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SONETTO XXVIII.

Svo misurando a passi tardi e lenti : olo, e pensoso i piùr deserti campi

E gli occhi porto per fuggir intenti
Dove vestigio uman la rena stampi.
Altro schermo non trovo, che mi scampi
Dal manifesto accorger delle genti:
Perchè negli atti d'allegrezza spenti
Di fuor si legge com'io dentro avvampi:
Sì, ch' io mi credo omai, che monti, e piagge,
É fumi, e selve sappian di che tempre
Sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie, nè sì selvagge

Cercar non so, ch' Amor non venga sempre
Ragionando, con meco, ed io con lui.

SONETTO XXIX.

io credessi per morte esser scarco

Con le mie mani avrei già posto in terra, Queste membra noiose, e questo incarco : Ma perch' io temo, che sarebbe un varco Di pianto in pianto, e d'una in altra guerra, Di qua dal passo ancor, che mi si serra, Mezzo rimango lasso, e mezzo il varco. Tempo ben fora omai d'avere spinto L'ultimo stral la dispietata corda Nell'altrui sangue già bagnato e tinto: Ed io ne priego Amore, e quella sorda, Che mi lassò de' suoi color dipinto; E di chiamarmi a se non le ricorda

V. 2. radi. v. 4. al. la terra. v. 7. al. negli occhi. v. 15. al Trovar. al. vegna. v. 16. al afferra. 7.26. prega. v. 27. de' suo'."

CAN

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Sì è debile il filo a cui s'attiene

La gravosa mia vita,

Che s'altri non l'aita,

Ella fia tosto di suo corso a riva:
Però che dopo l'empia dipartita,
Che dal dolce mio bene

Feci, sol' una spene

E' stata infin a qui cagion ch' io viva,
Dicendo, Perchè priva

Sia dell' amata vista;
Mantienti, anima trista;

Che sai, s ́a miglior tempo anco ritorni,
Ed a più lieti giorni ?

O se'l perduto ben mai si racquista ?
Questa speranza mi sostenne un tempo:
Or vien mancando

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e troppo in lei m'attempo. E'l tempo passa, e ore son sì pronte A fornir il viaggio,

Ch'assai spazio non aggio

Pur a pensar, com' io corro alla morte.
Appena spunta in Oriente un raggio

Di sol, ch'all' altro monte

Dell'avverso orizzonte

Giunto 'l vedrai per vie lunghe e distorte.

Le vite son sì corte,

Sì gravi i corpi e frali

Degli uomini mortali,

Che quand' io mi ricordo dal bel viso

Cotanto esser diviso,

Col desio non possendo mover l'ali;

Poco m'avanza del conforto usato:

Nè so quant' io mi viva in questo stato.

Ogni loco m'attrista by' io non veggio

Que' begli occhi soavi,

Che portaron le chiavi

De' miei dolci pensier mentr'a Dio piacque :

E perchè 'I duro esilio più m'aggravi,

S'io dormo, o vado, o seggio,

Al

v. I. al. debole. al. a che v. 8. al. infino. v. 17.

Il tempo. v. 28. ritrovo. v. 3o. disio.

Altro giammai non chieggio;

E ciò ch'io vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne, ed acque,
Quanto mar, quanti fiumi
M'ascondon que' duo lumi,

Che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
Fer le tenebre mie,

Acciò che 'l rimembrar più mi consumi;
E quant'era mia vita aller gioiosa,
M'insegni la presente aspra e noiosa.
Lasso, se ragionando si rinfresca
Quell'ardente desio

Che nacque il giorno ch' io

Lassai di me la miglior parte a dietro;
E s'amor se ne va per lungo oblio ;
Chi mi conduce all' esca

Onde 'l mio dolor cresca?

E perchè pria tacendo non m'impetro?
Certo cristallo, o vetro

Non mostrò mai di fore

Nascosto altro colore,

Che l'alma sconsolata assai non mostri
Più chiari i pensier nostri,

E la fera dolcezza ch'è nel core;

Per gli occhi, che di sempre pianger vaghi Cercan dì, e notte pur chi glien' appaghi.. Novo piacer, che negli umani ingegni

Spesse volte si trova,

D'amar, qual cosa nova

Più folta schiera di sospiri accoglia !

