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Questo rispecchiarsi dell' intimo sentimento di nostra gente, in ogni creazione di Dante, è il più alto valore storico e artistico dell' opera sua, e insieme la lode piú alta che egli potesse tributare all' Italia.

Tutti i personaggi principali della Commedia, coloro che risaltano sui molti accennati di volo, hanno vissuto nel « dolce mondo » dai primi del Milleduecento, all'anno Milletrecento; è quindi in sintesi la vita italiana nel breve corso di un secolo.

Dante, sorto alla metà del secolo decimoterzo, fu in tempo a raccogliere imagini e memorie di tutti coloro che più fortemente cooperarono a dare una tipica impronta a questa età singolarissima, per essere come l' esponente sintetico dei secoli medioevali, il primo momento storico in cui l'Italia ritrova sé stessa e si afferma in unità d'animo e d' intelletto.

Da Francesca alla Pia; da Pia a Piccarda; da Niccolò III ad Adriano V; da Adriano V a san Francesco; da Farinata e Ugolino a Manfredi, Buonconte, Sordello; da Brunetto Latini a Casella; da Oderisi a Forese; da Bocca degli Abati a Guido del Duca; da Pier delle Vigne a Marco Lombardo; da Maestro Adamo a Belacqua, tre soli, ad eccezione di Virgilio, sono i personaggi non del suo tempo o non d'Italia, a' quali Dante dia grande risalto nell' Inferno: Capaneo, Ulisse, Bertram del Bornio; e tre nel Purgatorio: Ugo Capeto, Stazio e Arnaldo poeta. Ma tra questi Capaneo, Ulisse e Stazio appartengono a quel mondo greco-latino, che il popolo italiano, anche lungo tutto il Medio Evo, considerava come proprio, quindi contemporanei per tradizione.

La stessa osservazione vale per i personaggi del Paradiso, poiché, dopo Cacciaguida, l'umanità scompare, per non lasciar luogo che alla visione tutta spirituale e religiosa.

Il merito inarrivabile di Dante è d'aver potuto penetrare e rievocare il momento psicologico di ciascun' anima, in ogni varietà d'aspetto, perché queste anime non solo sono

esistite realmente, ma contemporanee o quasi alla vita del Poeta.1

E questo suo maraviglioso potere di penetrazione in ogni singola anima si manifesta anche nel Paradiso, sebbene questo sia il mondo astratto creato dalla fantasia del Poeta, a compimento della tesi religiosa che si era prefisso trattare.

Le bellezze tutte speciali, direi quasi eteree della terza Cantica, non sono generalmente sentite e comprese, perché troppo si allontanano dalla verità tutta umana, degli episodii delle altre due; e questa è forse la sola causa della minor popolarità del Paradiso. Difatto i brani a tutti noti, da tutti amati e ripetuti, sono quelli che si riferiscono a Piccarda, a Cacciaguida, a san Francesco e a san Domenico, perché in ognuno di questi si ritorna a persone e a sentimenti noti e cari tra noi.

Piccarda rapita al chiostro dalla violenza del fratello, appare in tutta la più dolce soavità feminile, tra la la luce lunare, dicendo:

Frate, la nostra volontà quieta virtú di carità, che fa volerne

sol quel ch'avemo, e d'altro non si asseta.

Essa, la vittima di uomini « a mal piú ch' a ben usi» diviene, per opera del Poeta, la sorella della Pia, che dolcemente parla del marito uccisore, sorella d'ogni debole e soave donna italiana.

In Cacciaguida è rispecchiato, in senso generale, il nobile orgoglio della discendenza familiare e insieme il senno e l'onestà del forte; ma egli è particolarmente un fiorentino, che rievoca l'antica semplicità della patria:

Bellincion Berti vid'io andarne cinto
di cuoio e d'osso, e venir dallo specchio
la donna sua sanza 'l viso dipinto;

e vidi quel de' Nerli e quel del Vecchio
esser contenti alla pelle scoverta

e le sue donne al fuso, ed al pennecchio.

1 Dei 42 personaggi principali storicamente rievocati da Dante nell' Inferno e nel Purgatorio 20 sono toscani, 15 d'altre parti d'Italia, 2 latini, 2 greci e 3 francesi.

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o della propria e dell'altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca.

