Slike stranica
PDF
ePub

mento, chiuse la lettura con le seguenti parole: << Stando ora per licenziare al pubblico, giudice meno discreto e benevolo di Voi, o Colleghi, questi studi per una nuova esposizione della Commedia, penso che non può essere il<< ponderoso tema» opera di uno solo ma di quanti hanno culto sincero per il poema sacro, a cui il consenso delle nazioni dà la preminenza su' poemi d'ogni idioma; e però gli altri correggano dove avrò errato, aggiungano dove avrò lasciato, tolgano dove avrò sovrabbondato; penso all' immane lavoro che in oramai sei lunghi secoli, per industria di tanti studiosi, vi si è accumulato sopra che ora si dimostra, in buona parte, o insufficiente o errato o vano; ma c'è da consolarsene, perché apparirà in compenso, piú maravigliosa

la fantasia e l'arte di Dante e più abbondevole di perenne sanità intellettuale e morale l'opera sua; e penso, teneramente penso, a Ravenna, la quale ora aggiunge all'antico onore d'essere ricordata come ultimo rifugio all' esule senza ritorno e di custodirne, con religiosa venerazione le ossa, il maggior vanto di avere, mercé il suo più grande scrittore, inspirato il canto divino. Ma sopra tutto penso che, forse, non invano

e ne gioisco tutto questo sia fatto palese a Voi la vigilia del giorno in cui dal fatale Campidoglio Vittorio Emanuele III dirà, pel fausto cinquantenario del politico risorgimento, la parola d'alta lode e d'impavida fede nella patria, della quale il Poeta nostro fu l'espressione piú pura e sincera ».

CHIOSE DANTESCHE

Il Cinquecento diece e cinque

(Purg., XXXIII, 43).

Con la scolastica e l'astronomia, elemento essenziale della Comedia è la storia, non soltanto di Firenze e d'Italia, ma anche del Papato e dell' Impero, che preconizza la grandiosa concezione politica svolta nel trattato De Monarchia.

Dante sperava il ritorno dell' ordine e della giustizia, donde la salvezza dell' umanità, dal ritorno della Chiesa al suo inizio. Ma se era naturale sperare un imperatore, che si elevasse a vindice dei diritti del sacro Impero romano, non era egualmente possibile attendere dal pontefice la rinunzia delle temporali conquiste, le quali, cominciate dalla leggendaria donazione di Costantino, e da mano a mano accresciute, erano state sanzionate dalla tradizione storica. Gli è che la compagna d'Amiclate non avea attrattive di bellezza in Corte di Roma, ove imperava l'avarizia, che avea pervaso cardinali e papi, e piegatili interamente allo studio delle Decretali.

Codesta tenace cupidigia della < gente, ch' al mondo piú traligna », a conservare ed estendere la sovranità temporale, è per Dante la prima radice dei mali, che hanno fomentato gli odii e diviso le città. Perciò ha contr' essa ribollimenti di sdegno, e non v' hanno in tutta la Comedia invettive cosí vibrate come quelle dirette a Bonifacio VIII e agli altri indegni pastori. È << la mala condotta.... che, il mondo, ha fatto reo », e non vi sarà pace fra gli uomini, né egli potrà rivedere in patria « ogni cosa diletta piú caramente », se non dopo che la Chiesa sarà ricondotta alla sua origine e la maledetta lupa ricacciata nell' Inferno.

« Quando verrà per cui questa disceda? »

Colpiti dal giudizio di Dio Bonifazio VIII, Corso Donati e Rodolfo d' Asburgo, Dante avea sperato nell'avvento al trono imperiale di Arrigo VII di Lussemburgo, al quale s'erano vòlti fiduciosi i Ghibellini, e s'era adoprato a spianargli la via, che dovea portare al rassetto naturale dei due poteri, l'uno indipendente dall'altro, ma entrambi coordinati allo stesso fine della pace universale.

Ma quelle speranze erano d'improvviso. cadute a Buonconvento, e n'erano rimasti atterriti ghibellini ed esuli. Raccoltosi invece nel suo dolore, forse per meditare, con la Comedia, l' apoteosi d'Arrigo, Dante riaperse l'animo a nuova illusione. La calata difatti, avvenuta prima che il paese vi fosse preparato e senza i mezzi necessarî all'attuazione di qualcuno dei poetici disegni del Lussemburghese, avea fatto riconoscere il principio dell' autorità imperiale; e matura era inoltre la vendetta del Cielo, che dovea piombare inesorabile sopra tutti i colpevoli dei mali d' Italia e del mondo, specie i papi, ch' erano i nemici del diritto e della giustizia e della Chiesa stessa convertita in mostro.

