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l'ultima fatta dall'autore si legge peccati come era nella Ia. La XXXVII va notata nell'indicazione dello stesso difetto che la XXVIII. E per ora fermiamoci qui.

Il signor Morone ha avuto un'intenzione eccellente volendo fare in modo che da questo gravissimo torto della Congregazione del S. Uffizio non si traesse pretesto per screditare e maledire l'autorità della Chiesa Cattolica e recar nocumento all'integrità della fede; ma dovea badare che quando si vuole difendere la verità non bisogna avere alcuna paura della verità stessa, bisogna accettare i fatti quali sono: la Chiesa non è caduta nè per i vizi dei Borgia che scandolezzarono il mondo, nè per le improntitudini dell'Inquisizione che negò il moto della terra, afflisse e condannò il sommo e piissimo Galileo: non cadrà neppure pel delitto presente, ma per difenderla la prima cosa che si richiede è di non coprirlo, ma confessarlo; e fare in modo che vi si ripari al più presto. Anche S. Pietro negò Cristo nel pretorio di Pilato, eppure fu la pietra su cui è edificata la Chiesa, segno che gli uomini sono nulla, e Dio è tutto.

Si dirà che è uno scandalo il parlare così: no, sarebbe uno scandalo il tacere, chè tacendo non si farebbe che l'in giustizia non si fosse consumata, anzi ci renderemmo complici. Ora non può essere mai possibile che la menzogna sia gradita a Dio, utile agli uomini.

Pur troppo il cattolicismo, almeno in Europa, in Italia sopra tutto, perde terreno: eppure ad esso dobbiamo i Comuni, Dante, Manzoni; lo stesso Risorgimento italiano ne' suoi principii fu opera essenzialmente cattolica: ora la fede è di pochi e professarla di fronte al positivismo dominante, in pieno regno di Massoneria, ci vuol coraggio; e non basta, perchè il coraggio si ammira ma non persuade, e l'esempio di pochi non basta quando i cuori non battono all'unisono. Nè è a credere che alcuna forza morale possa tenere il luogo del cattolicismo,

quand'anzi all'abbandono del cattolicismo segue l'indebolirsi, specialmente nelle nazioni latine, del sentimento religioso, del morale e benanco del civile; ma come farà il cattolicismo a mantenere il suo pacifico dominio negli animi, quando chi deve tutelarlo ne disarma coram populo il massimo campione, e fra i doveri del cattolico mette quello di lasciar andare la patria in rovina anzichè rinunziare a ridicole rivendicazioni di dominio terreno che il Nazareno abborriva, anzichè concorrere coll'esercizio dei diritti di cittadino a farla grande, potente o almeno salvarla dal predominio delle sètte, dall'immoralità invadente? Ma chi vorrà onorarsi ancora del nome di cattolico, se per essere cattolico bisogna odiare la patria, rinunziare alla ragione; chi potrà ancora essere cattolico se i maestri della religione passano intiera la vita senza aver mai preso in mano un volume dei SS. Padri, e io ho trovato chierici che non seppero dirmi chi è Gesù Cristo, preti che non sapevano quanti fossero i libri del Nuovo Testamento; e un Arcivescovo di una delle nostre città maggiori in una sua Pastorale chiama assurde ed eretiche le dottrine di S. Tommaso e della Sacra Scrittura che per maggior sua gloria cita in sostegno della sua tesi? Chi potrà essere cattolico, se Roma è in mano di una sètta pelagiana che nega il peccato originale, fondamento logico del Cristianesimo? Presso i Protestanti, ammesso il libero esame, queste negazioni si spiegano, ma presso i Cattolici il supremo dominio esercitato da coloro stessi che scuotono dalle basi la dottrina, e rendono odiosa l'istituzione coi loro eccessi, è un'enormità così grande che se Iddio ce ne salva, sarà questa la prova più luminosa che la Chiesa non è un'istituzione umana.

Sinigaglia, aprile 1889.

LORENZO MICHELANGELO BILLia.

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BIBLIOGRAFIA

Manuali Hoepli - Psicologia di C. CANTONI, professore di filosofia teoretica nell'Università di Pavia - Ulrico Hoepli Milano, 1888.

Sembra necessario esser maturi nello studio d'una scienza per poterne scrivere quei che si dicono manuali, compendii, abbreviamenti. Ai quali, invece parlo in genere accade sovente ponga mano chi quella meno sicuramente possiede. Però, motivo, certo, a non liete riflessioni per la scienza stessa, in essi la difficoltà del fare si accompagna colla negligenza del ben fare e manifesto si appalesa quel carattere che il Bouillier (Moral et Progrès, XII ch.), con aspra parola, chiamava de precipitation mercantile et de mediocrité.

Da libri siffatti vuol essere distinto il presente Manuale di Psicologia, cui sono lieto di potere rendere in questa Rivista debita lode. Fra esso e la Psicologia del Corso elementare di filosofia è subito notata la strettissima parentela. Se non che questo s'indirizza alle persone colte, ma più specialmente agli scolari di liceo e agli studenti di università, il manuale invece, più specialmente alle prime e può essere un ottimo testo per la prima classe delle Scuole normali, per la quale è prescritto uno studio elementare della psicologia. L'A. ha saputo opportunamente quando aggiungere, quando, e più spesso, togliere, qui semplificare, là addurre l'esempio. -Nella divisione poi della materia, nello svolgimento delle dimostrazioni, nella condotta dell'insieme egli si rivela maestro di filosofia.

