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Purgatorio. Canto VI.

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più o meno ambigue, quelle predizioni, contenute in pensieri, espressi a mezzo o con parole di colore oscuro', quindi più atte a incuter quel vago terrore che è all'anima più grave e terribil peso dell'aperta verità, qualunque essa sia. ¶ tetragono: il tetraedro o piramide triangolare, la cui superficie è formata di triangoli uguali ed equilaterali, ed ha quattro angoli solidi, è opportunamente tratto a significare lo stato dell'animo forte, immutabile davanti alla sventura, come già la stessa parola esprime lo stesso concetto in Aristotele (Ethic., I, 10)'. Casini. Mostrando tutta la serenità del suo animo, disposto a incontrar con sicura fortezza la piaga de la fortuna' (Conv., I, 3), il Poeta pensa di incoraggiar Cacciaguida a parlargli aperto, senza alcun sottinteso, senza alcun pietoso eufemismo. per che: cioè, essendo io cosí parato ¶ a tutto. Insiste sul primo concetto, per togliere ogni dubbio, per provocare una risposta aperta e sicura: e, come a giustificar la voglia' sua, aggiunge súbito: saetta previsa vien piú lenta ', cioè, fa minor danno, perché dà tempo a prevederne e ripararne le ruine. come volle Beatrice: la quale aveva confortato Dante a mandar 'fuor la vampa Del suo disío... sí ch'ell'esca Segnata bene de l'interna stampa ' (vv. 7-9). ¶ per ambage: oscuramente, in modo ambiguo. Cacciaguida rispose chiaramente, secondo il desiderio del Poeta, non per parole incerte o tronche o vaghe come usavano dar gli oracoli delle divinità dei Gentili. Vergilio della Sibilla cumana (Eneida, VI, 98): Cumaea Sibylla Horrendas canit ambages'. ¶ folle: per insane credenze. ¶ s'inviscava: si perdeva; lasciandosi allettare e prendere come uccelli alle panie. ¶pria che fusse: prima che l'Agnello del Signore, immolandosi per la salute nostra, avesse tolto di seggio gli oracoli e gli Dei del paganesimo. l'Agnel: cfr. Purg., XVI, 18. ¶ latin: qui, per linguaggio, in generale. Preciso latin', chiara ed aperta favella: non per ambage' (v. 31). quell' amor: la cara piota', l'anima di colui che già aveva chiamato Dante suo 'figlio' (Par., XV, 52), e dal Poeta stesso era stato invocato col dolce nome di padre. Voi siete il padre mio...' (Par., XVI, 16). chiuso: racchiuso e pur visibile, a traverso il suo splendore. ¶ del suo... riso: il riso de' beati e 'l loro letiziare, sta, dice il Cesari, nel risplender loro più e meno... Or questo luccicar li chiude e li manifesta: li chiude, perché fascia le anime ;... li manifesta, perché in quel lucore si pare la loro letizia e l'affetto. La contingenza: le cose contingenti, non necessarie, che non esistono fuori del mondo materiale; perché nel mondo de' beati tutto è per eterna legge stabilito'. Biagioli. del quaderno: cfr. Par., XV, 79; XXXIII, 87. ¶ necessità: intendi, col Tommaseo: le cose non

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necessità però quindi non prende,

se non come dal viso in che si specchia, nave che per corrente giú discende.

Da indi sí, come viene ad orecchia dolce armonía da organo, mi viene a vista il tempo che ti s' apparecchia. Qual si parti Ippolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene.

Questo si vuole, e questo già si cerca, e tosto verrà fatto, a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dí si merca.

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necessarie, che han luogo nel mondo, veggonsi in Dio; ma la prescienza di lui non toglie all'uomo libertà, come l'occhio che vede la nave non forza il suo moto'. A questo modo Dante, osserva il Torraca, dommaticamente e per incidenza dà per risoluta una questione difficilissima, come aveva fatto lo stesso san Tommaso'. ¶ se non: al modo che la nave, scendendo a seconda della corrente, non subisce alcuna spinta al suo moto dall'occhio che la scorge. 'Sicut ille qui

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La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa.

