S'Amore Amore, o Morte non dà qualche stroppio Alla tela novella ch'ora ordisco; E s'io mi svolvo dal tenace visco, Mentre che l'un con l'altro vero accoppio ; I' farò forse un mio lavor sì doppio Tra lo stil de' moderni, e 'l sermon prisco, Che (paventosamente a dirlo ardisco) Infin a Roma n'udirai lo scoppio. Ma però che mi manca fornir l'opra Alquanto delle fila benedette, Ch'avanzaro a quel mio diletto Padre; Perchè tien verso me le man sì strette Contra tua usanza? io priego che tu l'opra; E vedrai riuscir cose leggiadre. Quando dal proprio sito si rimove L'arbor ch'amò già Febo in corpo umano, v. 3. al. svolgo. v. 10. al. alquante. v. 13, prego. v. 15. al. propio. v. 20. Sanza. v. 24. al. Maligne. M. SONETTO XXXIV. La pei che 'I dolce riso umile, e pians Le braccia alla facina indarno move Nel bel guardo d' Apollo a mano a mano « Il figliuol di Latona avea già nove Vofte guardato dal balcon sovrano Per quella ch' alcun tempo mosse in vano I suoi sospiri, ed or gli altrui commove : Poi, che cercando stanco non seppe, ove S'albergasse, da presso, o di lontano; Mostrossi a noi quale uom per doglia insano ? Che molto amata cosa non ritrove. E così tristo standosi in disparte Tornar non vide il viso che laudato Sarà, s'io vivo, in più di mille carte: E pietà, lui medesmo avea cangiato Sì, ch' e' begli occhi lagrimavan parte: Però l'aere ritenne il primo stato. v. 1. Da poi. v. 4. als antiquissimo. v. 10. al. aicuro e sanz'. v. 14. molte. v. 25. al. piatà. Q SONETT Q XXXVI. uel ch' in Tessaglia ebbe le man sì pront E pastor ch'a Golia ruppe la fronte, E sopra 'l buon Saul cangiò le ciglia: I Da' be' vostr' occhi, ma disdegno ed ira. SONETTO XXXVII. mio avversario, in cui veder solete Gli occhi vostri ch' Amore e 'l ciel onora; Con le non sue bellezze v'innamora, Più che 'n guisa mortal, soavi e liete. Per consiglio di lui, Donna, m'avete Scacciato del mio dolce albergo fora; Misero esilio avvegnach' io non fora D'abitar degno ove voi sola siete: Ma s'io v'era con saldi chiodi fisso, Non dovea specchio farvi per mio danno A voi stessa piacendo, aspra e superba. Certo se vi rimembra di Narcisso; Questo, e quel corso ad un termine vanne: Benchè di si bel for sia indegna l'erba. v. 1. Quei. v. 4. al. Raffgurate le. v. g. al. can biò. v. g. al. cui. v. 11. al. Contro all'. V. 12. 4 Estraziar mi vedete. v. 12. al. sete. v. 24. devea. SONETTO XXXVIII. L'oro, e le perle, ei for vermigli, e bianchi, ого, Che 'l verno dovria far languidi e secchi, Son per me acerbi, e velenosi stecchi, Ch'io provo per la petto, e per li fanchi: Però i di miei fien lagrimosi e manchi; Che gran duol rade volte avvien che 'nvecchi. Ma più ne incolpo i micidiali specchi, Che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi. Questi poser silenzio al Signør mio, Che per me vi pregava, ond' ei si tacque Veggende in voi finir vostro disio: Questi fur fabbricati sovra l'acque D'abisso, e tinti nell'eterno oblio ; Ondel principio di mia morte nacque, SONETTO XXXIX. Io sentia dentr'al cor già venir meno Gli spirti, che da voi ricevon vita: Contra la morte ogni animal terreno ; 7 Però che, dì, e notte indi m'invita; Ed io contra sua voglia altronde 'I meno. E' mi condusse vergognoso e tardo A riveder gli occhi leggiadri; ond' iò, Per non esser lor grave, assai mi guardo. Vivrommi un tempo omai; ch'al viver mio Tanta virtute ha sol an vostro sguardo: E poi morrò, s'io non credo al desio. v. 2. devria, v.3. al. vcnenosi. v. 11. desio. V. 12. sopra. v. 18. al. Contr' alla. v. 19, aisio . v. 23. at. E. v. 28. disig. SO SONETTO XL. Se mai foco per foco non si spense, Nè fiume fu giammai secco per pioggia, Men per molto voler le voglie intense? Col gran suono i vicin d'intorno assorda Nello sfrenato obbietto vien perdendo; Perch'i SONETTO XLI. erch'io t'abbia guardata di menzogna M'accompagnate, ov'io vorrei star solo ; v. 12. desio. v. 13. al. oggetto. v. 15. guardato di. v. 16. al. a mio parere. onorato. v. 17. al. tu però v. 19. al, tua aita. v. 20. al. domandar. CAN |