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Vittoria ten' promette;

Ma Maratona, e le mortali strette
Che difese il LEON com pocas gente;
Ed altre mille, c'hai scoltate, e lette.
Perchè inchinar a Dio molto convene
Le ginocchia, e la mente,

Che gli anni tuoi riserva a tanto bene.
Tu vedra' Italia, e l'onorata riva,

Canzon, ch' agli occhi miei cela, e contende
Non mar, non poggio, o fume,

Ma solo Amor; che del suo altero lume
Più m'invaghisce, dove più m'incende :
Nè natura può star contral costume.
Or muovi, non smarrir l'altre compagne:
Che non pur sotto bende

Alberga Amor, per cui si ride, e piagne.

CANZONE VI.

Verdi panni, sanguigni, oscuri, o persi

Non vesti donna unquanco,

Nè d'or capelli in bionda treccia attorse
Sì bella, come questa che mi spoglia
D'arbitrio, e dal cammin di libertade
Seco mi tira sì, ch' io non, sostegno.
Alcun giogo men grave.

E se pur s'arma talor a dolersi

L'anima, a cui vien manco

Consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse ;

Rappella lei dalla sfrenata voglia

Subito vista; che del cor mi rade

Ogni delira impresa, ed ogni sdegno
Fa'l veder lei soave.

Di quanto per amor giammai soffersi,
Ed aggio a soffrir anco,

Fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse

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Rubella di mercè, che pur le 'nvoglia Vendetta fia; sol che contra umiltade Orgoglio, ed ira il bel passo, ond' io vegno, Non chiuda, e non inchiave.

Ma

v. I. ti. v. 5. al. Lion. v. 4. al. c'ha'ascoltate. v. 12. al. quanto v. 14. movi. v. 19. al. bionde treccie.

Ma l'ora, el giorno ch' io le luci apersì
Nel bel nero, e nel bianco,

Che mi scacciar di là dove amor corse
Novella d'esta vita, che m'addoglia,
Furon radice, e quella in cui l'etade
Nostra si mira, la qual piombo, o legno
Vedendo è chi non pave..

Lagrima adunque che dagli occhi versi
Per quelle, che nel manco

Lato mi bagna chi primier s'accorse
Quadrella, dal voler mio non mi svoglia,
Che 'n giusta parte la sentenza cade:
Per lei sospira l'alma, eð ella è degno
Che le sue piaghe lave...

Da me son fatti i miei pensier diversi
Tal già, qual io mi stanco,

L'amata spada in se stessa contorse
Nè quella priego, che però mi scioglia:
Che men son dritte al ciel tutt'altre strade
E. non s' aspira al glorioso regno

Certo in più salda nave

Benigne stelle, che compagne fersi
Al fortunato fiancoj

Quando' bel parto giù nel mondo scorse,
Ch'è stella in terra, e come in lauro foglia
Conserva verde il pregio d' onestade
Ove nom spira folgore, nè indegno
Vento è mai, che l' aggrave.

So io ben, ch'a voler chiuder in versi
Sue laudi, fora stanco

2

Chi più degna la mano a scriver porse.
Qual cella è di memoria, in cui s'accoglia
Quanta vede vertù, quanta beltade,
Chi gli occhi mira d'ogni valor segno,
Dolce del mio cor chiave?

Quanto 'l sol gira, Amor più caro pegno,
Donna, di voi non ave.

v. 4. al. novelle, v, 5. al radici . v. 11. al. del, spoglia v. 18. prego. v. 30. al. Sua laude. v. 37. al. di te.

CAN

CANZONE VII.

Giovane donna sott' un verde lauro

Vidi più bianca, e più fredda che neve
Non percossa dal sol molti, e molti anni:
El suo parlar, e 'l bel viso, e le chiome
Mi piacquen sì, ch'io l'ho dinanzi agli occhi,
Ed avrò sempre, ov' io sia in poggio, o ʼn riva.
Allor saranno i miei pensieri a riva,

