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Di una nuova edizione della "Divina Commedia "

Il commendatore Leo S. Olschki, ben noto libraio editore, espose già all'ammirazione del pubblico, nelle vetrine della sua bella Libreria di Lungarno Acciaioli a Firenze il primo esemplare della edizione monumentale del divino Poema dedicato alla Maestà del Re Vittorio Emanuele III.

Un altro esemplare si ammira all' Esposizione di Torino, uno a Roma nel Padiglione toscano alla grande Mostra etnografica, mentre gli altri aspettano, ancóra disciolti, che Gabriele D'Annunzio termini e consegni la prefazione, già da tempo promessa ed attesa, al maraviglioso volume.

Come è noto, il libro è stato stampato su bella carta a mano fabbricata appositamente dalla celebre ditta Miliani di Fabriano coll'imagine di Dante, l'imagine dell' Editore e la data nelle filograne.

Il libro è impresso su due colonne, in rosso e nero; nell' una è il testo del Poema secondo le ultime ricerche degli studiosi di Dante, nell'altra il commento storico, ma sopratutto estetico, che l'illustre dantista Giuseppe Lando Passerini, il geniale ideatore e creatore di questa edizione, ha dettato con il buon gusto e la dottrina che lo distinguono.

Deliziose silografie riproducono fedelmente le 101 figure in legno che adornano la famosa edizione Veneziana del Poema di Dante del 1491; per modo che abbiamo quasi l'illusione di avere dinanzi, nella sua integrità, uno dei piú rari e preziosi incunaboli della stampa.

Ogni Cantica è accompagnata da una grande silografia; quelle piccole stanno invece in testa ai Canti, ciascuno dei quali è ornato, al suo cominciamento, dalle grandi iniziali antiche, scelte dal Passerini di su le più celebri e belle edizioni veneziane del Quattrocento.

Oltre i trecento esemplari, già sottoscritti, sono stati tirati di quest'opera sei esemplari su pergamena con le prime iniziali di ciascuna Cantica e il nome, o le armi gentilizie, o l'ex libris del sottoscrittore, miniati a mano maravigliosamente in colori ed oro dal prof. Amedeo Nesi, un miniatore perfetto quanto modesto, vero continuatore squisito dell'arte di Oderisi da Gubbio e di Franco bolognese.

Abbiamo veduto l'ex libris del Kedivè di Egitto, quello del D'Artagnan, quello di Pierpont Morgan e quello del Besso che il Nesi ha alluminato con la sua sottile arte, deliziosamente, e le splendide iniziali miniate, per le quali egli si è inspirato alle superbe ornamentazioni Medicee de' codici Laurenziani.

Questi esemplari in pergamena, uno dei quali è destinato alla Maestà del Re, sono oramai tutti sottoscritti; e veramente sarebbe davvero desiderabile che almeno dell' edizione economica a seicento lire l'altra ne costa tremila il Comune di Firenze acquistasse un esemplare per conservarlo nella sua biblioteca 1 a testimonianza della continuità gloriosa delle

1 Ma esiste una Biblioteca comunale a Firenze? N. d. D.

Giornale dantesco, anno XIX, quad. I.

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piú caratteristiche forme della antica arte fiorentina, e in omaggio alla memoria del vostro piú grande Poeta.

In verità basta dare un'occhiata alla superba legatura eseguita dalla Officina del Tartagli, per persuadersi che i moderni artefici fiorentini sentono ed operano ancóra con l'anima degli Rinascimento.

Questa rilegatura è in tutto cuoio, e rappresenta una cornice rettangolare nella gola della quale ricorre un leggiadrissimo motivo ornamentale, impresso a freddo. Nel mezzo campeggia un medaglione, chiuso da una losanga recante nei due vertici il giglio, e il ritratto di Dante, in bronzo, nel centro. E in bronzo pure sono le borchie, i fermagli, e il medaglione che fregia il retro del volume per gli esemplari in carta a mano: per quelli in pergamena tutti questi ornamenti sono in argento di massello.

In alto è la scritta Comoedia Dantis, ripetuta nella vaghissima costola a fregi delicati e alti rilievi in cuoio.

È veramente, come abbiam detto, una delle più belle cose uscite dall'officina del Tartagli, a cui non è stato secondo lo stampatore, ché la « Giuntina», diretta dal Franceschini coadiuvato dall'opera commendevole del proto Guido Corsi e del compositore Gino Forti, hanno fatto un lavoro degno in tutto della loro maestría.

