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ma, pria che il Guasco l'alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute

in non curar d'argento né d'affanni.

Benvenuto: dum pater eius duxisset eum semel ad videndum magnum thesaurum, iste illico levatis pannis minxit super eum: ex quo omnes spectantes iudicaverunt de eius futura munificentia per istum contemptum pecuniarum'. ¶ st, che: non potran tacerne neppure i suoi nemici ciò che è la più singolar prova e il piú alto segno della virtú. Delle lodi di Cangrande riboccano in vero le cronache antiche e altissime ne fa Dante stesso nella epistola che gli diresse, dedicandogli la Cantica del Paradiso. t'aspetta: ti fida. Si allude alle cortesie che Cane usò al Poeta quando egli fu ospite suo nella Corte veronese, nel 1320, l'anno in cui Dante disputò intorno alla questione dell' acqua e della terra in sacello Helenae gloriosae coram universo clero veronensi... dominante invicto domino Cane Grandi de Scala pro Imperio sacrosancto romano'. ¶ cambiando condizion: saran per lui umiliati i superbi e innalzati gli umili. Iscritto: nel libro della memoria. ¶ e disse: disse di lui cose si grandi, che, narrate, non si crederebbero. Ma Dante le tace

di necessità, alludendo qui alle imprese del suo eroe, ancor non compiute ma solamente sperate quando scriveva questo Canto. Cangrande visse fino al 1329. le chiose: gli ¶le

schiarimenti da te desiderati, intorno alle profezie di Farinata, del Latini e di altri. Cfr. Inf., XV, 89, Purg., XI, 141. ecco: cioè, ora non ti sono ignote le cose che ti si preparano nel corso di pochi anni (pochi giri). Non vo': intendi: non Voglio che tu abbi per questo a odiare i tuoi concittadini (vicini, Inf., XVII, 68) giacché le loro perfidie già saranno punite e tu vivrai nella memoria e nell' ammirazione de' posteri'. Ronchetti. ¶ si mostrò cioè, mostrò d' aver finito di rispondere alla mia domanda. trama: il filo col quale, tessendo, si riempie l' ordito. Cfr. Par., III, 95. ¶ dubitando ossia, con reverenza, col fare dubitoso di chi è davanti a un suo maggiore.

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vede, e vuol: conosce e pratica la virtú. ¶ ama: chi ricorre a lei, per consiglio. ¶ sprona: corre, si affretta. ¶ s'abbandona: si lascia sopraffare, cogliere alla sprovvista: ché saetta previsa vien piú lenta ', fa minor danno. ¶ gli altri: i luoghi che mi saran di refugio negli errori dell'esilio. ¶ per miei carmi: a cagion de' miei versi. 'Dante s'augurava di vivere ancóra dopo la pubblicazione del Poema, e prevedeva che questo avrebbe suscitato dispetto ed ira quasi in ogni parte d'Italia'. Torraca. ¶ lo

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Le sue magnificenze conosciute saranno ancóra sí, che i suoi nimici non ne potran tener le lingue mute.

A lui t'aspetta et a' suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendíci;

e portera' ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai;' e disse cose incredibili a quei che fien presente.

Poi giunse: Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le insidie che dietro a pochi giri son nascose.

Non vo' però ch' a' tuoi vicini invidie,
poscia che s'infutura la tua vita
vie piú là che il punir di lor perfidie. '

Poi che, tacendo, si mostrò spedita
l'anima santa di metter la trama
in quella tela ch' io le pòrsi ordita,

io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede, e vuol direttamente, et ama:

'Ben veggio, padre mio, sí come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch'è più grave a chi tal, ch'è più grave a chi piú s'abbandona;

per che di provvedenza è buon ch'io m'armi sí, che se loco m' è tolto più caro, io non perdessi gli altri per miei carmi.

Giú per lo mondo sanza fine amaro,

e per lo monte del cui bel cacume
gli occhi de la mia donna mi levaro,

e poscia per lo ciel di lume in lume, ho io appreso quel, che, s' io ridico, a molti fia savor di forte agrume;

e s' io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico.'