La rievocazione di san Francesco, e l'invettiva di san Damiano, sono insieme l'espressione del piú puro misticismo e della lotta secolare contro il potere temporale del clero ; due sentimenti fortissimi e vivissimi ancor oggi in Italia, non comuni a tutta l'umanità, ma nostri proprii, perché generati da condizioni speciali di spirito e di ambiente.

Ai frati suoi si com'a giusto erede
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l'amassero a fede:

E del suo grembo l'anima preclara
muover si volle, tornando al suo regno;
ed al suo corpo non volle altra bara.

Venne Cephas, e venne il gran vasello dello Spirito santo, magri e scalzi, prendendo 'l cibo di qualunque ostello.

Or voglion quinci e quindi chi rincalzi gli moderni pastori, e chi gli meni tanto son gravi e chi dirietro gli alzi.

Cuopron de' manti lor gli palafreni si che duo bestie van sott' una pelle : O pazienza, che tanto sostieni.

**

Data la singolare natura dell'anima italiana, dovuta ai mille elementi che la compongono, al suo intimo potere di rinnovamento continuo, le discordie politiche, che l'hanno sempre travagliata, non sono storica. mente che il portato del contrasto tra l'ardore passionale, e la scettica indifferenza di questa natura; dal quale contrasto sembrami scorgere la sua immortale ispirazione artistica, l'equilibrio mirabile del suo pensiero, al quale, considerato nella linea generale del cammino dei secoli, le discordie politiche non portano turbamento. Dinanzi alla storia, al contingente dei popoli, il fatto politico per l'Italia, diviene di secondaria importanza, la conseguenza inevitabile di quanto a distanza, talvolta di secoli, il Pensiero aveva stipulato e compiuto

idealmente. Cosí ci accade di sentire in Michelangiolo vaticinato in segni visibili il dolore della nostra schiavitú politica; in Machiavelli le ragioni storiche che condurranno alla nostra indipendenza; in Bruno la libertà scientifica del pensiero. In noi il pensiero non agisce mai come leva subitanea, ma a grande distanza prepara una data evoluzione, o certi dati avvenimenti, come portato fatale, dell'idea non germogliata improvvisa dall' impulso del sentimento, ma derivante dal calmo equilibrio della Ragione.

Ora Dante dandoci tutta la vita di un secolo, nei suoi piú varii esponenti sembrò dire, come il Samuele biblico al sole: O anima italiana sorgente, arrestati nel mio pensiero, io ti farò vivere per quanto viva l'umanità!

Fu detto che il Boccaccio fu il fotografo del suo tempo, ma un fotografo del fatto nella vita quotidiana, in quanto questa vita si svolge in uno stato medio di vizii e di virtú, una fotografia a colori vivissimi. Dante non fotografò; ascoltò penetrando nelle più profonde latebre della nostra anima, sentendo quest' anima palpitare in tutte le parti d'Italia, in contatto o in contrasto con la natura che la circonda, comprendendo tutte le maravigliose potenzialità dei suoi contrasti. Per lui il fatto non ebbe importanza che come nifestazione visibile dello stato psichico dell'anima.

Che cos'è mai il fatto dell'aver colorato l'Arbia di sangue nemico, dinanzi al forse di Farinata ripensante la sua Firenze? Quale importanza ha più il modo col quale vennero uccisi Francesca e Paolo, dinanzi al « come vedi ancor non mi abbandona » e al grido: << Caina attende chi vita ci spense »?

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dovella sua che col suo pianger dirotto Con suoi prieghi divoti e con sospiri » lo ha aiutato alla salita dell'aspra Montagna? Che cosa il rapimento fuor da la dolce chiostra > di Piccarda dinanzi al sorriso di carità che la fa più bella? Che cosa la fondazione dell' Ordine dinanzi al: Francesco e Povertà per questi amanti Prendi oramai nel mio parlar diffuso? Che cosa l'esilio di Dante vaticinato da Cacciaguida di fronte al grido:

Non vo' però, ch' a' tuoi vicini invidie,
poscia che s' infutura la tua vita
vie piú là, che il punir di lor perfidie.

Uniamo, studiamo quindi la quarantina di personaggi contemporanei a Dante, dal suo Genio risuscitati, e ne avremo la psiche italica, descritta in tutta quella varietà di aspetti

di tendenze e di sentimento, che ancor oggi forman la nostra forza e la nostra debolezza, la nostra gloria e la nostra vergogna, che saranno anche nei secoli futuri retaggio dei nostri discendenti. Noi li troviamo tutti abitatori d' una stessa terra, dall' Inferno al Paradiso. E questa terra è l'Italia, coi mille aspetti della sua maravigliosa natura; l'Italia con le sue cime alpestri e i colli fioriti, i burroni paurosi e le valli apriche; con le lande deserte delle maremme desolate, e i boschi montani ridenti di canti e di verde. L'Italia coi suoi uragani impetuosi e le placide aure; l'anima d'Italia nelle tenebre e nel sole.