In fondo all' ultimo Canto del Paradiso, a conchiusione dell'opera, giusta l'usanza degli antichi, è la scritta latina, impressa in bei caratteri rossi, in linee digradanti fino al vertice d'un triangolo rovesciato, che dice i nomi di coloro che compierono l'alta fatica.

In nomine Domini Amen. Cantica tertia et ultima Comoediae Dantis Aligherii excellentissimi Poetae florentini cum expositione Josephi Landi

Passerini civis cortonensis feliciter explicit. Quod opus formis expressit Juntinis in inclyta Florentiae civitate Laurentius Franceschini impensis et mandato Leonis S. Olschki bybliopolae florentini, auspice Italiae Rege Victorio Emanuele huius nominis tertio anno post Christum natum undecimo supra millesimum noviesque centesimum post vero Italiae Regnum secundis constitutum auspicus anno quinquagesimo: quod utinam felix atque potens tueatur Regnatorum Regnator servetque in saecula saeculorum. Amen.

Delle silografie tratte dall' incunabolo veneziano, benché di fretta abbia io potuto sfogliare il prezioso volume, ho notato la ingenua bellezza, e il sommo interesse e l'eleganza della cornice che orna ciascuno dei grandi quadri.

E cornici ugualmente deliziose per leggiadria di acanti, di sfingi, di bucranî, di putti, di festoni intrecciati fra loro, sono quelle che inquadrano le prime pagine della superba edizione.

È inutile dire quanto lo splendore del lavoro tipografico e la cura del Commentatore, accrescano in noi il desiderio di veder l'opera ben presto fregiata della parola del Maestro, il quale, già nelle formidabili terzine del Commiato della Francesca, mostrò con quanta sagacia egli abbia penetrato lo spirito di Dante e come rudemente abbia temprato il polso a scandere col suo maglio il medesimo ritmo.

Vorremmo dire di più, ma la fugace visione che abbiamo avuta del portentoso volume, non ci permette, con rammarico, d' indugiarci, come sarebbe nostro desiderio, sull'opera del Dantologo insigne e del chiarissimo Editore, e ci limitiamo a congratularci profondamente con entrambi lieti di poter, col loro cortese consenso, recare qui un saggio delle antiche illustrazioni e del commento del Passerini.

FERDINANDO PAOLIERI.

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Et egli a me: Su per le sucide onde già scorgere puoi quello che s' aspetta, se il fummo del pantan nol ti nasconde'.

Corda non pinse mai da sé saetta che sí corresse via per l'aere snella, com' io vidi una nave piccioletta

venir per l'acqua verso noi in quella, sotto il governo d'un sol galeoto che gridava: Or se' giunta, anima fella!'

Flegias, Flegias, tu gridi a vôto', disse lo mio Signore, a questa volta! Piú non ci avrai, che sol passando il loto '.

eguitando: continuando. Il Landino: Possiamo semplicemente intendere che l'Autore volendo collegare el principio di questo Capitolo con la fine del precedente, usi

queste parole: Io dico seguitando nella narrazion mia. E nota che ben che di sopra avessi detto essere arrivato alla torre, pure torna alquanto a drieto col parlare, narrando che prima che vi fussin gionti vidono el cenno fatto in su la cima. Ma qui non è da tacere, sia fatto vero o sia favola, quel che Benvenuto e il Boccaccio riferiscono di aver saputo da un parente del Poeta, Andrea Poggi, e da un amico di lui, Dino Perini, come cioè i primi sette Canti della Comedia dall'Alighieri pensati e scritti innanzi l'esilio, e rimasti abbandonati a Firenze, fosser dipoi ritrovati e mostrati a Dino dei Frescobaldi che si affrettò a rimandarli all'esule poeta per mano del marchese Moroello Malaspina: per la qual cosa rientrato nel pensiero antico' di scrivere in un poema della vita oltremondana, l'Alighieri, riassumendo la intralciata opera, disse in questo principio del Canto ottavo Io dico, seguitando, alle cose lungamente intralasciate.'

n'andâr:

si volsero in su, verso la cima della torre. per: a causa, attratti da due fiammelle che vi apparvero sopra. et un'altra: alle quali un'altra fiammella rispose. Dai cenni di castella' (Inf., XXII, 8), che si usavano in guerra per regolare i movimenti delle milizie, toglie Dante l'idea di questi fuochi sulle torri infernali. tanto: cosí di lungi, che appena l'occhio arrivava a scorgerle. ¶ al mar: a Vergilio. Cfr. Inf., VII, 3. Questo: il fuoco delle due fiammette,' al quale rendeva cenno l'altro più lontano. Le prime due fiammelle apparse sono un avviso mandato alla città di Dite dell' avvicinarsi di Dante e Virgilio, l'altro il segno che l'avviso è stato inteso.' Casini. sucide onde: le bigie acque della palude Stigia. ¶s'aspetta: sta per accadere. se il fummo: se non te ne Corda non pinse: cioè, corda