La luce in che rideva il mio tesoro, ch' io trovai lí, si fe' prima corrusca, quale a raggio di sole specchio d'oro; indi rispuose: 'Coscienza fusca o de la propria o de l'altrui vergona pur sentirà la tua parola brusca.

Ma nondimen, rimossa ogni menzogna, tutta tua vision fa' manifesta;

e lascia pur grattar dov'è la rogna Ché, se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nutrimento lascierà poi, quando sarà digesta.

!

Questo tuo grido farà come vento, che le piú alte cime piú percuote; e ciò non fia d'onor poco argomento. Però ti son mostrate in queste ruote, nel monte e ne la valle dolorosa, pur l'anime che son di fama note;

ché l'animo di quel ch' ode, non posa, né ferma fede per esemplo ch'àia la sua radice incognita e nascosa,

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mondo: l'Inferno. lo monte: del Purgatorio, sulla cui vetta (cacume') è il Paradiso terrestre. ¶gli occhi: cfr. Par., I, 64-65. ¶ di lume: di pianeta in pianeta. Dante si riferisce specialmente a ciò che ha udito contro gli Angioini, contro i Signori della Marca trivigiana, contro i francescani e i domenicani'. Casini. ¶fia: saprà di amaro.

s' io al vero: cioè, tacendo. ¶ viver: fama, rinomanza. Dell'amor di Dante per la verità è continua prova il Poema, son prova tutte le sue altre opere e le azioni a noi note della sua vita. Cfr. specialmente Conv., IV, 8; De Mon., III, 1; Epist., VIII, 5.

coloro i posteri. ¶ il mio tesoro : la luculenta anima di Cacciaguida. E dice mio, con affetto. : nel cielo di Marte. ¶ quale: bellissimo verso sfolgoreggiante di colore e di luce, uno de' piú armoniosi del Poema. Coscienza: solamente (pur') ¶ colui che ha la coscienza macchiata (fusca') per propria colpa o di suoi congiunti, si sentirà punto dalla tua parola. ¶ tua vision: cioè, le cose tutte che hai vedute nel mistico viaggio. e lascia: e non ti ¶ curar di coloro che, colpiti, se ne dorranno. Verso di una rozzezza forte ed efficace, pieno di giusto disprezzo verso coloro che avran cagione di vergogna al suonar delle parole di Dante. nel primo gusto: appena assaggiata. Sarà vivanda non grata al palato subitamente, ma abbondantemente nutritiva dipoi. 43.

digesta: digerita. Cfr. Purg., XXV, Questo tuo grido: anche il verso pare un grido che si espanda e riecheggi per infinite lontananze. Le tue parole, alte e solenni, piú che profferite gridate, perché la gente si scuota e ne tremi, farà come il vento squassatore delle superbe cime degli alberi. ¶ piú alte: i felici e i possenti della terra. ¶ Però: a questo fine, perché tu percuota le più alte cime', ti sono mostrate nei regni della pena, della espiazione e del premio solamente le anime di coloro che son ricordati ancóra tra' vivi: ché l'attenzione dell'ascoltatore non si ferma (non posa ') e non presta fede ad esempli di cose mal conosciute od oscure, ad argomentazioni poco evidenti. G. L. PASSERINI.

né per altro argomento che non paia. '

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Giornale dantesco, anno XIX, quad. II.

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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO

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Cfr. Giorn, dant., XVI, 149. ACQUATICCI G. - L' Italia su la tomba di Dante il 13 settembre 1908. Macerata, [s. n. t.], 1908, in-8°, un fol. Sonetto.

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(3809) AGOSTINI COstanza. Il racconto del Boccaccio e i primi sette Canti della « Commedia ». Torino, Ditta G. B. Paravia e C. (Firenze, tip. Claudiana), 1908, in-8°, pp. 82-(4).

Con garbato ragionamento, e con argomenti a volte persuasivi, si studia di dimostrare, fin dove è possibile, la veridicità del racconto boccaccesco intorno ai primi sette Canti della Comedia, i quali sarebbero stati composti da Dante prima dell'esilio, che, secondo il Certaldese, lo colse, appunto,« mentre ch'egli era piú attento al glorioso lavoro ».

