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SONETTO LIX.

S'al principio risponde il fine, e 'l mezzo

Del quarto decim' anno ch'io sospiro, Più non mi può scampar l'aura, nè 'l rezzo Si crescer sento il mio ardente desiro. Amor, con cui pensier mai non ammezzo, Sotto il cui giogo giammai non respiro; Tal mi governa, ch' i' non son già mezzo Per gli occhi, ch' al mio mal sì spesso giro; Così mancando vo di giorno in giorno,

Sì chiusamente, ch'io sol me n'accorgo,
E quella che guardando il cor mi strugge.
A pena infin a qui l'anima scorgo;

Nè so quanto fie meco il suo soggiorno:
Che la morte s'appressa, e 'l viver fugge..

CANZONE XXI.

Chi è fermato di menar sua vita

Su per l'onde fallaci, e per li scogli,
Scevro da morte con un picciol legno,
Non può molto lontan esser dal fine:
Però sarebbe da ritrarsi in porto,
Mentre al governo ancor crede la vela.
L'aura soave a cui governo, e vela
Commisi entrando all' amorosa vita,
E sperando venire a miglior porto;
Poi mi condusse in più di mille scogli;
E le cagion del mio doglioso fine

Non pur d'intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno,
Errai senza levar occhio alla vela,

Ch'anzi al mio di mi trasportava al fine: Poi piacque a lui, che mi produsse in vita, Chiamarmi tanto indietro dalli scogli, Ch' almen da lunge m'apparisse il porto. Come lume di notte in alcun porto Vida mai d'alto mar nave, nè legno,

Se

v. 5. han mezzo. v. 15. fia. v. 17. al. Secur. v. 10. al. ristarsi. v. 29. anzi 'l mio. v. 31. al. lungi.

Se non glie 'I tolse, o tempestate, o scogli;
Così di su dalla gonfiata vela

Vid' io le 'nsegne di quell'altra vita,
Ed allor sospirai verso 'l mio fine.
Non perch' io sia securo ancor del fine:
Che volendo col giorno essere a porto,
E' gran viaggio in così poca vita:

Poi temo, che mi veggio in fragil legno,
E più ch'i'non vorrei piena la vela
Del vento che mi pinse in questi scogli.
S'io esca vivo de' dubbiosi scogli,
Ed arrivi il mio esilio ad un bel fine;
Ch'i' sare' vago di voltar la vela.
E l'ancore gittar in qualche porto;
Se non ch'i'ardo come acceso legno;
Si m'è duro lassar l'usata vita.
Signor della mia fine, e della vita,
Prima ch'i' fiacchi il legno tra li scogli,
Drizza a buon porto l'affannata vela.

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Io son si stanco sotto '1 fascio antico

Delle mie colpe, e dell' usanza ria ;
Ch'io temo forte di mancar tra via,
E di cader in man del mio nimico.
Ben venne a dilivrarmi un grand' amico
Per somma, ed ineffabil cortesia:
Poi volò fuor della veduta mia,

Sì, ch'a mirarlo indarno m' affatico:
Ma la sua voce ancor quaggiù rimbomba:
O voi che travagliate, ecco il cammino;
Venite a me, se'l passo altri non serra.
Qual grazia, qual amore, o qual destino
Mi darà penne a guisa di colomba
Ch'i' mi riposi, e levimi da terra?

v. 5. al. sicuro. v. 8. al. frale. v. 10. al. spin. se. v. 14. al. l'ancora. v. 20. al. giogo. v. 24. al. liberarmi. v. 28. qua giù. v. 32. in guisa.

So.

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Io non fù'd'amar voi lassato unquanco,

Modonna, nè sarò, mentre ch' io viva:
Ma d'odiar me medesmo giunto a riva
E del continuo lagrimar son stanco.
E voglio anzi un sepolcro bello, e bianco ;
Che' vostro nome a mio danno si scriva
In alcun marmo, ove di spirto priva
Sia la mia carne, che può star seco anco.
Però s'un cor pien d'amorosa fede

Può contentarvi senza farne strazio,
Piacciavi omai di questo aver mercede ::
Se 'n altro modo cerca d'esser sazio

Vostro sdegno, erra; e non fa quel che crede 1 Di che Amor e me stesso assai ringrazio.