Roma, 1912.

GIANNINA FRANCIOSI.

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PER LA BIOGRAFIA DI AGNOLO AGNOLO TORINI1

Qualche notizia di Agnolo Torini già dava il Manni illustrando il Decamerone. Ma di queste notizie non fece parola lo Zambrini, che pur s'occupò ripetutamente del Nostro, senza interessarsi in alcun modo della vita, né, piú tardi, G. Lazzeri, cui però spetta il merito della scoperta del testamento di quest' oscuro Trecentista, testamento che getta molta luce sulle condizioni della sua famiglia.

L'alberetto ricostruito dal Lazzeri è esatto; solo gioverà aggiungere due nipoti, Tore, del quale, non so perché, egli non fa cenno, mentre pure l'aveva sott' occhio, e Biagia, che risulta da altre fonti :

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1 Ricordo che i docc. archivistici di cui si fa memoria nel presente articolo, ove non ne sia indicata diversamente la provenienza, son tratti dall'Arch. di Stato di Firenze.

2 Sugli altri due non ho fatto speciali ricerche. Ricordo di sfuggita che Bencivenne il 18 febbr. 1352 entrava Podestà in Montemurlo (REPETTI, Diz. geogr., III, 443); l'a. stesso risulta, col fratello Agnolo, in una Gabella (Spogli del Salvini, nel Maruc. A. 134); nel 1359 (14 maggio) è presente ad un atto come testimonio (Prot. di Francesco di Maso, c. 328 A); è, insieme col nipote Leonardo, erede universale di Agnolo nel testamento da lui dettato il 16 giugno di detto anno. Una sua figlia, Biagia, nel 1384 e nel 1388 è registrata alla Gabella col marito Miniato di Arrigo

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Pochi anni appresso, ne ignoriamo la ragione, dettava le sue ultime volontà (1359, 16 giugno).3

Prescindendo dalle pie disposizioni che, numerosissime, stanno a provare l'insigne pietà del suo animo, ricorderemo che ivi istituiva eredi universali il fratello Bencivenne ed il nipote Leonardo. Per l'altro nipote un cospicuo legato. Quanto alla moglie, interessa in modo particolare la seguente disposizione: << cum dictus Agnolus gravetur in sua coscientia ex eo quod per viginti annos et ultra usufructavit quedam bona domine Bindelle, uxoris sue, volens exonerare conscientiam suam in quantum potest, licet sit insufficiens ad totum, iure restitutionis legavit dicte domine Bindelle, uxori sue, f. 50 auri ».

Le nozze fra Agnolo e Bindella dovettero dunque avvenire intorno al 1338.

Bindella di Cece Foraboschi, che senza dubbio gli aveva portata una buona dote, era di quelle signore che amano il lusso, ma non si può dire che fosse tra le piú eleganti di Firenze. Certo, quando la severa legge intervenne, e le belle vesti, proibite dal Comune,

da Rabatta (Magl., XXVI, 136, pag. 112; XXVI, 133, pag. 173). Sandro, all'epoca del testamento di Agnolo era già morto.

1 Prot. di Jacopo della Casa (1336-1342), c. 38 A. 2 G. LAZZERI, Il testamento di Agnolo Torini, in A Vittorio Cian i suoi scolari dell'Università di Pisa. Pisa, 1906, pagg. 41-2.

3 Il Lazzeri che pubblica questo doc. nell'art. cit. a pag. 42, l'attribuisce erroneamente al 1358. Lo ristampo qui in Appendice, previa collazione.

< marchate fuerunt marcho plumbeo, habente ex utraque parte medium lilium et mediam crucem, in quella grave Prammatica, dalla quale pure spira un cosí caro profumo di femminilità, e che desta innanzi agli occhi una cosí luminosa fantasia di colori e di forme, il notaio non mancava di registrare fra le dame seducenti donna Bindella. Ma la sua rubrichetta è breve assai: 1

<< Domina Bindella, uxor Agnoli Turini populi S. Laurentii, habet unum mantellum drappi rilevati albi in campo cum vitibus et uvis viridibus, foderatum de drappo sanguigno schacchato ».

