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sano », l'unico vero, che s'insegna, con tanto vantaggio, dalle cattedre di Firenze; ci metteremmo di contro a tutta la critica storica dantesca e non dantesca, che c'insegna quanto si debbano venerare i manoscritti di provenienza piú ignota, e quale uso opportuno e ragionevole se ne debba fare. Perché per certo, se egli il Barbi legge qui SAPPIANO, si può giurare che, qui come altrove, i manoscritti non consentono, non permettono, non concedono affatto che si legga altrimenti! E allora non ci resta che inchinarci, senza perder piú tempo a ragionare, a discutere e a sottilizzare, se non si vuole che tutta l'Accademia da Firenze a Roma, da Roma a Torino non levi un alto clamore di risa e di sogghighi per la nostra curiosa e strana impertinenza e ostinazione, quando poi noi da un pezzo abbiamo imparato, a tutto nostro vantaggio, quanto giovi inchinarsi umili, reverenti, tremebondi a' suoi altissimi, inappellabili responsi.

III.

ENRICO SICARDI.

Dante sconclusionato ?

<< Giunta cotanto » Vita Nuova, XXVII.

Nel Bullettino della Società dantesca italiana del giugno 1907, in una nota a p. 94, il prof. E. G. Parodi scrive: Molto timidamente vorrei proporre io stesso una nuova interpunzione per un verso della canz. Donna pietosa, un verso che già parve tale da doversi correggere a Flaminio Pellegrini, e che non persuade neppur me, benché la proposta del Pellegrini, ch' ebbe l'approvazione del Renier (Giorn. stor., XLVII, 388), sia stata scartata dal Barbi (cfr. Bull., N. S., XII, 246) e veramente non riesca a migliorare la lezione. Dante, nella seconda stanza, che forse intendiamo bene solo perché è chiaramente spiegata nella prosa, dice che si rivolse alle donne con vólto tutto vergognoso, perché sorpreso da loro nell' istante che chiamava Beatrice (forse credendo che Beatrice fosse quella che lo riscoteva dal suo vaneggiamento) benché il nome stesso dalle donne non fosse inteso:

e con tutta la vista vergognosa ch' era nel viso mio giunta cotanto, mi fece verso lor volgere Amore.

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« Il cotanto a me sembra inutile, dopo ch'è già detto e con tutta la vista; non solo, ma mi sembra brutto e senza esempio. Vorrei dunque metter virgola dopo giunta, e intendere cotanto per alquanto ': Amore mi fece alquanto rivolgere, o, in alcun modo rivolgere verso di loro; espressione, di cui rimarrebbe traccia nelle parole della prosa: « per alcuno ammonimento d'Amore mi rivolsi a loro ». Riconosco però che, se gli usi avverbiali di cotale paiono incoraggiare a questa supposizione, non ho per ora nessun cotanto che corrisponda in tutto all'uso che vorrei attribuito a Dante. Nel v. 99 del quarto dell' Inferno, io propendo a intendere di tanto come alquanto ', ' un poco', e il mio Maestro sorrise di tanto >>; ma altri intendono diversamente, e non è possibile decidere con sicurezza. Se facesse difficoltà il rompere il verso a mezzo, si confronti << e dicerò di lei piangendo, pui Che si n'è gita», nella canz. Li occhi dolenti, vv. 12-13 ».

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Ora a parte la timidezza del Parodi, qui non restano che spropositi. E gli spropositi nascon tutti, al solito, dal fatto che egli non ha compreso affatto il pensiero di Dante, che non era punto difficile intendere, chi avesse avuto pratica pur mediocre del linguaggio antico. Qui dunque non c'è nulla da migliorare né nella interpunzione né nella lezione; e se Flaminio Pellegrini pensò già che ci fosse qui qualche cosa da correggere o da aggiustare, e se la stranissima modificazione nella lettura e punteggiatura da lui proposta ebbe anche l'alta approvazione del Renier, non so che mi dire. Cioè no; dico che può capitar bene a chiunque di non intendere uno scrittore antico, per poco che il suo linguaggio si scosti dall' uso moderno, e non si abbia sufficiente familiarità con la lingua del tempo suo. E si sa poi che, quando non si capisce facilmente un testo di quelli, la nostra vanità ci persuade facilmente che il non intendere non sia già colpa nostra, ma difetto dello scrittore oppure dell' editore, che deve averlo mal riprodotto. E allora, una volta che ci si mette per questa via, non si può mai prevedere fin dove si possa andare a parare; che razza di stranezze e di spropositi si sia capaci di metter fuori, con la piú piena incoscienza e disinvoltura. E cosí, salva la modestia, è avvenuto al Pellegrini e al Parodi. Preso bellamente l'aire dietro a quelle lievissime difficoltà di forma che qui pur pre