(3810)

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perché il fatto sarebbe accaduto prima ch' egli si trasferisse a Messina, e assai prima che a Cosenza fosse destinato Tommaso d'Agni: sia perché il cenno dantesco risponde pienamente al carattere suo e alla lotta che senza tregua egli condusse contro Manfredi, mentre male si adatterebbe al suo successore; che se poi il disseppellimento è leggendario, una delle tante leggende cui foggiò la passione ghibellina, solo la figura battagliera e odiosa del Pignatelli, non mai la mitezza di Tommaso d'Agni, poté fornirne l'ispirazione ». (3813) ALIGHIERI DANTE. La « Divina Comme

dia» edited and annotated by C. H. Grandgent. Vol. I « Inferno ». Boston, U. S. A., D. C. Heath and Co. in-16°, 1909, pp. XXXVI283-(1).

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<< Sebbene non di tutte le Epistole ancóra cosí nella prefazione l'autenticità sia da tutti ammessa e riconosciuta, crediamo sarà utile e grato a chi legge trovarle raccolte insieme, non una esclusa, in questo volumetto, dove il testo delle prime dieci, con qualche miglioramento, segue il testo di Edoardo Moore, e delle ultime quattro (Dominae Margaritae e a Guido da Polenta) quello del Torri, ed è accompagnato da una nuova nostra traduzione italiana fedele, se non sempre alla lettera, al pensiero dell'Autore. Segue alle Epistole, anche sul testo del Moore, emendata qua e là

coll'aiuto delle edizioni del p. G. Boffito e di Vincenzo Biagi, la Questio de Aqua et Terra, alla cui autenticità molti oggi credono. Onde ci è sembrato non inutile fatica anche di questo trattatello offrire una edizione che sia alla portata di tutti, accompagnando il testo con una nuova traduzione ».

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(3817) ALIGHIERI Dante. Le Opere minori » ad uso delle scuole con annotazioni di Francesco Flamini. Volume I: La « Vita nova », Il « Convivio» (exerpta). Livorno, R. Giusti editore, 1910, in-16o, pp. XIV-234-(2).

Un ottimo libro per le scuole, quale si poteva attendere da Francesco Flamini, che vi presenta ai giovini la Vita nova nel buon testo critico barbiano con sobrie esatte note, e pur con note, per la prima volta ad uso scolastico, bene scelti luoghi del Convivio, pel cui testo si attiene massimamente al ms. Laurenziano pl. XC sup. 134. Notizia di V. Osimo, ne Il Lavoro di Genova, 27 gen. 1911. (3818)

--

La Vita nuova ». Seconda edizione riveduta e corretta, con prefazione di A. Castaldo. Roma, Oreste Garroni, libraio-editore, 1910, in-18°, pp. 143-(1).

È un volumento della Piccola Biblioteca utile. (3819)

La « Vita nova », illustrata dei quadri di Dante Gabriele Rossetti, novamente impressa. Torino, Società tip. ed. naz., già Roux e Viarengo, 1910, in-8°, pp. XLIII113-(1), fig.

Di questa ricca stampa, in rosso e nero, di buon gusto antico, sebben forse soverchiamente aggravata di ornamenti e di fregi, furon fatte due tirature, una in carta a mano, l' altra, di soli cinquanta esemplari numerati, su carta di seta giapponese. È adorna di undici tavole nelle quali sono squisitamente riprodotti i noti quadri del Rossetti e le pagine son fregiate di contorni su disegno di R. Carlucci. Ha curato l'edizione M. De Rubris, e Antonio Agresti l'ha resa ancor più utile e pregevole, premettendovi due sue dotte memorie per le quali il lettore è iniziato alla maggiore intelligenza storica ed estetica del comento artistico di D. G. Rossetti: Dell'arte di Dante Gabriele Rossetti e Dell'arte preraffaellitica. Nel suo intiero insieme, è un volume pieno di bellezza e di grazia; una delle piú gustose stampe uscite in questi ultimi tempi dalle officine tipografiche nostre e stra

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(3823)

La « La Quaestio de aqua et terra »: bibliografia, dissertazione critica sull'autenticità, testo e commento, lessigrafia, facsimili [per cura del] dott. Vincenzo Biagi. Modena, G. T. Vincenzi e nipoti, librai editori (coi tipi della Soc. modenese), 1907, in-4° gr., pp. (6)-195-(3) e 4 tavole.