Che foglia verde non si trovi in lauro:
Quand' avrò queto il cor, asciutti gli occhi
Vedrem ghiacciar il foco, arder la neve.
Non ho tanti capelli in queste chiome,
Quanti vorrei quel giorno attender anni
Ma perchè vola il tempo, e fuggon gli anni
Sì, ch'alla morte in un punto s'arriva
O con le brune, o con le bianche chiome
Seguirò l'ombra di quel dolce lauro
Per lo più ardente sole, e per la neve
Fin che l'ultimo di chiuda quest'occhi
Non fur giammai veduti sì begli occhi
O nella nostra etade, o ne'primi anni;
Che mi struggon così, come 'l sol neve:
Onde proçede lagrimosa riva;

Ch' Amor conduce a piè del duro lauro
C'ha i rami di diamante, e d'or le chiome.
Io temo di cangiar pria volto, e chiome
Che con vera pietà mi mostri gli occhi
L'idolo mio scolpito in vivo lauro:

Che s'al contar non erro, oggi ha sett'anni, Che sospirande vo di riva in riva

La notte, e 'l giorno, al caldo, ed alla neve. Dentro pur foco, e fuor candida neve Sol con questi pensier, con altre chiome Sempre piangendo andrò per ogni riva, Per far forse pietà venir negli occhi Di tal che nascerà dopo mille anni; Se tanto viver può ben culto lauro. L'auro e i topazj al sol sopra la neve Vincon le bionde chiome, presso agli occhi, Che menan gli anni miei sì tosto a riva.

v. 6. E atè. v. 28. al. è sette. v. 34, al. piatà.

v. 36. al. colto. v. 37. al. e'l sol.

SO

Q

SONET TO XXIV.

uest'anima gentil che si diparte
Anzi tempo chiamata all' altra vita;
Se lassuso è, quant' esser de', gradita
Terrà del ciel la più beata parte.
S'ella riman fra' terzo lume, e Marte,
Fia la vista del Sole scolorita,

Poich' a mirar la sua bellezza infinita
L'anime degne intorno a lei fien sparte.
Se si posasse sotto 1 quarto nido,

2

Ciascuna delle tre saria men bella

Ed essa sola avria la fama, e 't grido.
Nel quinto giro non abitrebb'ella:'-
Ma se vola più alto, assai mi fido,
Che con Giove fia vinta ogni altra stella.

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Quanto pite m'avvicino al giorno estremo,

Che l'umana miseria suol far breve,
Più veggio' tempo andar veloce, e leve,
E'l mio di lui sperar fallace, e scemo
l' dico a' miei pensier. Non molto andremo
D'amor parlando omai, che 'l duro, e grevé
Terreno incarco, come fresca neve "

Si va struggendo: onde noi pace avremo :
Perchè con lui cadrà quella speranza,
heC ne fe' vaneggiar sì lungamente:
E'l riso, e'l pianto, e la paura, e l'ira.
Si vedrem chiaro poi, come sovente
Per le cose dubbiose altri s'avanza;
E come spesso indarno si sospira.

mie'

v. 3. al. Sella è lassù. V. 14. sia. v. 19. al. . V. 22. al. aremo.

SO

SONETTO XXVI.

ià fiammeggiava l'amorosa stella

Giunone

Suol far gelosa, nel Settentrione Rotava i raggi suoi lucente e bella; Levata era a fiar la vecchierella

Discinta e scalza, e desto avea 'I' carbone: E gli amanti pungea quella stagione, Che per usanza a lagrimar gli appella; Quando mia speme già condotta al verde Giunse nel cor non per l'usata via, Che 'I sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle: Quanto cangiata, oimè, da quel di pria! E parea dir. Perchè tuo valor perde? Veder questi occhi ancor non ti si tolle.

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SONETTO XXVII.

Apollo, s'ancer vive il bel disio».

Che t'infiammava alle Tessaliche onde:
E se non hai l'amate chiome bionde
Volgendo gli anni già poste in oblio;
Dal pigro gielo, e dal tempo aspro e rio,
Che dura quanto ' tuo viso s'asconde,
Difendi or l'onorata, e sacra fronde.
Ove tu prima, e poi fu'invescat' io ;.
E per virtù dell'amorosa speme,

Che ti sostenne nella vita acerba,
Di queste impression l'aere disgombra.
Si vedrem poi per maraviglia insieme
Seder la Donna nostra sopra l'erba,
E far delle sue braccia a se stess'ombra.

V. 12. al. cangiato. v. 15. desio. v. 25. al. saggia v. 27. al. nostra donna.

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