sentano codesti semplicissimi versi di Dante, tanto l'uno che l'altro hanno perduta completamente la bussola, fino a non capirci quasi affatto e a sostenere ciò che hanno sostenuto. Che altrimenti, come il Parodi avrebbe potuto scrivere che noi comprendiamo bene i versi della seconda stanza della canzone di Dante,

solo perché è spiegata chiaramente nella prosa »? Come avrebbe detto che il cotanto gli sembra inutile », oltre che brutto e senza esempio, dopo che è già detto e con tutta la vista »; come, quando l'una cosa non ha niente a che fare con l'altra? giacché cotanto si può legar solo, e per il senso e per la sintassi, - solo, dico con << giunta », con cui di fatti è unito. Come dunque il Parodi vorrebbe metter virgola dopo cotanto e intendere cotanto per < alquanto », e spiegare: « Amore mi fece alquanto o in qualche modo rivolgere verso di loro »; e credere che di questa espressione << rimarrebbe traccia nelle parole della prosa: < per alcuno ammonimento d'Amore mi rivolsi a loro »? Come, come si può aver pensato e detto in una volta sola tutto ciò? E lasciamo stare quel che egli appresso riconosce o non riconosce, per cui dice e non dice, per ragioni che è facile intendere.... Certo è che << » giunta vale, com'è comune nel linguaggio antico cresciuta (ma già una volta inteso questo s'è inteso tutto); che « cotanto » si lega con giunta » ossia << cresciuta »; che ciò che è « giunta » o « cresciuta cotanto » è, né può esser altro, la « vista vergognosa »; che < vista» vale « aspetto » e qui: « aspetto generale della persona; che << vista vergognosa » vale « aspetto da far vergogna » (a mostrarlo altrui, s'intende: Dante era infatti tutto alterato dall'angoscia e dal pianto: aveva la faccia bagnata di vere, cocentissime lagrime ma le anime frigide e gl'intelletti ingarbugliati da ciò che essi credono dottrina, non sono disposti a credergli, né riescono quasi mai ad intenderlo, anche là dove nel suo appassionato racconto vibra forte tutta l'anima sua); che con tutta la vista vergognosa » vale: « con tutto ciò che io avessi l'aspetto in generale tutto stravolto e il viso cosí bagnato di lagrime »; che « quella vista vergognosa fosse giunta o cresciuta cotanto nel viso suo vale quanto dire appunto: « che quella sua alterazione che più specialmente si dimostrava negli occhi, col pianto, non poteva