Tu lascierai ogni cosa diletta piú caramente; e questo è quello strale che l'arco de l'esilio pria saetta.

vadit per viam, non videt illos qui post eum veniunt; sed ille qui ab aliqua altitudine totam viam intuitur, simul videt omnes transeuntes per viam'. Summa theol., I, 14, 13. ¶ viso: cfr. Inf., IV, 11. Da indi: dal divino aspetto (v. 39). mi viene: prendo cognizione delle cose che ti si van preparando, come da un organo perviene alle orecchie dell'ascoltatore una dolce armonía. Veramente, a prima vista, la comparazione sembra poco opportuna: dolce armonía' le tristi cose che Cacciaguida apprende intorno alla vita futura del suo consanguineo? Secondo l'Ottimo si deve intendere: E' mette in similitudine dolce però che le battiture di Dio nel mondo sono a correzione: onde l'Apostolo: Colui cui Iddio ama, corregge e gastiga. E per l'affezione caritativa che costui ha a Dante, li è dolce ch'elli sia corretto anzi nel mortale mondo, che ne lo eternale, et anzi a tempo che in infinito'. Ma forse a tutte queste sottigliezze non pensava Dante, quando facea parlar Cacciaguida: il quale paragona le cose che vede in Dio alle dolci armonie dell'organo, non per quel che le cose significano ma per l'alta fonte donde e' le attinge: nel cospetto eterno'. Qual si partí: qui si incomincia la profezia di Cacciaguida, la quale accenna allo sbandimento di Dante da Firenze, alle ragioni di cotale sbandimento, alle durezze del triste esiglio, al refugio del Poeta presso i Signori veronesi. Ippolito: figliuolo di Teseo (Inf., IX, 54; XII, 17) duca di Atene e della regina delle Amazzoni Ippolita. Avendo ricusato di soddisfare le scellerate voglie della matrigna Fedra, la lussuriosa figliuola di Minos (Inf., V, 4) e di Pasifae (Purg., XXVI, 41), fu da costei, per vendetta, accusato al padre di averla voluta violentare; onde, immeritamente, fu bandito da Atene. Cfr. Metam., XV, 493 segg. ¶ noverca: Fedra: detta da Ovidio (ivi) sceleratae fraude novercae'. ¶ tal: cioè, senza colpa, falsamente accusato. Qui l'accusatrice, la noverca, è Fiorenza; la patria ingrata. Il verso è grave, è lento, par che grondi lacrime e sangue: Tal di Fiorenza partir ti convene!' ¶ Questo si vuole: questo, questo: è ciò che si desidera, è ciò di cui si va con ogni studio preparando l'avvento. Si vuole', è nel pensiero de' tuoi nemici, si cerca', si aspetta l'occasione propizia per sfogar questo odio che cova nel cuore degli uomini di parte nera. E l'occasione, desiderata, secondo afferma Cacciaguida, fin dal 1300, finalmente si presentò. Intanto che Dante era a Roma presso il Pontefice (Compagni, II, 25) ambasciatore de' Guelfi bianchi, dai Neri, che avevano in Firenze pe' maneggi di Bonifazio e con l'aiuto di Carlo di Valois tolto la Signoría, una prima sentenza fu bandita contro l'Alighieri il 27 di gennaio del 1302, per la quale egli era dannato, con Palmerio degli Altoviti, Lippo Becchi e Orlanduccio Orlandi a pagare un' ammenda di cinquemila lire di fiorini piccoli, sotto l'accusa di aver commesso baratterie, non leciti guadagni, estorsioni malvagie in danari e in robe, e di aver maneggiato contro il Papa, Carlo di Valois e la parte guelfa. E se la sopra detta multa, nel termine di tre dí dal bando della sentenza, non fosse stata sborsata, la sentenza stessa ordinava fossero invasi e guasti i beni dei condannati, e, ad ogni modo, dovesser essi stare a confino per due anni fuor di Toscana, ed essere per sempre privati d'ogni publico officio e beneficio pel Comune o dal Comune di Firenze, nella città, contado o distretto o altrove. Alla qual prima condanna, quaranta giorni di poi, il 10 di marzo, un' altra ne seguitò, per la quale Dante Alighieri, non avendo obbedito alla citazione del 27 gennaio, considerato come reo confesso, era, con altri quattordici compagni di sventura, condannato al rogo ove pervenisse in potere della Republica. Si quis praedictorum ullo tempore in fortiam dicti Communis pervenerit, talis perveniens igne comburatur, sic quod moriatur'. ¶ tosto in brev'ora, di far questo che si vuole' e 'già si cerca' in Firenze, sarà agevole a Roma, nella Corte papale, dove si dovrebbe onorar Cristo e di Cristo si fa invece turpe quotidiano mercato. Ben nota il Torraca, che lo stesso rimprovero era stato fatto alla Corte romana molte altre volte: ma, forse, non mai con tanta forza e in cosí poche parole. È dalla Corte papale, è dal papa Bonifazio che la ruina di Dante e tutti i mali suoi ebber

