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SONETTO LXVII.

Poichè mia speme è lunga a venir troppo,

E della vita il trapassar si corto,
Vorreimi a miglior tempo esser accorto,
Per fuggir dietro più, che di galoppo:
E fuggo ancor così debile, e zoppo

Dall' un de' lati, ove 'I desio m'ha storto,
Sicuro omai: ma pur nel viso porto
Segni ch'io presi all'amoroso intoppo;
Ond' io consiglio voi che siete in via,
Volgete i passi e voi ch' Amore avvampa,
Non v' indugiate sull'estremo ardore :
Che perch' io viva, di mille un non scampa:
Era ben forte la nimica mia;

E lei vid' io ferita in mezzo 'I core.

SONETTO LXVIII.

Fuggendo la prigione ov" amor, m'chbe

Molt' anni a far di me quel ch'a lui parve, Donne mie, lungo fora a ricontarve, Quanto la nuova libertà mincrebbe. Diceami 'I cor, che per se non saprebbe Viver un giorno; e poi tra via m'apparve Quel traditor in sì mentite larve;

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Che più saggio di me ingannato avrebbe; Onde più volte sospirando indietro,

Dissi: Oimè, il giogo, le catene, e i ceppi Eran più dolci che l'andare sciolto. Misero me che tardo il mio mal seppi:` E con quanta fatica oggi mi spetro Dell' errore, ov' io stesso m' era involto!

v. 3. al. Vorremi. v. 4. al. gualoppo. v. 12. al. de mille. v. 19. al. Dicea'l mio.

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Erano

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Grano i capei d'oro all' aura sparsi,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea:

E' vago lume oftra misura ardea

Di quei begli occhi ch'or ne son sì scarsis El viso di pietosi color farsi

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Non so se vero, o. falso mi parea :
lo che l'esca amorosa al petto avea,
Qual meraviglia, se di subit'arsi?
Non era l'andar suo cosa mortale,
Ma d' angelica. forma, e le parole.
Sonavan altro, che pur voce umana..
Uno spirto celeste, un vivo sole

Fu quel ch'io vidi, e se non fosse or tale J
Piaga per allentar d'arco non- sana.

La

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a bella Donna che cotanto amavi“, Subitamente s'è da noi partita;

E, per quel ch'io ne speri, al ciel salita ::
Sì furon gli atti suoi dolci e soavi.
Tempo è da ricovrare ambe de chiavi
Del tuo cor, ch'ella possedeva in vita ::
E seguir lei per via dritta e spedita:
Peso terren non fia più che t'aggravi..
Poi che se' sgombro della maggior salma,,
L'altre poi giuso agevolmente. porre,
Salendo quasi. un pellegrino scarco.
Ben vedi omai, siccome a morte corre
Ogni cosa creata e quanto all' alma
Bisogna ir lieve al periglioso varco..

v. 4. al. the mi son. v. 5. al. pietoso. v. 17, al spero. v. 25. sia al, come,

SO

LXXI.

Piangete,

SONETTO

iangete, donne, e con voi pianga Amore; Piangete, amanti, per ciascun paese;

Poichè morto è colui che tutto, intese
In farvi, mentre visse al mondo, onore.
lo per me priego il mio acerbo dolore,
Non sien da lui le lagrime contese;
E mi sia di sospir tanto cortese,
Quanto bisogna a disfogare il core.
Piangan le rime ancor, piangano i versi :
Perchè 'l nostro amoroso Messer Cino
Novellamente s'è da noi partito.
Pianga Pistoja, e i cittadin perversi,
Che perdut' hanno sì dolce vicino,
E rallegrisi il Cielo, ov' egli è gito.

SONETTO LXXII.

Più volte Amor m' avea già detto: Scrivi

Scrivi quel che vedesti, in lettre d'oro
Siccome i miei seguaci discoloro,
E'n un momento gli fo morti, e vivi.
Un tempo fu che 'n te stesso 'l sentivi,
Volgare esempio all' amoroso coro:
Poi di man mi ti tolse altro lavoro;
Ma ben ti raggiuns' io mentre fuggivi:
Es'i begli occhi ond' io mi ti mostrai,
E là dov'era il mio dolce ridutto,
Quando ti ruppi al cor tanta durezza,
Mi rendon l'arco ch'ogni cosa spezza:
Forse non avrai sempre il viso asciutto:
Ch'i' mi pasco di lagrime, e tu 'l sai.

v. 6. fian. v. 14. E rallegres', ov'ello. v. 22. già ti.

SC

SONETTO

LXXIII.

Quando giugne per gli occhi al cor profondo

L'immagin donna, ogni altra indi si parte: E le virtù che l'anima comparte, Lascian le membra quasi immobil pondo: E del primo miracolo il secondo

Nasce talor: che la scacciata parte,

Da se stessa fuggendo arriva in parte,
Che fa vendetta, e 'l suo esilio giocondo.
Quinci in duo volti un color morto appare ;
Perchè 'l vigor che vivi gli mostrava,
Da nessun lato è più là dove stava.
E di questo in quel di mi ricordava,
Ch'i' vidi duo amanti trasformare
E far, qual io mi soglio in vista fare.

SONETTO LXXIV.

Così potess' io hen chiudere in versi

I miei pensier, come nel cor li chiudo Ch'animo al mondo, non fu mai sì crudo, Ch'i' non facessi per pietà dolersi Ma voi occhi beati, ond' io soffersi Quel colpo ove non valse elmo, nè scudo, Di fuor, e dentro mi vedete ignudo ; Benchè 'n lamenti i duol non si riversi; Poi che vostro vedere in me risplende, Come raggio di sol traluce in vetro: Basti dunque il desio, senza ch'io dica. Lasso non a Maria, non nocque a Pietro La fede, ch' a me sol tanto è nimica: E so, ch' altri che voi nessun m'intende

v. 14. al. quel ch' io. v. 21. Di for.

SO

SONETTO

LXXV.

Io son dell'aspettar omai sì vinto,

E della lunga guerra de' sospiri, Ch'i'aggio in odio la speme, e i desiri, Ed ogni laccio onde '1 mio cor è avvinto. Ma'l bel viso leggiadro, che dipinto

Porto nel petto, e veggio, ove ch'io miri, Mi sforza; onde ne' primi empi martiri Pur son contra mia voglia risospinto. Allor errai quando l'antica strada

Di libertà mi fu precisa, e tolta: Che mal si segue ciò ch' agli occhi aggrada Allor corse al suo mal libera, e sciolta; Or a posta d'altrui convien che vada L'anima, che peccò sol una volta.

SONETTO LXXVI.

Ahi, bella libertà, come tu m'hai

Partendoti da me mostrato, quale Era il mio stato, quando 'l primo strale Fece la piaga, oud io non guarrò mai! Gli occhi invaghiro allor sì de' lor guai, Che 'I fren della ragione ivi non vale; Perch' hanno a schifo ogni opera mortale : Lasso così da prima gli avvezzai. Nè mi lece ascoltar chi non ragiona Della mia donna, e solo del suo nome Vo empiendo l' aere, che si dolce suona. Amor in altra parte non mi sprona; Nè i piè sanno altra via, nè le man, Lodar si possa in carte altra persona.

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come:

. 24. morte, che sol. v. 28, al. Laudar

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