Slike stranica
PDF
ePub

aver trovato nel poema La Cerba cose originali e accenni a nuovi trovati, e nel suo autore un carattere nobilissimo, destava l' indignazione del Carducci a tal segno, da redarguirlo d'aver tentato la riabilitazione di questo « cattedrante fanatico e triste pedagogo ».

Povero Cecco, scambiato con un Crispi, da esso Carducci tentato di riabilitare con versi e intendimenti di poeta cesareo, i quali, per quanto sonori, non valsero a salvarlo dalla deplorazione della Camera dei Deputati!

1

Ripigliando le indagini de' suoi rapporti con Dante e la disamina critica di essi in confronto de' passi incriminati del La Cerba, sempre più debbo persuadermi, segnatamente in base a un nuovo codice di essa, testé da me rinvenuto, di cui piú sotto darò esatta descrizione, che non vi è fallo, o questo si riduce a sí minimi termini, da non meritare verun rimprovero, essendo in ogni caso largamente compensato dal conto grandissimo in cui egli tenne Dante, la sua dottrina e la sua Commedia, della quale egli mostrò nel suo poema d'aver fatto lungo studio e il maggior tesoro, incontrandosi in esso ad ogni pie' sospinto sentenze, concetti, frasi, modi di dire e persino emistichii tolti di peso dalla stessa Commedia. Mi fa quindi meraviglia come nessun dantofilo, ch' io mi sappia, siasi accinto a fare questi studi e confronti tra l'uno e l'altro poema (da estendere eziandio alle opere astronomiche dell'Ascolano) e non abbia compreso La Cerba tra i più antichi e pregevoli documenti della letteratura dantesca. E mi fa pur meraviglia che non sia stata citata dalla Crusca; poi che Cecco si nello stile come nella lingua, salvo l'originalità della materia e della trattazione, e malgrado alcuni ascolanismi, a cui fu indotto dalla rima (come ho dimostrato nel mio libro (Cecco d'Ascoli e la musa popolare. Ascoli-Piceno, G. Cesari, 1904) si sforza di imitare, come parve anche al Perticari, i trecentisti o dugentisti precursori

Il prof. Boffito avendo trovato nella Biblioteca vaticana un codice membranaceo del principio del sec. XIV contenente il comento inedito di Cecco d'Ascoli all' Alcabizzo, nella illustrazioue che ne pubblicò fece rilevare come da alcuni passi di quello si può trarre lume a dichiarare parecchi luoghi del Par. di Dante, e istituire qualche confronto col Convivio e la Vita nova della stesso.

e specialmente Dante, di cui non approva, certo a torto marcio, certe favole e episodi o macchina del divino poema, e non sempre a torto la risoluzione da lui data a certe questioni morali o fisiche o astronomiche, ma ne riconosce l'ingegno e la straordinaria cultura e la bellezza e l'efficacia insuperate e insuperabili dell'eloquio."

Né ci è malagevole darne le prove, cominciando dal rimuovere la piú grave accusa che il Carducci fa a Cecco fondandola su un passo evidentemente e stupidamente apocrifo, che si legge nelle stampe del La Cerba sin dal principio, cioè nel cap. II del 1° libro, in cui furono per interpolamenti aggiunte di sana pianta le sestine XII e XIII del seguente tenore :

Del qual (regno de' cieli) già ne trattò quel Fiorentino che li lui ci condusse Beatrice :

tal corpo umano mai non fu divino,
né può sí come il perso essere bianco;
perché si rinnovò come fenice

in quel desio che gli pungeva il fianco.

Negli altri regni, dove andò col docà fondando li suoi pie' nel basso centro, là lo condusse la sua fede poca :

e so che a noi non fece mai ritorno,
ché 'l suo desio lo tenne sempre dentro:
di lui mi duol pel suo parlare adorno.

Eccone il comento-staffile del Carducci : « Su 'l bel principio dell' Acerba (sic) egli accusa apertamente di poca fede l'autore del Paradiso, con una cinica burla su l'amore per Beatrice, per buona ventura non facilmente intelligibile, mette in deriso la voce universale che lo acclama divino; con sogghigno infame, quasi da satellite dell' inquisizione, lo condanna al fuoco eterno e ciò mentre parla del beato regno ».

Onde il Carducci, proseguendo nella sua requisitoria ancor più feroce di quella del Salutati e del Palermo contro il povero Cecco, lo degna appena del suo disprezzo, ma non senza ammonirlo, già incatenato al palo, in mezzo alla moltitudine costernata :

Discite justitiam moniti et non temnere divos ! Quasi dicat: Arse vivo?!... ben ti sta! checché ne sia del tuo ribellamento al Dio de'frati inquisitori, per conto mio non dovevi nominare invano il Dio Dante !