Poderoso e diligente lavoro, col quale, contro le obiezioni o i dinieghi vecchi e recenti, il Biagi, escluso come falsificatore della famosa Disputazione intorno all'acqua e alla terra il Moncetti, dalla cui edizione, com'è noto, il trattatello è giunto a noi; dichiarata, sia pure in via probabile, - la genesi di quella edizione, e tagliati altri inciampi che parevano ingombrare la via, giunge a concludere che questa operetta non solo possa essere, ma anche debba esser di Dante ». (3824)

« Quaestio de aqua et terra»: edited and translated by Charles Lancet Shadwell. Oxford, Clarendon Press, 1909, in-8°.

Recens. del Wicksteed, in The mod. lang. rev., V. 255.

(3825) AMADUCCI PAOLO. Dante e lo studio di Ravenna: appunti. (Nel Bull. d. Soc. dant. it., XV, 132).

Della questione se D. tenne, o poté tener cattedra di eloquenza nello Studio ravvennate. Fu detto di no, perché quello Studio, al tempo del Poeta, non esisteva piú. L'A., con documenti, prova ora che, invece, nel XIV sec. lo Studio non solamente era aperto, ma ebbe anche, sotto Guido Novello, « un momento di vera rifioritura ». Cosí la parte, a dir cosí, pregiudiziale della questione, è rimossa. Ma, si continua a dire, l'ipotesi della cattedra dantesca non può essere ammessa, perché si verrebbe a smentire ciò che non è una ipotesi, l'ospitalilà benigna e deferente di Guido, a prova della quale si citano specialmente i benefizii dati dai Polentani a Pietro Alighieri. Ma que' benefizii non furono conferiti al figliuolo di Dante da Guido o da altri della sua famiglia, e nel darne la notizia fu confusa la chiesa di San Simone de Muro con l'ospedale di Santo Spirito, detto anche, per la sua vicinanza con quella chiesa, di San Simone de Muro. Ad ogni modo chi, a tutto il 19 agosto 1317, nominava e immetteva nel possesso della rettoria delle chiese di Santa Maria in Zenzanigola e di San Simone era l'Arcivescovo di Ravenna, e in quanto alle lettere e ai processi che il vicario di lui, Giovanni da Castiglione, asserisce, nell'atto del 4 genn. 1321, d'aver publicato contro Pietro e altri per imporre ed esigere le procurazioni del card. Del Poggetto, non

possono essere compresi che tra il 5 sett. 1318 e il 4 sett. dell'anno successivo, terzo del ponteficato di Giovanni XXII, a cui risale, secondo le ultime ricerche, — la nomina di Bertrando