essere maggiore nella sua faccia, giusto per l'angosciosissimo sogno fatto della morte sua e di Beatrice, mentre era pure gravemente ammalato; e che, infine, col verso: « mi fece verso lor volgere Amore », Dante aggiunge che dal letto dove stava, non per tanto, « si volse tutto' verso le donne che lo chiamavano e alle quali non avrebbe potuto altrimenti nascondere il suo stato, che continuando a tenere ascoso il suo viso fra le lenzuola, come faceva appunto prima che quelle lo chiamassero. Il rivolgimento parziale di lui disteso a letto, codesto rivolgimento parziale di cui parla il Parodi, oltre che impossibile, non gli sarebbe giovato a nulla, per nessun fine. Per poco che si mostrasse, doveva necessariamente scoprire lo stato di profondo abbattimento e di sconforto in cui realmente si trovava. Questo fece, e se ne scusa, dicendo come, non ostante che un sentimento naturalissimo di riserbo e di dignità virile gli avrebbe impedito di rispondere e di mostrarsi alle donne che lo chiamavano spaventate, sentendolo gemere d'angoscia sotto il terribile incubo, pure, « per alcuno ammonimento d'Amore », cioè mosso dall' affettuoso vincolo familiare che lo legava a quelle sue parenti che, sgomente del suo stato vigilavano nella sua camera (come mai il Parodi può aver sognato che li ci fosse anche Beatrice, e che Dante abbia per poco potuto solo immaginare che essa potesse trovarsi attorno al suo letto a vegliarlo e quindi si provasse a destarlo con le altre?!!); vinto anche dalla cura affettuosa per cui quelle volevano spiare sul suo viso che cosa si sentisse, fino a che punto e' soffrisse, non esitò a rivolger loro la sua faccia, non seppe più oltre schermirsi a fissare quelle donne pur con que' suoi occhi che, arrossati e sformati dal male che egli soffriva allora alla vista, gli mettevano vergogna quando doveva rivolgerli altrui. Nella prosa poi Dante non potrebbe ripeterci più chiaramente ciò che cosí chiaramente ci ha detto ne' versi, chi sappia intendere il suo linguaggio. Dice: « la mia voce era cosí rotta dal singulto (= dai singulti) del piangere, (= del mio pianto) che queste donne non mi poterono intendere »; cioè, non poterono intendere il nome di Beatrice da lui pronunziato a mezzo, e mozzo, durante l'incubo, « e avvegna che io VERGOGNASSE MOLTO, tuttavia, per alcuno ammonimento (= suggerimento di far cosa dove

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rosa) d'amore », ossia per cagione dell'affetto, per cagione di quell'intrinsichezza familiare che ad esse mi legava (la maggior parte eran parenti o amiche intime di famiglia) « mi rivolsi a loro (non a una o due dunque, ma a tutte le donne che stavano attorno al suo letto e a cui RISPONDE E PARLA E RACCONTA SUBITO IL SUO SOGNO). E quando MI VIDERO.... (Dunque prima non potevano vederlo, certo perché egli aveva il viso nascosto sotto le coperte) cominciarono a dire: Questi pare morto, ecc. ». Via, conveniamone: Dante per certo, quanto a lui, a ciò che potessimo intenderlo senza sforzo, non poteva aver parlato più chiaro, e per giunta non avrebbe potuto offrirci una corrispondenza piú precisa fra la sua prosa e i suoi versi. E invece, qui e altrove egli predica a' sordi, e fra i più sordi sono appunto i suoi << studiosi », i suoi zelatori; sono quelli che lo reputano come affidato dalla Nazione, se non dal mondo intero, alle loro cure cosí sapienti, sono quelli che si nutrono del suo stesso pensiero, quelli che mai lo abbandonano, quelli che vivono, che vegliano con le sue opere, edizione critica.... provvisoria, sotto il guanciale. E non sto a dire se intanto costoro non affilino, non rizzino gli orecchi per altro acutissimi, per udire! Quanto infatti non deve aver penato il Parodi, quanto non deve avere aguz

zato il suo cervello cosí aguzzo di per sé

stesso, intanto che iva chiamando, in soccorso suo e di Dante, la sua grande dottrina filolo

1 Il non aver compreso che in codesta espressione << per ammonimento d'amore » non si accenna punto ad Amore, ma a quel vincolo d'affetto che si suol trovare tra i membri di una stessa famiglia, e che si chiama pure « amore » è stata qui forse la causa principale del traviamento originario di F. Pellegrini, che si è tirato poi dietro il più grave del Parodi. Ecco come concia e spiega il passo il Pellegrini:

E con tutta la vista vergognosa
ch'era nel viso mio giunt' a cotanto,
mi face verso lor volgere Amore.

