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perfettamente le prime dalle seconde? Queste tenderanno a fondersi colle prime e perciò ad alterarle. Dicasi similmente delle altre parti del tempio, in quanto mi richiamano parti simili d'altri edificii.

La eliminazione degli elementi perturbatori è, almeno in parte, possibile, e si ottiene coll'attenzione continua al fatto che vogliamo osservare, col procurare di stabilire fin da priccipio gli elementi generali che lo costituiscono, cercando poi per mezzo di essi i particolari.

Lo stesso si può ripetere anche a proposito degli stati psichici, i quali non sono altro che un complesso di fatti psichici. Quindi considerando nella loro totalità i primi ci si appalesano come fatti psichici, e del pari considerando i secondi rispetto ai loro elementi costitutivi si mostrano a noi come stati psichici.

i) L'ultima regola è di controllare i risultati delle nostre os servazioni con quelli delle osservazioni altrui, tenendo conto dello stato odierno della psicologia e dei diversi metodi di ricerca psicologica. Noi abbiamo veduto quanto sia imperfetta la pura osservazione interna; essa è ad ogni modo necessaria per determinare la natura dei fatti psichici. Speriamo di poter in altre memorie trattare, sotto il rispetto delle ricerche psicologiche, l'osservazione esterna e la esperienza. Ci sembra che sia possibile una vera e propria esperienza interna simile alla esperienza materiale. Tratteremo ancora delle esperienze psicologiche e psicofisiche, dell'applicazione della matematica allo studio dei fatti e delle leggi psichiche, compiendo così ciò che riguarda il metodo in psicologia. Tutto questo faremo, se la fortuna ci sarà favorevole.

V. BENINI.

Le apologie nei primi tre secoli della Chiesa

Le cagioni e gli effetti (1)

Siamo così poco abituati in Italia a tale genere di studi che riguardiamo il Saggio del prof. Mariano come una pubblicazione degna di richiamare l'attenzione dei lettori della nostra Rivista filosofica. Nè con cio intendiamo menomare l'importanza di alcuni altri scritti di tal genere, ma soltanto avvertire che questi hanno scopi diversi da quello che si propone di raggiungere l'autore, che è appunto di dimostare che il Cristianesimo coi suoi dogmi fondamentali rimane quale forma suprema e insuperabile di relazione religiosa.

Secondo l'autore uno dei momenti integranti del problema delle origini del Cristianesimo è la sua lotta col paganesimo, ma'alla ricerca storico-ideale importa non solo di scrutare gli incunnaboli della nuova religione, il suo primo comporsi interiormente a Chiesa, ma anche i modi pei quali esso penetrò esteriormente nella concreta realtà del mondo e vi compiè secondo Tertulliano la rerum innovatio.

(1) Saggio-critico-storico di Raffaele Mariano, Napoli, Tipografia e Stereotipia della R. Università, 1888.

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Ora se la prima ricerca è meglio atta a chiarire la potenzialità ideale, il contenuto religioso ed etico del principio cristiano, la seconda, cioè la lotta contro il paganesimo prova in modo evidente la virtualità pratica del Cristianesimo stesso, la sua efficacia rigeneratrice e rinnovatrice nelle coscienze e nella vita. Imperocchè è al cimento dei fatti che quella sua spiritualità, in certo senso metafisica, quella sua natura profondamente antropologica e teologica insieme, onde trae il suo carattere di suprema e perfetta forma di rivelazione del divino nel campo della religione, diventa un fatto, una realtà, un che di positivamente sperimentale ed inoppugnabile. In fatto, per conquidere e superare il paganesimo, per surrogarne nelle coscienze l'influenza e l'autorità, per divenire religione universale, al Cristianesimo non poteva bastare di annunziare astrattamente la sua nuova verità religiosa, ma doveva cimentare concretamente la superiorità assoluta della sua idea col complesso delle forme storiche ed obbiettive della vita, cioè stato, moralità, costumi, concetti etici, istituti giuridici e sociali, istituzioni religiose e filosofiche sussistenti. Quindi è nella lotta aspra, lunga, sanguinosa durata non meno di tre secoli che il Cristianesimo, esplicando l'energia e l'efficacia del suo principio e della sua essenza, dimostra la sua superiorità non in potenza ma in atto, la forza irresistibile che da ultimo gli assicura il trionfo.