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vieta la veduta la caligine che sale dalle acque dello stagno. tesa d'arco non lanciò mai freccia che tanto rapidamente corresse rompendo l'aria. Cfr. Eneida, X, 247. in quella: intanto che Vergilio rispondeva alle domande di Dante. sotto il governo: fidata alle mani d'un sol navicellaio. galeoto: colui che serviva alle galee: ma qui nomina

Quale colui che grande inganno ascolta che gli sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegias ne l'ira accolta.

Lo Duca mio discese ne la barca, e poi mi fece entrare appresso lui; e sol quand' io fui dentro, parve carca.

galeoto il governatore d'una piccola barchetta.' Boccaccio. Cfr. Purg., II, 27. ¶ se' giunta: se' raggiunta, se' finalmente venuta alle mie mani. ¶ anima fella: cioè, malvagia. E volge qui il grido di minaccia ai due che sopraggiungono usando il singolare pel plurale: e non solamente a Dante o solamente a Vergilio, come qualcuno intende. Di che son prova le parole del Mantovano, che risponde al 'galeoto' per sé e per Dante (v. 21). Flegias: il figliuolo di Marte e di Crise. Sdegnato perché Apolline gli aveva violata la figliuola Coronide, incendiò il tempio di Delfo, e fu perciò cacciato nell' Inferno, dove Dante finge che sia nocchiero guidante alla città di Dite le anime de' dannati. ¶ a questa volta: per questa volta: dacché, né io che parlo, né questi che vien meco, siam tali quali tu credi. Piú: per maggior tempo. ¶ che sol passando: se non quel tempo che occorre per far la traversata dello Stige. ¶ loto: fango. Le lutulente acque della palude. ¶ Quale colui: come chi, credendo vero ciò che non è, fatto accorto da altri del proprio errore, si maraviglia per l'inganno nel quale è caduto e si accora di dover cangiare consiglio, cosí Flegias, che dovette trattenere la sua ira, consumar dentro sé con la sua rabbia.

accolta: nell' Eneida, IX, 63: 'collecta fatigat edendi, Ex longo rabies.'¶ parve carca: pel peso del corpo di Dante. ¶ secondo: navigando secava l'acqua piú che non soleva quando trasportava soltanto delle ombre.

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Tosto che il Duca et io nel legno fui, secando se ne va l'antica prora de l'acqua piú che non suol con altrui. Mentre noi correvam la morta gora, dinnanzi mi si fe' un pien di fango,

e disse: Chi se' tu che vieni anzi ora?'

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Et io a lui: S' io vegno, non rimango; ma tu chi se', che sei sí fatto brutto?' Rispuose: 'Vedi ch' 'i son un che piango'.

Et io a lui: Con piagnere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani, ch' io ti conosco, ancor sie lordo tutto '.

antica: cfr. Inf., I, 116. ¶ prora: prua, la parte anteriore della nave. ¶ correvam: trascorrevamo per le ferme e dense acque della palude. ¶un: messer Filippo degli Adimari di Firenze, di quel ramo della casata che fu detto de' Cavicciuli (cfr. Decameron, IX, 8, 34). Cavalliere di grande vita e burbanza, e di molta spesa, e di poca virtude e valore ' lo dice l'Ottimo, e, secondo il Boccaccio, 'uomo di persona grande, bruno e nerboruto, e di maravigliosa forza, e piú che alcun altro iracundo, eziandio per qualunque menoma cagione'; signore ricchissimo, alcuna volta fece il cavallo, il quale usava di cavalcare, ferrare di ariento, e da questo trasse il soprannome.' Nelle Novelle del Sacchetti (114) si ha di un Adimari, giovine altiero e poco grazioso, che dava molestia a' passanti cavalcando per le vie di Fiorenza con le gambe troppo aperte: di che Dante, ch'era de' Priori, lo fe' condannare. ¶ anzi ora: innanzi morte, ancor vivo. S'io vegno: toglie d'inganno l'Argenti, il quale credeva forse di aver in Dante un altro compagno di duolo: s'io vengo, non rimango, come tu pensi, nell' Inferno, ma vi passo come pellegrino per vedere le vostre pene (Inf., XII, 21). ¶ brutto: sporco, pien di fango. Cfr. il v. 32. Vedi: come voglia dire, sdegnoso della curiosità di Dante, che t'importa di saper il mio nome? ti basti saper di me quel che tu stesso puoi argomentare solo vedendomi: io sono uno che piange. Con biangere: la secca risposta dell'Argenti fa traboccare d'un tratto tutto

Allora stese al legno ambo le mani; per che il Maestro, accorto, lo sospinse dicendo: Via costà, con gli altri cani!'