Ma v' ha di peggio: Avendo l' Orcagna nell'affresco del giudizio universale dipinto in Santa Croce, per commissione de' frati minori,

[graphic][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

ritratto Cecco tra i dannati sotto i pie' di Dino Del Garbo, ascendente alla gloria per mano d'un Angelo, al Carducci consenziente piacque credere che questa raffigurazione del povero scienziato fosse ispirata all'artista dal desiderio di vendicare il divino poeta. Ma in tal caso, giustamente osserva il Castelli, non Dino Del Garbo ma l' Alighieri egli avrebbe disegnato nel piano superiore. Ma anziché compiacersi bisognava sdegnarsi di questa nuova vigliaccheria fratesca, dalla mano piú giusta del tempo cancellata con la scalcinatura dell'apoteosi dell' infame delatore !

Tornando ora alle due su riportate sestine, che formavano il maggior capo di accusa contro Cecco, se il Carducci, invece di lasciarsi trasportare dai suoi subitanei furori, non sempre poetici, avesse adoperata un po' di critica, si sarebbe agevolmente accorto, che si trattava di un caso d'interpolamento, essendo esse un bisticcio, fuori di luogo e indegno della mente e della penna dell' ascolano; e molto meno lo si doveva tirare a peggior sentenza, come gli è piaciuto fare con una voluttà denigratoria, che mai la maggiore. A ingenerare almeno un dubbio nell'animo suo gli dovea bastare il ricordo che Dante intitolò semplicemente comedia il suo poema; e che l'epiteto divina fu aggiunto al dall' ammirazione de' posteri fin da antico, ma parecchi anni dopo la morte di Cecco (1327). Quindi egli non poteva mettere in deriso una voce, la quale nonché universale, non aveva allora esistenza di sorta.

titolo di essa

Per queste ed altre ragioni avendo io sospettato quelle sciagurate sestine attribuibili a una turpe e calunniosa interpolazione, ma non osando affrontare la quistione per mancanza di documenti, può immaginarsi di leggieri la sodisfazione che provai per la conferma che n' ho avuta da un codice acquistato nell'anno scorso in un'asta di Londra, proveniente dalla magna e preziosa collezione Philipps, e descritto nel catal. Soteby e soci sotto il n.o 171, nel qual codice quel passo non apparisce affatto. Il perché è da ritenersi apccrifo, intercalatovi cioè da' nemici di Cecco per aizzargli contro i concittadini e gli ammiratori di Dante, e fargli da loro gridare la croce addosso, come fa il Carducci, col verso del divino poema

Però ti sta, ché tu sei ben punito!

Trattandosi di un codice che io ho ragion di credere per le ricerche e le comparazioni fattene con altri codici e con le più antiche edizioni (contando di queste ben 18 la mia collezione), il più antico di tutti con data certa e con ottime lezioni, stimo pregio dell' opera darne compiuta ed esatta descrizione.

1

È in-fol. su carta bambagina, in carattere minuto romano di pp. 137.

Comincia, come quasi tutti i codici piú antichi, senz' alcun titolo, ma questo si rileva dalle date finali di mano dello stesso trascrittore o copista, del seguente tenore :

Explicit acerba vita S. Cecchii notarii Exculani q. factum fuit || in anno MCCCLXXV, XXI septembris in Eugubio || Ego Iohes de Gabbriellis de Flora scripsi. || Deo gratias, Amen, Amen, Amen.

Riferendomi al Saggio critico e bibliografico su Cecco d'Ascoli, che pubblicai, (Firenze, Leo S. Olschki, 1903), e alle giunte che vi feci nel libro Cecco d' Ascoli e la Musa popolare (Ascoli-Piceno, G. Cesari, 1904) mi preme avvertire che uno dei codici della Cerba della Biblioteca Mediceo-Laurenziana, cartaceo del principio del sec. XV, reca la stessa intitolazione, probabilmente tratta dal nostro codice più antico :

Explicit acerba vita ser Cecchi | notarii Exculani. Amen. Nella carta di guardia, ma di carattere meno antico, se ne dà questa tradu

zione: « L'Acerba vita di ser Cecco notaio da Ascoli ».

2

In due altri codici l'Acerba vita ch'è il titolo piú arbitrario e meno appropriato, perché Cecco nella Cerba non parla di sé stesso che una o due volte e per incidente, è mutata in acerba aetas; come in altro cartaceo del sec. XV della Biblioteca Ambrosiana:

Incipit liber acerbae aetatis Magistri Cechi de Esculo.

Un codice membranaceo Ashburnh. n.o 1213, apparentemente dello scorcio del sec. XIV

Se un valente e coraggioso editore volesse fare una nuova edizione del La Cerba, io potrei fornigliene il testo esemplato e ricostituito su questo codice raffrontatolo con altri e con le migliori edizioni e coi lavori critici da me citati.