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In una molto sobria introduzione porge un concetto chiaro

dell'oggetto e dell'ufficio della filosofia, studiata nello stesso suo sviluppo storico, che procede in modo inverso all'ordine logico. Perchè, se quella attese primieramente alla ricerca del vero reale, e fu metafisica, in istretto senso, oggi, per tale rispetto, deve tener dietro a un certo svolgimento del sapere, riflettere sui risultati delle altre scienze, congiungerli insieme, farne la critica e, a un tempo, l'integrazione e la sintesi. Ma questo lavoro scientifico della filosofia presuppone logicamente l'esame e lo studio dell'attività stessa che lo produce. Quindi la gnoseologia e la logica. Ma e l'una e l'altra non si potrebbero formare, senza conoscere lo stesso pensiero umano nel suo svolgimento naturale. Quindi la psicologia — la quale, però, nell'uomo considera non solamente l'essere rappresentativo, ma l'essere che sente e vuole, e dal suo sentimento è spinto ad agire e per mezzo della sua volontà agisce ed opera in relazione col mondo esterno e cogli altri uomini. Così, ben fissato il posto che la psicologia occupa nella filosofia, e circoscritto l'oggetto suo, l'A. ne osserva il metodo e gli intenti. Rispetto ai quali, essa appartiene alle scienze naturali, insieme distinguendosene nettamente, poichè, a differenza delle altre, si forma essenzialmente mediante l'osservazione interna, colla coscienza riflessa. E qui si appresentano naturalmente due grandi questioni. La psicologia si può ridurre, come alcuni vogliono, alla fisiologia, o può farsi mediante la storia? - L'A. vi risponde negativamente. Col Vico pensa che la psicologia, lungi dall'esser formata dalla storia, sia la chiave di questa: con naturalisti insigni che il fenomeno interno, nella sua essenza, sia tutt'altro dal fenomeno fisiologico, e impossibile tentare il passaggio dai moti del cervello alla sensazione ed al pensiero. Fra quelli basti citare il Du-Bois Reymond, che, nel 1872, conchiudeva un suo discorso famoso, affermando: «la meccanica analitica esser costretta d'arrestarsi innanzi al problema della sensazione ». I molteplici fenomeni della nostra vita interna l'A. crede si possano ridurre a tre forme fondamentali e tra loro irreducibili, percepire, sentire, volere le quali egli non riferisce a determinate nostre facoltà, qualitates occultae, secondo il concetto scolastico, poste in noi originalmente causa per cui, nel corso di molti secoli, la psi

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cologia non potè progredire - ma a certe condizioni soggettive che rendono possibile quella triplice attività. Ad esse appunto pone il nome di facoltà o potenze dello spirito.

Così lo stesso ordine connaturato alla materia determina l'ordine del Manuale, che, oltre l'introduzione, di cui ho detto, consta di tre parti: I del percepire II del sentimento III° del volere.

Le percezioni sono sensibili prima che intellettuali, e sensibili esterne prima che interne. Delle esterne si distinguono sei classi, corrispondentemente ai cinque sensi e a particolari stati del nostro corpo che le producono. Considerate in sè, e riferentesi a un oggetto in sè, esse sono il risultato d'una triplice azione fisica, fisiologica e psichica. In quest'ultima, che è propriamente reazione dell'anima, sta il percepire, atto conscio e rappresentativo; e quel che altri erroneamente chiama inconscio va piuttosto riferito a una coscienza di primo grado se non distinguente, a differenza della coscienza di secondo grado, nè dalle percezioni, nè dagli oggetti di questa. Le quali, per mezzo delle percezioni di rapporto congiungendosi e, fra loro, in vario modo, aggruppandosi, ci danno la percezione di oggetti complessi. Non tutte però, sono presenti allo spirito in un dato momento, ma le più deboli scompaiono, rimanendovi la più forte, cioè quella che desta in noi maggiore interesse e sforza quindi maggiormente la nostra attenzione, e le altre che con essa possono associarsi. Ed è appunto in virtù di questa associazione che le percezioni si riproducono. Quanto ai sentimenti e ai desideri, possiamo averne, mediante un atto della memoria, le percezioni interne, non già farli sorgere in noi, nella medesima maniera che possiamo ricordarci di una serie di idee avute, senza riprodurle. Dopo le percezioni sensibili, per impulsi molteplici, si vengono svolgendo nell'uomo le percezioni intellettuali, da quelle per parecchi rispetti assai differenti, specialmente perchè non sono possibili senza certi principii generali, che loro danno valore obbiettivo. I quali, non esistenti originariamente nello spirito in modo esplicito e determinato, ma in esso, quando si è venuto mano mano svolgendo, trovati dalla scienza psicologica che li determina e li formula, sono norme a un tempo del pensiero e fondamento

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