Lo collo poi con le braccia mi cinse, baciommi il vólto, e disse: Alma sdegnosa, benedetta Colei che in te s' incinse!

Quei fu al mondo persona orgogliosa ; bontà non è che sua memoria fregi : cosí s'è l'ombra sua qui furiosa.

il disprezzo del Poeta verso quel suo contemporaneo e concittadino, a lui ben conosciuto: che vale che tu mi taccia il nome tuo, s'io, ben guardandoti, ti riconosco, se bene il fango, che tutto ti imbratta, renda a prima vista irriconoscibili le tue fattezze? Rimani pur con la tua tristezza, che è giusta cagione del tuo pianto. Allora: a queste amare parole il dannato risponde con un gesto violento, cercando di afferrare la sponda del navicello e di travolger

Inferno. Canto II.

Dante nel fango della palude. per che: in séguito al quale atto brutale dell'Argenti Vergilio, prontamente accorrendo al riparo, impedisce al dannato di mettere in opera il reo proponimento respingendolo indietro nell'acqua. Via costà: torna in compagnia degli altri dannati, anime di cani come la tua. Si ammiri col Torraca tutta questa scena rapidissima e, insieme, evidentissima, per la viva e forte rappresentazione di sentimenti e di movimenti.' Lo collo poi: castigato lo spirito fangoso, Vergilio si gettò al mio collo abbracciandomi e baciandomi.

Alma sdegnosa: cioè, nobile ed altera, pel dispregio manifestato contro l'ignobile e basso spirito dell'Argenti. Colei: quella che fu la tua madre, la donna che ti concepí. È l'unico accenno che Dante fa nel Poema alla sua madre, e uno de' pochi che vi si trovano intorno a gente del suo sangue. Cfr. Luca, XI, 27. ¶ Quei: Filippo Argenti. fregi: adorni e nobiliti la sua memoria nel mondo, dove si ricorda solamente il suo dismisurato orgoglio. q cost: per questa ragione, cioè per essere ancóra orgoglioso come fu nella prima vita, per ritrovarsi, egli, il superbo, cosí umiliato e lordo di fango, e per la disonorata memoria che rimane di lui in terra. si tengon: sono stimati ora, dai mortali, là su.' regi: re, o, in generale, uomini di grande condizione e autorità e magnificenza. che qui: i quali fra breve, cioè dopo morte, troveranno qui il meritato castigo alla loro superbia smodata e vana. ¶ in

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Quanti si tengon or la su gran regi, che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi !

Et io: Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda, prima che noi uscissimo del lago'.

Et egli a me: Avanti che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disío converrà che tu goda'.

Dopo ciò poco io vidi quello strazio far di costui a le fangose genti, che Iddio ancor ne lodo e ne ringrazio.

brago: nella melma: come porci immondi. orribili dispregi: memoria di cose orribili e meritamente da dispregiare.' Boccaccio. vago: desideroso. in questa broda: la sudicia acqua della palude. Broda e brodaglia, si diceva al tempo di Dante e si dice ancóra in Toscana al superfluo della minestra e di altri cibi, insieme mescolati, o alla bollitura della pasta o d'altro, che si gettä a' porci, nel truogolo. Avanti: prima che noi scorgiamo la proda dove col nostro legno sarem deposti, o prenderemo terra. ¶ sarai sazio: soddisfatto; ti godrai ben lo spettacolo di che sei vago. converrà: bisognerà, perché tu possa giovarti di tanto esempio.

Dopo ciò poco: cioè, appena che Vergilio mi ebbe rassicurato su questo punto. ¶ vidi: osservai i compagni di duolo di Filippo Argenti fare di costui tale strazio, che ancóra ne lodo e ne ringrazio Iddio. ¶ fangose genti: gli invidiosi, in eterna zuffa con l'anima dell'Argenti, esempio di superbia punita. A Filippo: cioè, dàgli, dàgli. Il Torraca ricorda che A loro! a loro! era, nel medio evo, il grido delle schiere che muovevano all'assalto'; ma qui il richiamo storico è superfluo, perché tale grido di allarme è ancor vivo tra noi. Al ladro! all'assassino! si urla sempre, dalla folla accanità

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