a legato in Italia. Cosí cadono anche le prove ritenute finora come certe per riportare al 1317 la venuta degli Alighieri in Ravenna. Contro all'affermazione che l'Alighieri non aveva qualità per insegnare, come dice il Boccaccio, poesia volgare e latina, l'A, osserva che pur fu asserito dal Boccaccio che D. a Parigi « fatti e una e altra volta certi atti scolastici.... meritò grandissime laudi ». Ora, con esempi tratti dalla formula appunto di cui si valeva a Parigi il Cancelliere di Santa Genovieffa per creare i dottori in arti, e dal commento di Giovanni da Serravelle apparirebbe specialmente che gli atti scolastici del Boccaccio altro non sono se non atti magistrali e non era vietato, d'altra parte, di insegnare negli Studii anche senza titolo di dottore, come ne fanno fede, per es., una notizia della Cronica di fra Salimbene sotto l'anno 1248, e un documento del 1286 pel quale l'arcivescovo Rainaldo dei Concoreggi è invitato dal Comune di Lodi, per maestro di leggi a 40 lire imperiali all'anno, col patto che sarebbero aumentate di 10 se al suo partir da Bologna si fosse procurata la laurea. Rimossa cosí ogni prova negativa l'A. si riserba d'addurre altrove le prove in favore: intanto accenna a un passo della prima Egloga dantesca che è tale da confermare l'ipotesi dell' insegnamento ravennate di Dante e da determinarne anche, con una certa approssimazione, la durata: ciò che pure ci porge, indirettamente, un indizio circa l' andata del Poeta in Ravenna. Nell'Egloga Titiro si duole con Militeo del rapido correr del tempo e, (vv. 46 e segg.) continua: ..... non iam senuere capellae Quas concepturis dedimus nos matribus hircos», son vecchie le capre, a concepir le quali noi demmo gli irchi alle madri. Se le caprette, come spiega l' Anonimo laurenziano, rappresentano gli scolari (e qualsivoglia cosa essi rappresentino il ragionamento torna lo stesso), questi versi non posson aver altro significato che un solo: se gli scolari ai quali noi imprendemmo ad insegnare fossero capre, avrebbero già cominciato ad invecchiare. Ora si sa da Plinio: « Caprae pariunt et quaternas, sed raro admodum. Ante trimas minus utiliter generant, et in senecta ultra quadriennum.... Concipiunt novembri mense ut martio pariant turgescentibus ». (Nat. hist., lib. VIII, 176). E Columella (VII, 6): « Senecta his (alle capre) ante sextum annum, et quinquennis parum idoneus habetur implendis feminis». Dunque, da che Dante (Titiro) e il Perini (Melibeo) si trovavan nei pascoli di Ravenna eran passati quattro anni e cinque mesi. Guido assunse la signoria della città non prima del 22 0 23 giugno del 1316: Dante mori nel '21; e però, iniziando il computo da un novembre, mese del concepimento delle capre, dovrem far risalire la venuta o l'insegnamento di D. in Ravenna almeno al no. vembre del '16, dal quale si dovrà arrivare all'aprile del '17 per i cinque mesi della gestazione, e da questo all'aprile del 21 per i quattro anni che occorrono perché una capra invecchi. Vero è che ne' mesi tra aprile e settembre 1321 non ci sarebbe tempo per la seconda missiva del Del Virgilio e la relativa risposta di D., a cui il ricordato Anonimo accenna: «Postquam magister Iohannes misit Danti eglogam illam Forte sub irriguos.... stet Dantès per annum ante quam faceret Velleribus Colchis, et mortuos est ante quam eam micteret, et postea filius ipsius Dantis misit illam predicto magistro Iohanni ». Ma è da tener conto, osserva l'A., alla non soverchia precisione de' versi di Dante, il quale ha

fatto invecchiare le capre un po' prima di un quadriennio, e la
prima Egloga è anteriore, forse quasi di un anno, all'aprile
del '21. Ciò che non scema ma cresce forza, conchiude
l'A., alla nostra deduzione: « poiché se fosse possibile stori-
camente, noi dovremmo spostare quel limite novembre 1316,
piú giú, verso il 1315, ma non è affatto lecito spostarlo in-
nanzi, verso il 1317 o gli anni seguenti. Le capre potranno
essere invecchiate in poco più d'un triennio, ma in minor
tempo non di certo >>.
(3826)

AMBROSI G.-Il Canto VIII del « Purgatorio ».
(Ne L'Aten. ven., XXXII, I, 1).
Espone il Canto.
ANDRIULLI G. A.

(3827)

Dante in musica. (Ne

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(3830)

Recens. di K. Vossler, in Ltbl. f. germ. u. rom. Phil. 1909, no. I. (3829) ANTONIO DA FERRARA. Cfr. il no. 4046. APOLLONIO F. Il Canto XIII del « Purgatorio». (Ne L'Aten. ven., XXXII, I, 3). Espone il Canto. AUBRY PIERRE. Trouvères et troubadours. Paris, F. Alcan, 1909, in-8°. Nella raccolta Les maîtres de la musique, dir. da Jean Chantavoine. Tratta specialmente della melodia che rivestiva le poesie de' trovadori, spiegando le varie forme liriche in voga nei diversi periodi di svolgimento (metà del XII, fine del XIII sec.), e raccogliendo le scarse notizie giunte sino a noi, distingue le proprie funzioni de' trovadori e trovieri da quelle dei jongleurs, semplici esecutori, vaganti fra città e castella, ed espone la dottrina della musica misurata nel XIII sec., illustrando le sue osservazioni con esempi di trascrizioni musicali. (3831)

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