L'Aquila era dunque per trovare il suo erede, il quale avrebbe coronato sicuramente (« io veggio certamente ») le aspirazioni dell'esule perché gli uomini non le avrebbero potuto opporre piú ostacoli. Del nuovo Cesare, messo da Dio, il Poeta sapeva il valore e gl' intenti e ne conosceva le virtú; ma, poiché non prediceva ora fatti di già avvenuti quando scrivea, non credette di dovercelo indicare altrimenti che con l'enigma forte, il quale non ha trovato la sua Naiade sol perché alla profezia non corrisposero gli eventi.

Antichi e moderni commentatori hanno cercato di spiegarlo e, giustamente raccostando

il cinquecento diece e cinque al veltro, hanno piú spesso indicato o l'uno o l'altro dei principali ghibellini del tempo. Ma l'interpretazione che ha maggior credito è quella per cui, come nell' Apocalissi Nerone col valore numerico delle lettere ebraiche, sia qui con quello delle lettere latine D.X. V. designata la parola DUX. Nel Duce però non sarebbe determinato alcun personaggio perché, si dice, non era possibile precisare il monarca, al quale sarebbe toccato di ancidere la fuia. 1

Per l'impossibilità di rintracciare nella storia indizi certi del liberatore dantesco, non ostante la grave trasposizione, codesta apparisce come l'interpretazione migliore. Eppure la storia non può da sola guidarci alla spiegazione d'un enimma, ove dobbiamo indagare le speranze personali di Dante; né essa ci vieta di pensare che l'assillo di rientrare libero cittadino in patria e godere della pace e felicità altrui lo illudesse di nuovo (« l'affetto, lo intelletto, lega ») fino a fargli credere d'avere realmente trovato il suo Monarca. La profezia ha il pregio d'una precisione, che manca alle precedenti religiose o politiche, e mi pare che non ce l'avrebbe data senza il sicuro affidamento in un principe determinato, che gli paresse fornito delle doti necessarie a restaurare la giustizia; senza codesta salda certezza o non l'avrebbe messa in bocca a Beatrice, che leggeva chiaramente il futuro rimirando in Dio, o l' avrebbe in qualche modo attenuata, come avea fatto altra volta.

Certo fu di nuovo tratto in inganno; e d'essersi un po' illuso, almeno circa il tempo

Se volessi accennare alla bibliografia della questione, dovrei aprire una parentesi, che mi menerebbe troppo in lungo. A quella che ne dà lo Zingarelli [in Dante, p. 740, n. 521], basti aggiungere l'interpretazione del Torraca ( ) e la tendenza a ravvicinare il DXV alla profezia di Matilde di Magdeburgo [D' OviDIO, Il Purgatorio in Studi Danteschi, p. 509]. Quella del Morino, che ci vede indicato Arrigo VII, perché partendo dall' 800 ed aggiungendo 515 anni s'arriva a codest' imperatore [Rivista d' Italia, X, 1, pp. 284-9], cade con l'indagine del Gorra, per cui la profezia è posteriore alla morte di Arrigo VII [Giornale Storico della Letteratura Italiana L, p. 267]. Ad un imperatore ideale pensa infine il Chiurlo, che offre dei ragionati cenni bibliografici [Le idee politiche di Dante Alighieri e Franc. Petrarca in Giornale dantesco, III-IV, pp. 93-6].

in cui il predestinato salvatore avrebbe realizzato la sua utopia, ebbe qualche sentore, perché, tornando più tardi alla predizione, allorché fa nuovamente predire da Beatrice un riformatore, che avrebbe raddrizzato il corso dell' umanità, segna termini piú lontani (Parad., XXVII, 61-3 e 142-8). Ma quante simili speranze non ha tradite il tempo, concepite intorno ad uomini arrestatisi a mezzo o all' inizio nel cammino della gloria!