2 Il notarius non potendo a Cecco attribuirsi la professione di notaio, va inteso nel senso di scrittore, magari in cifre.

finisce cosí: Explicit liber acerbe vite conditus per Magistrum Cecchum de Terra Asculita

norum.

Da queste e da consimili intitolazioni che si leggono in altri codici si rileva che ai copisti dei due primi secoli dall' apparizione del Lacerba o Lacerbia (titolo cosi originalmente scritto) questa parola, che divisa dall'articolo La Cerba, sarebbe tornata chiarissima, pareva priva di senso senza l'aggiunta di vita o età come adiettivo senza sostantivo: aggiunta arbitraria e contro verità, dacché La Cerba, giova ripeterlo, non contiene affatto la vita dell' autore, né fu da lui composta in età giovanile, né poteva essere ne' suoi intendimenti di farla credere un frutto immaturo del suo ingegno e dei suoi studi; e molto meno un acervo (da Acerba!), quasi zibaldone, o indigesta raccolta di cose scientifiche.

Se non che il vero titolo, come ho accennato, era La Cerba non l' Acerba, come credo aver dimostrato ad evidenza, anche con testimonianze autorevoli e quasi sincrone, nei due sopra citati lavori.

Basti qui ricordare brevemente che il letterato toscano L. C. B. Salutati, nato nel 1339, cioè 12 anni dopo la morte di Cecco, in una sua compilazione storica-latina parlando del Lacerba di Cecco d' Ascoli, ripetuto il detto volgare, da noi già confutato « quem acerbae vitae nomine vocari voluit, ut puer audivi » prosegue cosí : « quemve nunc aliqui Cervam vocant » e ne aggiunge la notevole spiegazione quae nominatio, si fuerit auctoris de vivacitatis spe, quoniam illud animal longissimae vitae traditur esse, forte processit. Noi avevamo già dimostrato come Cecco in quel mistico animale simboleggiasse se stesso nella celebrazione che ne fece nel La Cerba: titolo frequente nella letteratura medievale e posteriore del quale recammo parecchi esempi.

né dalla materia trattata in quel poema, né da verun codice o da veruna edizione dello stesso, essendo e quelli e queste concordi nel premettere alla parola Acerba o Cerba l'articolo La, scritto o congiuntamente Lacerba, o separatamente La Cerba.

Tornando al nostro codice, a noi pare importante l'indagare chi fosse cotesto trascrittore del La Cerba, che latinamente si nomava Giovanni Gabbrielli da Fiorenza, facendoci pur sapere che avea compiuto il suo lavoro il di 11 sett. del 1376 nella città di Gubbio. Il nome di questa città e di Firenze trovandosi associato a quello di Gabbrielli, giovi rimemorare che di questa antichissima famiglia eugubina si ha memoria sin dal 290 dell' era cristiana, nel quale san Secondo martire fu preso in detta città nelle case di Eudossia Gabriella, di famiglia nobile cristiana, presso cui erasi riparato dalla persecuzione dell' imperador Massimino; e gli storici che fanno discendere i Gabrielli da questa Eudossia, mostrano come fin da quel tempo già in Gubbio fossero grandi.

Un Cante de' Gabrielli, pur da Gubbio, fu podestà di Firenze nel 1302, o sin dal 1301 secondo il Carducci nel sonetto satirico che gli scrisse contro per aver dannato Dante qual ladro e barattiere. Sotto la sua magistratura furono inoltre proscritti lo stesso Dante e il padre del Petrarca.

Un Cante da Gubbio si trova pur menzionato nella sentenza condennatoria di Cecco nel 20 sett. 1327, siccome colui che qual Vicario generale del Vescovo fiorentino raccolse le testimonianze contro esso.

Giovanni di Cantuccio de' Gabbrielli s'impadroni dell' autorità sovrana a Gubbio, e del 1350 fece alleanza con Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, ma fu spogliato del suo potere dal cardinale Egidio Albornoz, che sottomise Gubbio all' autorità del Papa. Potrebbe quindi esser quel desso, che ese

lano, dato che l'avesse fatto per conto proprio e per istudio dell'ammirato poeta.

Il prof. Castelli nel più volte citato suo libro su Cecco fa piena confutazione delle censure che il suddetto Salutati avea mosse al Laguí la copia sudescritta del poema dell'AscoCerba; ma nessun cenno della natura e spiegazione di questo titolo; e probabilmente se ne passa, perché contraddice a quella da lui messa innanzi e da noi combattuta come la piú strana, perché il tirare la parola Acerba (neutro plurale latino) a significare in modo assoluto cose acerbe quasi rivelazione di duri veri, non è consentita né dalla grammatica

Ma perché dirsi da Fiorenza se era da Gubbio e in questa città aveva compiuta la trascrizione del poema di Cecco?

Né pare possa supporsi ch' egli abbia soppresse quelle due sestine per amore di Dante o di Cecco; sia perché vi ha lasciati intatti

« PrethodnaNastavi »