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e bianche non son prima ambe le tempie
Ch' a poco a poco par, che 'l tempo mischi
Securo non sarò, benchè io m'arrischi
Talor, ov' Amor l'arco tira, ed empie.
Non temo già, che più mi strazii, o scempie,
Ne mi ritenga, perchè ancor m'invischi,
Nè m'apra il cor, perchè ei fuor l'incischi
Con sue saette velenose ed empie.
Lagrime omai dagli occhi uscir non ponno;
Ma di gir in fin là sanno il viaggio,
Sì, ch' a pena fia mai chi l passo chiuda.
Ben mi può riscaldar il fiero raggio,

Non si, ch'arda; e può turbarmi il sonne
Ma romper no l'immagin aspra e cruda.

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v. 3. al. dell'odiar me stesso. v. 14. al. ende. V.17. ak Sicuro. v. 24. al. gire'nsin là ~

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Occhi

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cchi, piangete; accompagnate il core, Che di vostro fallir morte sostene.

Così sempre facciamo, e ne convene

Lamentar più l'altrui, che 'l nostro errore. Già prima ebbe per voi l'entrata Amore Là, onde ancor, come in suo albergo, vene: Noi gli aprimmo la via per quella spene, Che mosse dentro da colui che more. Non son, com' a voi par, le ragion pari; Che pur voi foste nella prima vista Del vostro, e del suo mal cotanto avari. Or questo è quel che più ch'altro m'attrista: Che i perfetti giudizi son sì rari:

E d'altrui colpa altrui biasmo s' acquista.

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Io amai sempre, ed amo forte ancora,

E son per amar più di giorno in giorno
Quel dolce loco ove piangendo torno
Spesse fiate, quando Amor m'accora:
E son fermo d' amare il tempo, e l'ora,
Ch'ogni vil cura mi levar d'intorno;
E più colei lo cui bel viso adorno
Di ben far co' suoi esempi m'innamora.
Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Per assalirmi 'I cor or quindi, or quinci,
Questi dolci nemici, ch'i' taut' amo?
Amor, con quanto sforzo oggi' mi vinci!
E se non ch' al desio cresce la speme;
I'cadrei morto ove più viver bramo.

v. 6. al. dove v. 22. al. con suo'esempli".

E 2

SO

SONET TO LXV.

Io avrò sempre in odio la finestra,

Onde Amor m'avventò già mille strali, Perch' alquanti di lor non fur mortali; Ch'è bel morir mentre la vita è destra Ma' sovrastar nella prigion terrestra

Cagion m'è, lasso, d' infiniti mali: E più mi duol, che fien meco immortali : Poichè l'alma dal cor non si scapestra. Misera che dovrebbe esser accorta

Per langa sperienza omai, che il tempo
Non è chi 'ndietro volga, o chi l'affreni
Più volte l'ho con tai parole scorta:

Vattene, trista, che non va per tempo
Chi dopo lassa i suoi dì più sereni..

SONETTO LXVI.

Si tosto, come avvien che l'arco scocchi

O

Buon sagittario di lontan discerne,
Qual colpo è da sprezzare, e qual d'averne
Fede ch'al destinato segno tocchi;
Similemente il colpo de' vostri occhi,
Donna, sentiste alle mie parti interne
Dritto passare; onde convien, ch'eterne
Lagrime per la piaga il cor trabocchi.
E certo son,
che voi diceste allora
Misero amante a che vaghezza il mena?
Ecco lo strale ond Amor vuol, ch'e' mora.
Ora veggendo, come 'l duol m'affrenaj

Quel che mi fanno i miei nemici ancora,
Non è per morte, ma per più mia pena.

V. I. al. are. fenestra. V. 2. al. ben mille. 3. al. soprastar..

SO

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