Per me adunque l'Alighieri, profetizzando il cinquecento diece e cinque, benché gli tornasse alla memoria il vaticinio vago impreciso del suo maestro e duce, avea la mente e il cuore ad un principe determinato, le cui vicende politiche aveano pôrto le ali al suo vivo desiderio d' un rinnovamento sociale. Ma è una mia impressione, alla quale non avrei accennato s'essa e il pensiero, che il Poeta non procedesse a stendere il Poema senz' aver preordinato la costruzione e il sistema morale del suo mistico mondo, prenotandovi gli abitanti piú noti, non m'avessero dato il sospetto che le tre cifre esprimano invece un vero numero e rappresentino il cinquecentesimo decimoquinto personaggio giudicato nella Comedia.

Or, enumerando gli abitatori presenti e futuri dei tre regni, i personaggi ai quali si accenna o si allude con qualche parola di lode o di biasimo, e quelli che sono dati nel Purgatorio come esempi di virtú premiata o di vizio punito, si ha che il numero 515 cade in

[merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors]
[merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small]

A Deidamia e alla sua morte, avvenuta per l'abbandono di Achille, accenna anche nel Canto dei frodolenti (XXVI, 61-2); ma neppur codest' episodio, che ci indica come fonte l'Achilleide (V. PORENA, Il Canto di Ulisse, in Rivista d'Italia, X, 11, p. 407), ci dà modo di scoprire le suore di lei. « Pulchrisque sororibus » ha Stazio (1o, 296), e non sappiamo niente di piú. Per quanto abbia veduto opere e vocabolarii di mitologia, e ne abbia richiesto a studiosi ellenisti, non sono riuscito ad aver notizia neppure del loro numero. Indicare le opere vedute e tutte le altre suggeritemi, le quali non mi è stato possibile di consultare, potrebbe riuscire forse di qualche interesse per chi desideri accertare la fonte di Stazio, ma sarebbe qui un inutile sfoggio di erudizione accattata e me ne passo. Io sono convinto che Dante ne sapesse quanto noi e che, ripetendo l'espressione di Stazio, non intendesse dar loro, alle suore, qualunque fossero, alcuna importanza.

Poiché ne ho il modo, rendo qui pubbliche grazie a tutti quelli che mi porsero aiuti, specialmente al Belloni, che volle anche essermi cortese correggendo qualche mio apprezzamento e giudizio.

2 Di Adamo, Mosè, David e Rachele, che furono egualmente salvati, si parla esplicitamente nel Paradiso, ov'è il loro posto.

3 V. Parad., XVI, 15. Cfr. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse del D' OVIDIO in Studii danteschi, p. 527 sgg.

4 La critica non ha finora potuto riconoscere chi sono i due giusti, ma è fuori dubbio che sono indi

[merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]

cati due personaggi. Nella canzone << Io sento sí d'amor la gran possanza », i men rei sono invece tre, ma il terzo ha bisogno d'esser tratto « fuor di mala setta » (Cfr. Zingarelli, op. cit. p. 197). Cosí non si sa niente di Arrigo. Il Davidsohn (in Forschungen zur Geschicte von Florenz) crede si tratti di Henricus Lucterii di Firenze, ma senza fondamento. Dal Giornale storico d. Lett. ital., 56, p. 174.

1 Comunque siano intese, le parole « forse cui Guido vostro ebbe a disdegno » (X, 63) implicano un giudizio intorno all' amico, che tolse « all' altro Guido

la gloria della lingua » (Purg., XI, 97-8). Cfr. Dante e lo studio della poesia classica dello Scherillo nel vol. 2o di Conferenze dantesche per opera del Comitato milanese, p. 226.

2 La spiegazione piú comune di si cola è si onora ; cosi, per tacere d'altri, intende anche il Davidsohn, che dà l'interpretazione storica di tutto il verso 120. Giorn. St. d. Lett. ital. vol. cit. p. 172.

3 Uno degli infiammati che infiammar sí Augusto (v. 68) si sospetta che fosse Gualtieri da Ocre, ma io credo che, con un'espressione cosí generica, Dante abbia voluto alludere indeterminatamente a tutti gl'invidi detrattori di P. della Vigna. Quegli che fece giubbetto, (a sé), delle (sue) case (v. 151), secondo alcuni sarebbe Lotto degli Agli. V. D'OVIDIO, Il Canto di P. della Vigna, in op. cit. p. 325.