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cagione e principio; di Dante, che ne' Consigli della sua città si era professato sempre palesemente e recisamente contrario a' maneggi del Pontefice, il qual mirava a rendersi padrone delle cose fiorentine. Basterà ricordarsi infatti come, fin dal tempo del suo Priorato da mezzo giugno a mezzo agosto del 1300 l'Alighieri partecipasse direttamente, co' suoi compagni, alla resi

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stenza del Comune guelfo nero, e come in un Consiglio del 19 giugno 1301 egli si opponesse alla concessione di un aiuto di cento militi che il cardinal Matteo d'Acquasparta, legato di Bonifazio VIII, chiedeva a Firenze nel nome e per il servigio del Papa. 'De servitio domino Papae faciendo de centum militibus, secundum formam literarum domini Mathei cardinalis... Dante Alagherii consuluit, quod de servitio faciendo domino Papae nihil fiat'. ¶ seguirà: sarà data tutta, al solito (come suol') ai vinti ('parte offensa '): guai ai vinti! il grido' popolare, la fama, sarà contr'essi: si avranno cosí il danno e le beffe. Hoc tantum dixerim, ultimam esse adversae fortunae sarcinam, quod dum miseris aliquod crimen affingitur, quae perferunt meruisse creduntur'. Boezio, De consol, Philos., I, 4. Cfr. Conv., I, 3. qin grido: quel che oggi si direbbe la opinione publica. L'accusa contro Dante e i compagni suoi

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di sventura, nel decreto di Cante Gabrielli di Gubbio, appunto sulle diceríe che correvan per la città si appoggiava: ex eo quod ad aures nostras et Curie nostre notitiam, fama publica referente, pervenit'. ¶ ma la vendetta: la vendetta di Dio, che non teme suppe (Purg., XXXIII, 36); e nemmeno il grido', la fama corrente, farà pronta e aperta giustizia de' veri rei. Qui le parole del bisavolo di Dante sono specialmente rivolte a Bonifazio VIII, il quale, 'soli diciassette mesi dopo la condanna del Poeta, patí l'oltraggio di Anagni e ne morì e andò all'Inferno'. Torraca. Cfr. Purg., XX, 80 segg.; Inf., XIX, 53; Par., XXX, 148. E si ricordino le parole del Compagni (II, 33) che paion chiosar questi versi della morte del Papa 'molti ne furono contenti e allegri... e specialmente... i Bianchi e i Ghibellini, perché era loro cordiale nimico'; e del Villani (VIII, 64): Iddio fece punire lui per lo modo ch'è detto, e poi l'offenditore puní'. Insomma, quell' oltraggio e poi quella morte furon tenuti da molti come un vero e proprio effetto della vendetta' divina. ¶fia testimonio: sarà una vendetta manifesta (cfr. Purg., VI, 101), la qual farà testimonianza del vero', che punisce secondo il merito '. Scartazzini. Tu lascierai: ha detto che qual si partí Ippolito d'Atene', tal dovrà Dante partirsi di Fiorenza: accenna ora, particolarmente, a' dolorosi effetti di quella dipartenza: e l'ac

Tu proverai sí come sa di sale il pane altrui, e com'è duro calle lo scender e 'l salir per l' altrui scale,

e quel che piú ti graverà le spalle, sarà la compagnía malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle;

cenno è pieno di mestizia, sconsolato ed amaro ogni parola, ogni accento pare un rintocco funebre, un colpo di martello. Tu lascierai... tu proverai.... E quel che più ti graverà... ogni cosa: tutto: nessuna delle cose più caramente dilette potrà seguirti nella triste tua fuga e nella tua fortuna; rimarrai solo e lontano, povero e ramingo, senza conforti e senza speranze, con l'anima piagata e il cuore in sussulto,

'nave sanza nocchiero in gran tempesta!' e questo: né questo è tutto questo è solamente il primo colpo, la prima ferita al cuor dell'esule: lo strale Che l'arco de l'esilio pria saetta!'. Tu proverai: sbalestrato fuor dalla patria, lontano dalla dolce casa, privato del caro aspetto della moglie e dei figliuoli, senza denari e senza robe, sarai costretto a limosinare, a chiedere altrui la carità di un pane, a provar quel che costi, lo scendere e il salir per le altrui scale '.