Ed io son un di quei che 'l pianger giova:

E par ben, ch' io m'ingegni,

Ghe di lagrime pregni

Sien gli occhi miei, siccome 'l cor di deglia'; E perchè a ciò m'invoglia

Ragionar de' begli occhi;

(Nè cosa è che mi tocchi,

O sentir mi si faccia così addentro)

Corro spesso, e rientro

Colà donde più largo il duol trabocchi,

E sien col cor punite ambo le luci,

Ch'

v. 1. cheggio. v. 12. disio. v. 14. al. Lasciai. v. 21. Nascoso, v. 24. al. fiera. v. 30. al. folte schiere.

Ch' alla strada d'Amor mi furon duci, Le treccie d'or, che dovrien far il Sole D'invidia molta ir pieno,

E'l bel guardo sereno,

Ove i raggi d' Amor si caldi sone,
Che mi fanno anzi tempo venir meno;
E l'accorte parole

Rade nel mondo, o sole,

Che mi fer già di se cortese dono,
Mi son tolte: e perdono

Più lieve ogni altra offesa

Che l'essermi contesa

Quella benigna angelica salute →
Che 'l mio cor a virtute

Destar solea con una voglia accesa:

Tal, ch' io non penso udir cosa giammai, Che mi conforte ad altro ch'a trar guai. E per pianger ancor con più diletto,

Le man bianche sottili,

E le braccia gentili,

E gli atti suoi soavemente alteri,
Ei dolci sdegni alteramente umili,
E' bel giovanil petto

Torre d'alto intelletto,

Mi celan questi luoghi alpestri e feri;
E non so s'io mi speri

Vederla anzi ch'io mora:

Però ch'ad orà ad ora

S'erge la speme, e poi non sa star ferma;
Ma ricadendo afferma

Di mai non veder lei che 'l ciel onora ;
Ove alberga onestate, e cortesia,

E dov' io prego, che 'l mio albergo sia.
Canzon, s'al dolce loco

La Donna nostra vedi;

Credo ben, che tu credi,

Ch'ella ti porgerà la bella mano,

Ond' io son sì lontano.

Non la toccar: ma riverente a' piedi

Le dì, ch' io sarò là tosto ch'io possa,

O spirto ignudo, od uom di carne e d'ossa.

v. 2. devrien. v. 23. al. giovenil. 1. 25. lochi. v. 29. Sorge. v. 33. prego v. 39. al. riverente.

SO.

SONET TO XXX.

Orso, e' non furon mai fiumi, nè stagni,

Nè mare, ov' ogni rivo si disgombra; Nè di muro, o di poggio, o di ramo ombra; Nè nebbia, che 'l ciel copra, e 'l mondo bagni: Nè altro impedimento, ond' io mi lagni, Qualunque più l'umana vista ingombra; Quanta d'un vel, che due begli occhi adombra: E par che dica, Or ti consuma, e piagni.“ E quel lor inchinar, ch'ogni mia gioja Spegne, o per umiltate, o per orgoglio, Cagion sarà che 'nnanzi tempo i' moja: E d'una bianca mano ancor mi doglio; Ch'è stata sempre accorta a farmi noja, E contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.

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Ie quali more, sia morte alberga:

o temo si de' begli occhi l'assalto,

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Ch'i' fuggo lor, come fanciul la verga;

E gran tempo è, ch'io presi 'l primier salto. Da ora innanzi faticoso, ed alto

Loco non fia, dove 'l voter non s'erga;
Per non scontrar chi i miei sensi disperga,
Lassando, come suol, me freddo smalto.
Dunque s'a veder voi tardo mi volsi,

Per non ravvicinarmi a chi mi strugge ;
Fallir forse non fu di scusa indegno.
Più dico: Che tornare a quel ch'uom fugge,
El cor che di paura tanta sciolsi,

Fur della fede mia non leggier pegno.

v. 6. al. Qualunche. v. 7. duo. v. 10. al. onestate. v. II. al. temp' io. v. 12. anco. v. 18. al. pri mo. v. 19. od alto. v. 22. al. Lasciando. v. 23. al. tardi.

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