Cioè: « Amore, giunto ormai a cotanto (arrivato a tale, da farmi dimentico d'ogni riservatezza e da spingermi a pronunziare con voce alta il nome della mia donna), mi fece rivolgere verso costoro con l'aspetto pien di vergogna, che traspariva dal mio vólto ». Proprio l'opposto di ciò che vuol dire Dante, il quale aveva cosí vivo il senso del decoro, anche co' suoi intimi. Eppure la proposta del Pellegrini è stata trovata « ingegnosa »>! Cfr. Bullettino d. Soc. dant. it., XII, 246.

gica, sia per fissar bene gli usi avverbiali di cotale, sia per le altre quistioni dove è tanto, ma tanto ultradifficile, per non dire ch'è affatto impossibile << decidere », come lui dice, << con sicurezza »!!

Ah, voi buoni e ingenui lettori, direste che non sapete vedere a che proposito si debba discutere o che giovi discuter qui di quel « cotale » e del resto?! Poveri ingenui che non siete altro, se potete credere che chi studia Dante possa ignorare l'uso retto del « cotale » e di sua sorella la « cotalina », dal Tre al Cinquecento! Ah voi medesimi sareste forse inclini a creder assurda, anzi irragionevole, la supposizione che nel v. 99 del quarto dell'Inferno: « e il mio Maestro sorrise di tanto » s'abbia a intendere il « di tanto » come se dicesse « alquanto, un poco », come vuole il Parodi?! Voi direste forse che per l'amore di sostenere una corbelleria (cosí direste?!) si vuol qui mozzare, impoverire, sconciare il pensiero di Dante e fargli dire che Virgilio sorrise un poco, con ponderata misura, com'è costume de' critici fini, giusto quando il buon Maestro aveva più che mai motivo di esser soddisfatto delle onorevoli accoglienze fatte da poeti come Omero, Orazio, Ovidio e Lucano al suo amato discepolo, al suo Dante? Voi direste forse, servendovi di quel pochissimo d'intelligenza che potrete avere, intelligenza nuda, com'è, di filologia e scienze affini, voi, neppur orecchianti in fatto di lingua antica, osereste sostenere forse, contro l'autorità del Parodi, che di tanto si riferisce a « salutevol cenno » che precede lí subito, come se vorreste dire che Virgilio sorrise di codesto salutevol cenno da parte di que' grandi, che sorrise cioè di un tanto specialissimo onore fatto al suo Dante? Voi richiamereste, ostinati, allora, forse, tutto il passo?:

Volsersi a me con salutevol cenno
e il mio Maestro sorrise di tanto.
E piú d'onore ancóra assai mi fenno,
ch' esser mi fecer della loro schiera...

Voi aggiungereste, cocciuti, che se Dante dice: PIÙ D'ONORE ANCORA ASSAI MI FECERO, deve esser a chiunque chiaro come la luce del sole, per quell'ANCORA ASSAI PIÙ che segue dopo, che ei deve avere quindi fatto espressamente menzione di ALTRO ONORE GIÀ FATTOGLI; e questo ALTRO ONORE non può es

sere che quel CENNO DI SALUTO, che, venendo da que' poeti, si risolverà in un onore grandissimo, che è del resto l'UNICA COSA di cui qui possa sorridere, per compiacersene, Virgilio? Ah si! Questo direste? Ingenui che siete! Ma via, lasciate credere queste facilissime castronerie a' soliti commentatori della Commedia, a un tanto al braccio, dallo Scartazzini al Casini, dal Casini al Torraca eccetera.... Come potete stentar tanto a persuadervi che la scienza filologica progredisce sempre per via di queste e simili acute investigazioni a cui pur beato chi arriva! Ma prima di aprir bocca, almeno, via, iniziatevi, nella patria stessa di Dante, al culto e a' misteri danteschi, per via e con l'aiuto di qualcuno de' suoi sacerdoti.