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'Poiché fu piacere de' cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, - scrive Dante di sé nel Convivio (I, 3), - di gettarmi fuori del suo dolcissimo seno, - nel quale nato e nudrito fui fino al colmo de la mia vita, e nel quale, con buona pace di quelli, desidero con tutto il cuore di riposare l'animo stanco, e terminare il tempo che m'è dato, per le parti quasi tutte, a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contro a mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertà. E sono vile apparito a gli occhi di molti, che forse per alcuna fama in altra forma mi aveano imaginato; nel conspetto de' quali non solamente mia persona invilío, ma di minor pregio si fece ogni opera, sí già fatta, come quella che fosse a fare'. Bella pagina piena di verità e di angoscia, che non può esser letta mai senza fremiti e senza lacrime da chi sa le vie e i triboli del dolore umano. qsa di sale: è amaro. duro ingrato. E quanto piú ingrato ad un uomo qual era Dante, di cuore magnanimo e di altissimo ingegno, ed avvezzo fin dalla fanciullezza al vivere onorato e tranquillo che la fortuna della sua casa, lieta, - dice il Boccaccio, - secondo la qualità del mondo che allora correa ', potea facilmente procurargli ! Sappiam di fatti che Dante ebbe case in Firenze assai decenti, possessioni in Camerata e nel Pian di Ripoli, e se negli ultimi anni del suo soggiorno a Firenze ebbe a contrarre debiti (cfr. Gior. dant., XVIII, 53 segg.) ciò non parrà, come afferma lo Scartazzini indizio di molta ricchezza ', ma non sarà neppure prova di quella povertà che secondo qualche moderno biografo avrebbe afflitto il Poeta, e sarebbe argomento gravissimo contro la nobiltà della sua stirpe. ¶ ti graverà: ti sarà sopra ogni altro peso grave e doloroso. ¶ la compagnia: il trovarti mescolato con gente cattiva d'animo ('malvagia ') e scarsa di senno ('scempia'). ¶ in questa valle: nell'esilio. Si allude dunque manifestamente a coloro che furon banditi dalla città, per cagioni politiche. ¶ ingrata: e ingrata per pazzia, e per malignità. ¶ si farà: ti si farà nemica. Perché, come e quando, è ignoto. Si ricordi per altro che nel 1304 Dante scriveva nel nome degli altri esuli di parte bianca una epistola al cardinale Niccolò da Prato, e poco di poi si doleva, in un'altra epistola, co' nepoti di Alessandro da Roména capitano de' Bianchi, della morte del loro zio. qpoco appresso: poco dopo il manifestarsi della loro ingratitudine essi, non tu, avran ragione di dolersi, di vergognarsi del loro incauto operare. Ma per qualcuno aver rossa la tempia' alluderebbe a ferimenti e spargimento di sangue, con riferimento al disgraziato tentativo della Lastra, nella state del 1304, quando gli esuli tentarono, armata mano, di rientrare a Firenze e non vi riuscirono per la fretta di Baschiera della Tosa, che senza attendere i rinforzi degli altri sbanditi, vinto piú da volontà che da ragione', con poca sebben bella gente', dice il Compagni (III, 10) credendosi guadagnare il pregio de la vittoria, chinò giú co' cavallieri a la terra'. Dante si sarebbe opposto al tentativo, provocando l'ira e i sospetti de' compagni. Ma non poco improbabile è l'ipotesi del Torraca, che le allusioni contenute in questi versi si riferiscano a tempo di due mesi anteriore al mal riuscito tentativo della Lastra, e cioè alla chiamata in Firenze, per parte del cardinale Niccolò, di dodici sindaci de' fuorusciti a trattar la pace co' Neri (Compagni, III, 7; Villani, VIII, 69): tra i quali Dante Alighieri, che pur fu uno de' principali governatori della parte

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ché tutta ingrata, tutta matta et empia si farà contro a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.

Di sua bestialitate il suo processo farà la pruova; sí che a te fia bello averti fatta parte per te stesso.

Lo primo tuo rifugio e 'l primo ostello sarà la cortesía del gran Lombardo, che in su la scala porta il santo uccello:

che in te avrà sí benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia prima quel che, tra gli altri, è più tardo. Con lui vedrai colui che impresso fue, nascendo, sí da questa stella forte, che notabili fien l'opere sue.