Dopo il 1358 (1. 1359) il Lazzeri perde ogni traccia del Torini. Non bisogna però dimenticare che Giovanni Boccaccio nel suo testamento (1374, 28 agosto) lo incaricava della tutela degli eredi e dell' esecuzione.'

In questa qualità ebbe parte in una controversia, nata circa il deposito ed il possesso del ms. del Commento ai primi XVII Canti della Commedia, presentata innanzi ai Consoli dell'Arte del Cambio, che terminò il 18 aprile 1377 in favore degli esecutori testamentari. '

Piacque all' austero Boccaccio affidare a quest'uomo il sacro deposito delle sue ultime volontà. Altri dopo di lui,' e nel 1384 (19 giugno) il fratellastro Giovanni lo stimò degno dello stesso onorevole ufficio."

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del 1343. Inquisizioni, n. 1932, c. 50 A. L'importante registro è fatto conoscere da P. D'Ancona, Le vesti delle donne fiorentine, in Nozze Ferrari- Toniolo. Perugia, 1906, p. 117 sgg.

2 Vedi Le lettere di G. Boccaccio, ed. Corazzini, pag. 431.

3 D. M. MANNI, Istoria del Decamerone. Firenze, 1742, pag. 104.

4 Testam. di Niccolò del fu Andrea Bonaventura (1381, 4 aprile). Tra gli esecutori : « Agnolum Turini pop. S. Laurentii ».

5 V. CRESCINI, Contributo agli studi sul Boccaccio. Torino, 1887, pag. 261.

Breve raccoglimento della miseria umana, per AGNOLO TORINI DA FIRENZE. Imola, 1877, pagg. xxx.

ben anche al Maestro Luigi Marsili, morto nel 1394 ».

Certo il Torini ancora nel 1386 (12 febbraio), col consenso di sua moglie vendeva quella certa casetta che molti anni prima, facendo testamento, aveva pensato di lasciare in eredità al nipote Tore;' e certo, sebbene qualche infida fonte ci mostri Bindella vedova nel 1389, essa tale non era, come risulta da autentici atti. Ma dopo l'aprile del 1389 i docc. non mi danno altre notizie di Agnolo Torini.

La nascita spetterà ai primi lustri del sec. XIV, se pensiamo che intorno al 1338 egli prendeva moglie.

Il sec. XIV è il secolo dei volgarizzatori. Tra i minori occupa un posto decoroso Agnolo Torini. '

Il volgarizzatore medievale non ha per il suo testo, che in generale non si dà nemmeno la briga di citare, alcun rispetto. Aggiunge, taglia, acconcia come meglio gli talenta. Il Torini, ispirato da un opuscolo attribuito a S. Agostino, compone una Scaletta di dieci gradi in forma di canzone. Dal tetro libro di Lotario Diacono, De contemptu mundi, seu de miseria humanae conditionis trae il Breve raccoglimento della miseria umana, senza servirsi della traduzione di Bono Giamboni. La Scaletta è offerta al canonico fiorentino Niccolò

1 Prot. di Tommaso Masi (1384-5), ad a. Il Manni (pag. 126) accennando a questo doc. del 1385 (st. fior.) rinvia erroneamente a Francesco Masi.

2 Nel Libro verde dei testamenti (1389-1420) posseduto dall'Arcispedale di S. M. Nuova in Firenze, a. c. 40 B abbiamo un estratto del testamento di Bindella (1389, 11 aprile), ove il marito è ancora tra i vivi. Però in certi tardi Estratti | dei documenti esiI stenti | nell' Archivio de R. Arcispedale di S. M. Nuova | tomo II, 1383-1434, estratti che derivano dal Libro verde, nella rubrica segnata D. 445, per falsa lettura è detta vedova. E l'errore ebbe una certa fortuna. Cfr. L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza. Firenze, 1853, p. 877; Il R. Arcispepale di S. Maria Nuova. Firenze, 1888, p. 16.

3 Per la bibliogr. cfr. ZAMBRINI, Op. volg, col. 1003. 4 Un altro volgarizzamento, in prosa ed anonimo,

è contenuto nel Laur. LXXXIX sup. 95, a c. 93 A (sec. XV). Cfr. TASSI, Della miseria dell'uomo ecc. di B. GIAMBONI. Firenze, 1836, p. 394.

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