quaestiones theologicae disputatae », codice trovato da lui nella Vaticana. Secondo l'autore, i Dialoghi non sono del Sabunda, ma di Pietro Aurato Domenicano e pubblicati a Lione apud Theobaldum Paganum, 1568. Tuttavia stando al Come

nio, il quale accennando a questi dialoghi col titolo « Raimondi Sabundani de natura hominis Dialogi, qui et Christi et sui ipsius cognitionem exhibent. Lugduni 1550 », scrive: « gaudebam tamquam de novo thesauro reperto, sed mox vidi nihil esse novi quantum ad materiam, modo dumtaxat alium. Nempe quod iisdem de rebus Dominicus quidam cum Raimundo colloquens introducitur, omniaque illa naturalis theologia mysteria dialogis sex absolvuntur », sembrerebbe che anche da lui fossero ritenuti come opera del Sabunda medesimo.

I.

L'autore, volendo ragguagliarci delle ragioni che lo indussero a trattare del Sabunda, scrive: « Raimondo Sabunda destò in me il desiderio di disseppelirlo dall'immeritato obblio a cui la ingiustizia della storia danna le feconde concezioni di menti dotte, perchè anche egli al pari di molti altri, a ragione oggi celebrati, bene meritò della scienza ». Ora non ci pare storicamente giusto un tale rimprovero dal momento che vari storici della Filosofia parlarono della Teologia naturale del Sabunda, rilevando precisamente il punto di veduta nuovo sopra cui si basa la medesima, anzi il Rixner aggiunge che l'esposizione per uno Scolastico è assai bella, il disegno ben ordinato e metodico (Handbuch der Geschichte der Philosophie. Zweiter Band § 75). I Kirchner tocca pure della morale del Sabunda fondata sull'amore (Katechismus der Geschichte der Philosophie § 54). Il Buhle nella sua storia della Filosofia moderna, parte 3a, dà una esposizione sommaria della Teologia naturale. Il Matter nella sua Histoire de la Philosophie dans ses rapports avec la Religion (1854) scrive: «Roger Bacon avait invité à l'observation et à l'étude de la nature; il y avait poussé par son exemple, Gersou venait de parler dans le même sens. Raimond de Sabonde le fit systhématiquement... Toutes fois, la nouveauté caratéristique de ce travail est, moins dans son mérité que dans son ambition. L'auteur préténd tout puiser dans le livre de la nature, ne rien accepter d'aucune autorité pas même de celle des Saintes Ecritures. » E dopo aver

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