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Stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna.
E per farne vendetta, o per celarse,
L'acqua nel viso con le man mi sparse.
Vero dirò, forse parrà menzogna:
Ch'i' senti trarmi della propria imago:
Ed in un cervo solitario, e vago
Di selva in selva ratto mi trasformo,
Ed ancor de' miei can fuggo lo stormo.
Canzon, i' non fu mai quel nuvol d'oro,
Che poi discese in preziosa pioggia,

Si che 'l foco di Giove in parte spense:
Ma fui ben fiamma ch' un bel guardo accense,
E fui l'uccel che più per l'aere poggia,
Alzando lei, che ne' miei detti onoro:
Nè per nova figura il primo alloro

Seppi lassar: che pur la sua dolce ombra
Ogni men bel piacer del cor mi sgombra.

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Se l'onorata fronde, che prescrive

L'ira del ciel, quando 'I gran Giove tona,
Non m'avesse disdetta la corona,

Che suole ornar chi poetando scrive;
l'era amico a queste nostre Dive,
Le qua' vilmente il secolo abbandona :
Ma quella ingiuria già lunge mi sprona
Dall'inventrice delle prime olive:
Che non bolle la polver d' Etiopia
Sotto' più ardente sol, com' io sfavillo,
Perdendo tanto amata cosa propria.
Cercate dunque fonte più tranquillo :
Chemio d'ogni licor sostiene inopia,
Salvo di quel che lagrimando stillo.

V. 16. ál. lasciar. v. 30. al. sostene.

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A

SONETTO XXI.

mor piangeva, ed io con lui talvolta; Dal qual miei passi non fur mai lontani Mirando, per gli effetti acerbi, e strani, L'anima nostra de' suoi nodi sciolta. Or ch' al dritto cammin l'ha Dio rivolta Col cor levando al cielo ambe le mani Ringrazio lui, ch'i giusti prieghi umani Benignamente, sua mercede ascolta. E se tornando all' amoresa vita,

Per farvi al bel desio volger le spalle, Trovaste per la via fossati, o poggi; Fu per mostrar, quant'è spinoso calle, E quanto è alpestra, e dura la salita, Onde al vero valor convien ch' uom poggi.

SONETTO XXII

iù di me lieta non si vede a terra

vintag

Quando la gente di pietà dipinta
Su per la riva a ringraziar s'atterra;
Ne lieto più del carcer si disserra,

Chi 'ntorno al collo ebbe la corda avvinta,
Di me, veggendo quella spada cinta,
Che fece al Signor mio sì lunga guerra.
E tutti voi ch' Amor laudate in rima,
A) buon testor degli amorosi detti
Rendete onor, ch'era smarrito in prima.
Che più gloria è nel regno degli eletti
D'un spirito converso, e più s'estima
Che di novantanove altri perfetti.

v. 2. mie. v. 4. al. del suo nodo. v. 5. a dri to. v. 7. preghì. v. 8. al. merzede. v. 10. disi Y. 14. al conven. V. 17. al. piatà. v. 27. al. sperto si stima.

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Prese ha già l'arme per fiaccar le corna
A Babilonia, e chi da lei si noma: .
E il Vicario di CRISTO con la soma
Delle chiavi, e del manto al nido torna;
Sicchè, s'altro accidente not distorna,
Vedrà Bologna, e poi la nobil Roma.
La mansueta vostra, e gentil agna
Abbatte i fieri lupi: e così vada
Chiunque amor legittimo scompagna.
Consolate lei dunque, ch' ancor bada;
E Roma, che del suo sposo si lagna;
E per GESU' cingete omai la spada.

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aspettata in ciel beata e bella
Anima, che di nostra umanitade
Vestita vai, non come l'altre carca:
Perchè ti sian men dure omai le strade,
A Dio diletta obbediente ancella,
Onde al suo regno di quaggiù si varca:
Ecco novellamente alla tua barca,

Ch' al cieco mondo ha già volte le spalle
Per gir a miglior porto,

D'un vento occidental dolce conforto ;
Lo qual per mezzo questa oscura valle,
Ove piangiamo il nostro, e l'altrun torto,
La condurrà de' lacci antichi sciolta
Per drittissimo calle

Al verace Oriente, ov' ella è volta.
Forse i divoti, ed amorosi prieghi,
Ele lagrime sante de' mortali
Son giunte innanzi alla pietà superna:
E forse non fur mai tante, nè tali,

Che

V. 11. al. Qualunque. v. 18. al. sien. v. 19. al. divota. v. 27. al. da lacci. v. 39. al. devoti, al. e gli amorosi preghi.