Comunemente, scrive l'autore, si crede che le apologie trovino la loro spiegazione intera nel fatto delle persecuzioni, ma è evidenza inesatta, giacchè se le persecuzioni e segnatamente le gravi e calunniose imputazioni contro i cristiani furono occasione al loro prodursi non ne furono le cagioni vere e proprie; queste debbono ricondursi ad un doppio bisogno, l'uno pratico e l'altro speculativo, cioè al bisogno di espansione e di conoscenza. Nel primo sarebbe la spinta a dare al Cristia

nesimo il posto che gli spettava nel mondo storico, ad attribuirgli il diritto di reggere e condurre le coscienze e la società; nel secondo la tendenza a scrutare, chiarire spiritualmente il profondo contenuto delle verità cristiane. Se non che il Cristianesimo non solo portava in sè il bisogno di espandersi ma ancora il precetto positivo di diffondersi per tutto il mondo, dal momento che negli evangelii si legge: « andate per tutto il mondo e predicate l'Evangelo ad ogni creatura >> e senza dubbio tale comando non fu fatto indarno agli apostoli ed ai loro successori.

L'autore dopo aver toccato dei progressi del Cristianesimo nei primordi e della parte avuta dall'Apostolo Paolo alla sua diffusione, della feroce persecuzione Neroniana, quindi delle speranze millenarie, dello appartarsi della Chiesa dallo Stato in questo periodo, passando ad investigare il modo secondo cui venne costituendosi l'organismo della Chiesa stessa, aggiunge che nel secondo secolo quella alternativa di contrarietà e accomodazioni, poi da capo di odii e timori diventa quasi un passato già lontano e quasi dimenticato, di guisa che essa Chiesa si mostra rimutata in tutti i suoi concetti, giacchè in essa spunta la coscienza che se il Regno di Dio era da edificare quaggiù sulla terra, non era più da aspettare che il Cristo tornerebbe a fondarlo per opera e con procedimenti miracolosi e soprannaturali; perciò, bensì sotto gli influssi dell'alto e in nome delle verità divine da lui rivelate, bisognava edificarlo con mezzi umani e naturali, mescolandosi col mondo, mirando ad esso e sforzandosi di vincerlo e rigenerarlo nello Spirito, convertirlo alla nuova dottrina. Quindi la necessità per la Chiesa di ravvicinarsi al mondo, comporvisi nel mezzo ad organismo il quale, se divino, trascedente pei fini e gli intenti, è però umano terreno, pratico quanto ai mezzi che adopera, all'operosità nel preparare quei fini ultimi e anche nel tradurli, per quanto possibile, in atto nella realtà della vita,

Che nei primi secoli del Cristianesimo vi siano stati cristiani che credessero al ritorno prossimo di Cristo sulla terra dove regnerebbe per mille anni è un fatto indiscutibile, ma che questa credenza fosse universale nella Chiesa è ciò che non si può ammettere. Anzi tutto quegli stessi che professavano tale credenza differivano notevolmente intorno alla natura di quel regno secondo che appartenevano o non alla Chiesa. Secondo Cerinto le gioie di quel regno celeste dovevano essere una felicità corporea consistente specialmente in piaceri sensibili, e tale opinione era condannata da quegli stessi che pur vivendo nell'aspettazione del nuovo regno riponevano la felicità che godrebbero i giusti in gioie spirituali escludendo formalmente i piaceri sensibili, e S. Giustino, che seguiva tale opinione, pensando che l'entrata alle gioie eterne non poteva operarsi tutto ad un tratto, e quel regno nel suo concetto doveva servire come di preparazione, confessava che molti cristiani di fede pura non ammettevano tal regno. Riguardo ai Giudei è troppo noto che ai tempi del Messia essi attendevano un regno del tutto terrestre che assorbirebbe tutto l'universo e farebbe di essi un popolo dominatore, opinione che certamente non doveva realizzarsi. Se non che la speranza dei millenaristi furono principalmente combattute dalla Chiesa Romana, la quale fino dai primordi si oppose all'invasione di ogni idea giudaica; ed è perciò che Marcione si era diretto a Roma nella speranza di trovare un appoggio alle sue vedute antigiudaiche; ed è ancora perciò che il primo a combattere i millenarii fu ancora un Romano, Caio, come si raccoglie dai frammenti conservatici da Eusebio (Storia Eccl. VI. 20). Alla Chiesa di Roma si uni poscia quella di Alessandria che sempre aveva concepito il Cristianesimo in modo spirituale.

L'autore aggiunge che uno dei fattori massimi di tal nuova coscienza della Chiesa, una delle cagioni onde fu richiamata al

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