Infine, conclude la sua nota il Parodi: « Se facesse difficoltà il rompere il verso a mezzo, si confronti «<e dicerò di lei piangendo, pui Che si n'è gita», nella canz. Li occhi dolenti, versi 12-13 ». Or qui non occorrerebbe perder tempo a confutar piú nulla, una volta che s'è dimostrato che in que' tre versi di Dante, riportati in principio, non c'è nulla da tagliare a mezzo. Ma pure si vuole aggiungere che, a farlo apposta, neppure in questi altri chiamati in soccorso della canz. Li occhi dolenii c'è nessun verso da tagliare a metà. E l'averlo il Parodi sostenuto, nasce dalla cieca fede che egli ha nel testo del suo amico prof. Barbi, il qual testo, per quanto sia stato da lui esaltato come cosa senza precedenti, e pari solo al modello, il De vulgari Eloquentia di Pio Rajna, è viceversa tanto spropositato, qui come in ogni altra sua pagina, periodo e linea che non è possibile darne un'idea adeguata. E questo, al solito, principalmente per non avere il Barbi punto capito, qui come altrove, come sempre, ciò che Dante vuol dire: unica, indispensabile, imprescindibile condizione codesta, anche ad aver tutti i codici del mondo della medesima opera fra mani, compreso l'autografo, per riprodurre senza strani spropositi ed equivoci simili ed abbagli curiosi e scorrezioni grosse e piccole, proprie ed altrui, il pensiero del. l'autore che si riproduce. Dice Dante nella canzone sopra detta: Li occhi dolenti, o meglio nel suo proemio, che egli ha già pianto assai con vere lagrime, per la morte di Beatrice; tanto pianto, che i suoi occhi si sono irritati e gonfiati a causa di quel pianto, sino ad essersi realmente ammalati. Cosí che, se e' vuole

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ΙΟ

Ora, s'i' voglio sfogar lo dolore,

che a poco a poco a la morte mi mena,
convenemi PARLAR, traendo guai.

E perché mi ricorda che io parlai

de la mia donna, mentre che vivía,

donne gentili, volentier con vui,

non voi parlare altrui,

se non a cor gentil che in donna sía;

e dicerò di lei piangendo, pui

che si n'è gita in ciel subitamente,

e ha lasciato Amor meco dolente.

Ora, se questo contrasto avesse capito il Barbi in una col resto, avrebbe certo interpunto i vv. 12-14, cosí come è necessario:

e dicerò di lei, PIANGENDO POI, 2
che se n'è gita in ciel subitamente,
e ha lasciato Amor meco dolente.

Continuando ad alternare l'idea del piangere » e del « parlare », Dante dice che poiché di Beatrice ha già parlato con le donne, ne parlerà anche adesso con loro, in quanto al piangere ci tornerà, ci dovrà tornare certo, appresso. Ché certo egli non potrà mai dimenticare i duoli della sua amatissima. Cosi si riesce

1 Cfr. E. SICABDI, Una malattia di Dante ne' ricordi della Vita Nuova ', in N. Antologia, 1 dec. 1911.

2 Questo POI invece del PUI del Barbi non sia oggetto di scandalo a' Dantisti della « bella scuola », che mi richiameranno certo al prov. puis; giacché ho ragione di credere che anche Dante non si curasse di adoperare al caso simili assonanze invece delle rime precise. Dirò codeste ragioni altrove.

anche a sapere che cosa Dante dica di lei: che se n'è gita... che ha lasciato..., che è poi ciò che di fatti e' dice particolarmente in tutta la sua canzone; cosí si dà a codesto « che» il valore che deve avere, per cui deve essere in dipendenza del di lei, anzi del « dicerò di lei >> che immediatamente precede; mentre legando il pui o poi col che seguente, per cavarne fuori un poiché ', Dante verrebbe a dire che parlerà di Beatrice, perché essa è ormai morta, come se questa fosse per sé stessa una ragione sufficiente per parlarne, ed egli non avesse mai parlato di lei mentre era

viva, o ne avesse prima parlato solo perché viva! Amenissime cose senza dubbio. Eppure il Parodi nella recensione a cui è appiccicata la sua nota trascritta qui in principio, osa parlare, sempre a proposito di Dante e della Vita Nuova, e muover lamento son parole sue delle « numerose proposte di correzioni che sogliono pullulare dalla fantasia de' commentatori e che non hanno altro fondamento che il loro capriccio o piacere ». Non altro che questo? Questo fondamento soltanto?

ENRICO SICARDI.

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