[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small]
[merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small]

7

cato

Il Del Lungo ci offre il commento storico della terzina 73-5 (XVI), indicando le famiglie inurbatesi in Firenze e i legisti, che furono il mal della città (La gente nuova, in Dante nei tempi di Dante). Ma anche qui si ha un'allusione, dove non si può individuare alcuno. Anche nel Canto del Paradiso, ove Cacciaguida, per mostrare la caducità delle cose terrene, ricorda le famiglie degli antichi fiorentini, si torna allo stesso argomento; e là i Cerchi e gli altri corruttori della sobrietà e della pace di Firenze sono condannati in massa.

2 Secondo l'identificazione, proposta dal Luiso, si tratterebbe di Catello di Rosso dei Gianfigliazzi (Su le traccie d' un usuraio fiorentino del sec. XIII, e perciò Archivio storico italiano, 57, 3, n. 251). L'altro stemmato, degli Obriachi, non sono riuscito a sapere chi sia..

3 Fra gli orsatti, che indussero il Papa agli atti di simonia, è certo codesto cardinale, il quale, si sa, fece la pace del 18 Gennaio 1280 e n'ebbe in compenso 1000 fiorini d'oro, e forse gli altri due nipoti, che doveano avere la Toscana e la Lombardia. Occupati dalle eloquenti prefigurazioni dei due, che verranno a capofiggersi nella borsa di Niccolò III, quasi non badiamo se si possano riconoscere gli altri che precedetter (lui) simoneggiando. Ma il pre di precedetter non sta per immediatamente prima, come nel v. 82 « dopo non vale di necessità immediatamente dopo » (dal D' OVIDIO, Il Canto dei Simoniaci, in op. cit. p. 394), e manca inoltre un qualsiasi altro cenno biografico, per cui si debbano vedere imborsati Innocenzo IV, Alessandro IV, Urbano IV e Clemente IV.

4 Non è la Manto ricordata nel Limbo, e non si ha perciò una contraddizione ariostesca, dovuta, come si suppone, a dimenticanza. (V. ZINGARELLI, op. cit. p. 733, n. 451).

[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]

lani Loderingo degli Andalò Caifas e il suocero di lui Anna. Ladri, c. XXIV e XXV. - Vanni Fucci Moroello Malaspina di Giovagallo 'Cianfa Donati - Agnolo Brunelleschi Buoso degli Abati Puccio Sciane Francesco Cavalcanti. Frodolenti, c. XXVI e XXVII. — (Eteocle e Polinice) - Diomede - Ulisse Guido da Montefeltro (Guido minore da Polenta - Scarpetta degli Ordelaffi Malatesta - Malatestino Mainardo Pagani da Susinana V. Purg., XIV, 118-9 - Galasso di Montefeltro) (Silvestro) (Perillo e Falaride).

[ocr errors]
[ocr errors]

3

5

7

4

7

14

1 Il ribaldo, noto al Poeta, rimane oscuro a noi. Del significato dell'aggettivo buono « ragguardevole, notabile » discorre il Del Lungo in Dino Compagni e la sua Cron. (II, VIII, 4 e p. XXXII), e in op. cit. pp. 26 n. 7, 36 e 91; v. anche ZINGARELLI, (op. cit. p. 13). Qui, in Inf., XVI, 37 e Purg., VI, 18 io l'intendo col suo significato comune come in Purg., XIX, 143, ove risulta più evidente dal contrapposto malvagia. Esso ricorre in Inf., I, 71; in Purg., IX, 137-8, e XXI, 82. Del buon Barbarossa v. ciò che scrive il Sicardi in Giornale d'Italia (19 Dicembre, 1907) e in Giornale dantesco.

2 Vanni Fucci, predicendo l' assedio di Serravalle, allude a Moroello Malaspina di Giovagallo, senza darcene un giudizio (XXIV, 145-50); ma ciò basta perché, per la lode ch'è nel Purg. di tutta la famiglia Malaspina (VIII, 126-32), sia compreso nell' enumerazione.

3 In Inf., XXXIII, 89 Firenze è detta appunto Novella Tebe per l'odio dei due fratelli. V. Purg., XXII, 56.

+ Di Silvestro si parla incidentalmente anche prima (XIX, 117). Lo comprendo nell' enumerazione, perché ottiene di salvare l'anima di Costantino: si sa infatti che, per il Poeta, chi salva un'anima, come Gregorio quella di Traiano e gl' innocenti quelle del Purgatorio, è degno di premio.

5 << Come il bue cicilian, che mugghiò prima col pianto di colui, (e ciò fu dritto), che l' avea temperato con sua lima, » XXVII, 7-9.

« PrethodnaNastavi »