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e uno de' soscrittori del patto con gli Ubaldini a San Godenzo, non figura in nessun modo. Fu forse escluso per gli intrighi de' compagni malvagi e scempi? Certo è che i sindaci mandati in Firenze, per loro inettitudine se ne tornarono indietro con danno e con beffa, senza avere nulla conchiuso. il suo processo: il modo inetto di adoperare della compagnia de' Bianchi, sarà prova della sua bestialità: sí che sarà per te un vanto l'esserti discostato da essi, l'aver fatto parte per te stesso. Queste aspre parole di Cacciaguida rispondono all'animo fortemente sdegnato di Dante, il quale, qualunque ne fosse la cagione, aveva certamente forti motivi di dolersi contro i compagni, che, al modo suo di vedere, mal si comportavano, e con atti sconsigliati compromettevano la buona riuscita della causa comune. ¶ primo: par proprio di dover intendere, dopo la separazione dagli altri esuli. gran Lombardo: uno Scaligero. I signori di Verona recavano nello scudo una scala alla quale si aggiunse poi, per concessione imperiale, l'aquila, il santo uccello'. Secondo la più diffusa opinione il primo ospite cortese del grande sbandito sarebbe stato Bartolommeo della Scala, figliuolo di Alberto (Purg., XVIII, 121): ma egli era già morto nel marzo del 1304, quando Dante era ancóra unito con gli altri Bianchi, o non è provato in modo certo che se ne fosse partito. Né può esser Cangrande, che tenne la signoría dal 1312, dopo la morte di Alboino, e, meno ancóra, Alberto, come pensava il Boccaccio, senza badar che egli era morto quando Dante non era anche sbandito. Piú probabile, dunque, l'opinione del Vellutello e di altri, oggi ripresa e difesa dal Del Lungo, che qui si tratti appunto di Alboino I, succeduto nella signoría di Verona al fratello Bartolommeo nel marzo 1304 e morto nel 1311, sebben di lui, com'è noto, Dante scrivesse nel Convivio (IV, 16) parole che suonano, per alcuni commentatori, biasimo, o addirittura disprezzo. Ma nel Convivio, chi' ben legga, non è né biasimo né disprezzo: ragionandosi intorno al valore del vocabolo nobile, quivi è detto che errano coloro i quali credono esser nobile ciò che da molti è nominato e conosciuto: ché se ciò fosse, quelle cose che piú fossero nominate e conosciute in loro genere, piú sarebbero in loro genere nobili... e Albuino de la Scala sarebbe piú nobile che Guido da Castello di Reggio'. Il che vuol dire che Alboino, che pure è tra' signori piú nominati e conosciuti, non è piú nobile di Guido da Castello: ma non ch'e' sia men nobile di lui, o che non sia nobile affatto. E ad ogni modo, se anche in quelle parole del Convivio si vuol trovar biasimo o disprezzo, non potrebbe la gratitudine verso Alboino aver fatto più tardi cambiare opinione all' ospitato Poeta? che in te: ha già detto la cortesía del gran Lombardo': qui, scendendo a particolari, spiega in che specialmente quella cortesía consista. Queste lodi trovan riscontro nel passo di Ferreto da Vicenza (III) citato dal Torraca, dove di Alboino è detto: non avaro di aiuti a quelli cui si sapeva legato da parentela o da benevolenza, liberalmente prodigava le sue forze e le sue ricchezze'. ¶ Con lui: troverai nella sua Corte Cangrande I della Scala, terzo de' figliuoli di Alberto I, nato il 9 di marzo 1291. Sposò Giovanna figliuola di Corrado d' Antiochia, e fu dal fratello associato alla signoría di Verona nel 1311. Mori nel 1329. Se l'ospite di Dante fosse stato Bartolommeo, l'Alighieri avrebbe trovato in Corte, oltre Cangrande, anche Alboino: e non si capirebbe perché avesse dovuto nominare uno solo de' due fratelli; forse perché Alboino non fu piú nobile di Guido da Castello ? qda questa stella: siamo nel cielo di Marte, che propriamente significa li cavallieri armati e tutte le congiurazioni de l'arme,... e però fu chiamato deo di battaglie '. Ristoro d' Arezzo, I, 18. ¶ l'opere sue: Cangrande I apparve a Dante e ai suoi contemporanei come ristoratore del nome

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Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste ruote intorno di lui torte;

ghibellino e dell'autorità imperiale nell'Italia superiore tanto che parecchi, a cominciare nel secolo XIV da Gidino di Sommacampagna, poi il Vellutello e non pochi altri commentatori, ravvisarono in lui il veltro liberatore, desiderato e augurato dall' Alighieri '. Casini. novella: fresca, giovine. ¶ pur nove: è nato solamente nove anni or sono; cioè nel 1291. ¶ ma pria: ma le genti ben si accorgeranno del valore di Cangrande innanzi che il papa Clemente V di Guascogna inganni Arrigo VII imperatore (Par., XXX, 142 segg.), da prima incoronandolo in Roma (1312), e di poi osteggiandolo. ¶ in non curar: nel suo disprezzo delle ricchezze e dei disagi. Racconta

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