Che per merito lor punto si pieghi
Fuor di suo corso la giustizia eterna:
Ma quel benigno Re che 'l ciel governa,
Al sacro loco ove fu posto in crece
Gli occhi per grazia gira:

Opde nel petto al nuovo Carlo spira
La vendetta ch'a noi tardata nece
Sì, che molt' anni Europa ne sospira =
Così soccorre alla sua amata sposa,
Tal che sol della voce

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Fa tremar Babilonia, e star pensosa. Chiunque alberga tra Garonna, e 'l monte E 'nira '1 Rodano, e 'l Reno, e l'onde salse, Le insegne Cristianissime accompagna: Ed a cui mai di vero pregio calse Dal Pireneo all'ultimo erizzonte, Con Aragon lasserà vota Ispagna: Inghilterra con l'Isole che bagna L'Oceano intra 'l Carro, e le Colonne, Insin là dove sona

Dottrina del santissimo Elicona,

1

Varie di lingue, e d'arme, e delle gonne
All' alta impresa caritate sprona.
Deh qual amor si licito, o sì degno,
Quai figli mai, quai donne

Furon materia a sì giusto disdegno?

Una parte del Mondo è che si giace

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Mai sempre in ghiaccio, ed in gelate nevi
Tutta lontana del cammin del sole;

Là, sotto i giorni nubilosi, e brevi,
Nemica naturalmente di pace

Nasce una gente, a cui 'l morir non duole.
Questa se più divota che non suole,

Cof Tedesco furor la spada cinge;

Turchi, Arabi, e Caldei

Con tutti quei che speran negli dei

Di qua dal mar, che fa onde sanguigne,
Quanto sia da prezzar conoscer dei;
Popolo ignude, paventoso, e lento,

Che

v. 2. al. del suo. v. 17. at. lascerà. v. 28. at. ghi acci. v. 3o. al. nebulosi, v. 32. dole. v. 33. devota soje. v. 38. al, pregiar.

Che 'l ferro mai non stringe,

Ma tutti i colpi suoi commette al vento
Dunque ora è tempó da ritrarre il collo
Dal giogo antico, e da squarciar il velo,
Ch'è stato avvolto intorno agli occhi nostri ;
E che 'l nobile ingegno che dal cielo
Per grazia tien dell'immortale Apollo.
E l'eloquenza sua virtù qui mostri

Or con la lingua, or con laudati inchiostri:
Perchè d'Orfeo leggendo, e d' Anfione,
Se non ti maravigli,

Assai men fia ch' Italia co' suoi figli
Si desti al suon del tuo chiaro sermone
Tanto, che per GESU' la lancia pigli:
Che s'al ver mira questa antica madre,
In nulla sua tenzone

Fur mai cagion sì belle, e sì leggiadre:
Tu`, c'hai, per arricchir d'un bel tesauro,
Volte l'antiche, e ie moderne carte,
Volando al ciel con la terrena soma,
Sai dall' imperio del figliuol di Marte
Al grande Augusto, che di verde lauro
Tre volte trionfando ornò la chioma;
Nell' altrui ingiurie del suo sangue Roma
Spesse fiate quanto fu cortese:
Ed or perchè non fia

Cortese no • ma conoscente, e pia
A vendicar le dispietate offese
Col figliuol glorioso di MARIA?
Che dunque la nemica parte spera
Nell' umane difese,

Se CRISTO sta dalla contraria schiera ?
Pon mente al temerario ardir di Serse,
Che fece per calcar i nostri liti
Di nuovi ponti oltraggio alla marina:
E vedra' nella morte de' mariti

Tutte vestite a brun le donne Perse,
E tinto in rosso il mar di Salamina: ·
E nou pur questa misera ruina

Del popolo infelice d' Oriente

Vit

V. 1. Che ferro, v. 9. al. fodanti. v. 25. ál. fiz

te come. v. 35. novi. v. 36. vedrai.

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