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ficiente a pagare i debiti scaduti e sicurezza di poter pagare quelli che in seguito scadranno. La si porrebbe nella condizione di non pagare i debiti scaduti per volerla costringere a pagare una porzione dei suoi debiti, che ancora scaduti non sono!

Il Vidari stesso trova cosi inammissibili tali conseguenze da sostenere la opportunità che il liquidatore possa prendere denaro a mutuo quando, per esempio, vi sieno debiti scaduti e in cassa non si abbia denaro sufficiente a pagarli, appunto perchè col negare questa facoltà al liquidatore « si verrebbe alla conclusione assurda di lasciar protestar cambiali e dichiarar fors'anco il fallimento di una società che se potesse tosto provvedere a tali urgenti bisogni, liquiderebbe anche un attivo superiore al passivo. »

Fu osservato, anche dinanzi ai tribunali, che col pagare integralmente i debiti scaduti si rende impossibile la liquidazione e non si sa che cosa sostituirle; infatti, si diceva, il fallimento, l'unica cosa che le potrebbe sostituire, si può dichiarare solo entro l'anno dal giorno in cui fu dichiarata la liquidazione; ma dopo? Una società sciolta, dicevano, è una società morta, e come dopo un anno dalla morte di un commerciante non può esser domandata la dichiarazione di fallimento; similmente tale dichia

'Op. cit., n. 737.

Vedi la citata sentenza della Corte di Catania a pag. 95, 1. c.

razione è divenuta impossibile se è scorso un anno dallo scioglimento della società. Però questo ragionamento è erroneo e la Corte di Catania ne ha fatto giustizia proclamando che « una società in liquidazione continua a vivere per realizzare i suoi diritti, per adempiere ai suoi doveri. Nell'antico diritto, in cui non si conosceva una vera e propria liquidazione, sciolta la società per prima cosa si faceva la divisione fra'soci e poi si pensava a pagare i debiti, incaricando di ciò il socio gerente, al quale era lasciata una somma corrispondente all' ammontare dei debiti; e anche allora non si poteva dire che la società fosse morta perché « durut effectus societatis, donec fuerit e.ractum omne id quod pertinet ad societatem e, come diceva il Fabro « finitur quidem societas, sed non obligatio societatis. »

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sta quindi la equiparazione fra la morte d'un commerciante e la liquidazione d'una società per inferirne che, come dopo un anno dalla morte di quello, cosi dopo un anno dallo scioglimento di questa, non si può più farne dichiarare il fallimento; quindi non è giustificato il concludere che se si pagassero i debiti scaduti integralmente non si saprebbe che cosa sostituire alla società, dopo un anno dal suo scioglimento, perchè si può sempre farne dichiarare il fallimento.

L'osservazione del Vidari, che cioè si potrebbe esaurire tutto l'attivo sociale e non lasciar nulla per pagare i debiti non ancora scaduti » non ci pare sia molto persuasiva. Poichè è, in vero, contestabile che nel caso di un attivo seriamente superiore al passivo, la conseguenza cui accenna il Vidari sia probabile; è, in ogni modo, poi, assolutamente da negarsi che sia da presumersi che l'attivo debba andar perduto, quando invece la normalità dei casi è che l'attivo si ritrovi anche al termine della liquidazione. Del resto qui tutto si riduce a una questione di responsabilità del liquidatore, responsabilità necessaria ad assumersi da chi accetta un incarico cosi delicato e che porta con sé non lievi vantaggi; respon

stente come ente giuridico. » Vedi in questo stesso senso la Cassazione di Torino 8 giugno 1883, Giurisprudenza, XX, 717. L'art. 111 della legge belga dice espressamente che les sociétés commerciales sont, après leur dissolution, réputées exister pour leur liquidation. »

sabilità la quale, poi, ci sembra tutt'altro che eccessivamente grave. Infatti se il liquidatore, in seguito allo stato delle cose portato dall'inventario, può fondatamente credere che tutti i creditori saranno integralmente pagati e comincia intanto a pagare i debiti scaduti, se poi anche accadesse, che per avvenimenti impreveduti, una parte degli altri debiti non potesse più essere pagata per intiero, egli non dovrebbe risponderne di fronte ai creditori non pagati, perchè niente avendo fatto di contrario a ciò che la prudenza e la pratica consigliavano, in lui non vi ha colpa di sorta; precisamente come non vi ha colpa nei debitori che, avendo un attivo superiore al passivo, pagano i debiti scaduti e non sono responsabili se, per casi impreveduti, si trovano a non poter più pagare gli altri creditori. Nel caso invece che i liquidatori per malo animo o per inabilità si rifiutassero, sempre nel caso di attivo superiore al passivo, di pagare integralmente i debiti scaduti, sarebbero responsabili, anche di fronte ai soci, di tutti i danni che potrebbero

Il GUILLERY (Des sociétés commerciales en Belgique vol. III n. 1174) dice a questo proposito: Si l'actif suffisant pour le paye

ment des créances à terme existait incontestablement; si des événements de force majeure, impossibles à prévoir, ont fait disparaître les sommes réservées pour le payement des créances non échues, les tribunaux ne condamneront évidemment pas le liquidateur irréprochable qui, ayant g ré la chose d'autrui avec toute la prudence possible a fait ce que tout le monde lui eût conseillé de faire pour le plus grand bien de la liquidation. »

venire a questi in seguito all'ingiustificato rifiuto di pagare. D'altra parte quando il liquidatore ha ragione di credere che l'attivo non potrà essere sufficiente a pagare integralmente tutti i creditori, sarà il caso che, a tutela degli interessi dei creditori, da lui si prendano quei provvedimenti che le circostanze consiglieranno; in caso diverso il liquidatore sarà responsabile di ogni possibile danno verso i creditori come disse il tribunale commerciale della Senna 4 ottobre 1883: « le liquidateur d'une société, qui paye des créanciers alors que l'actif de la société est insuffisant pour désintéresser tous les créanciers et qu'elle est en état notoire de cessation de payements, commet une faute lourde. >

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nire di chi è rappresentante il liquidatore ha non piccola importanza per la nostra questione; la Corte di Parigi nel 16 dicembre 1841' seguita da altre corti fra cui da quella di Aix 31 gennaio 18812 decise che i liquidatori rappresentano la massa dei creditori nello stesso tempo che la società, precisamente come il sindaco di un fallimento. Ma se si capisce che la rappresentanza della massa dei creditori si abbia nel curatore, quando si pensi che la procedura di fallimento è principalmente a vantaggio delle loro ragioni e che i beni del debitore vengono sequestrati per forza di legge a sicurezza dell'intero ceto creditorio (cap. II, tit. II del Lib. III del vigente Cod. di com.) non si può riconoscere nel liquidatore la rappresentanza dei creditori una volta che, in genere, la liquidazione è fatta a richiesta e principalmente a favore dei soci. Di più la condizione in cui si vorrebbe fosse il liquidadatore, di rappresentante dei creditori e dei soci, è assurda in vista della opposizione d'interessi fra i soci e i creditori. Se tale concorrenza di funzioni si ritrova nel curatore di un fallimento, ci basti osservare che si ha in proposito una precisa disposizione di legge che la sanziona. Il dubbio dunque, ci pare, va risoluto in modo da escludere che il liquidatore possa considerarsi come un mandatario anche dei creditori.

1 DALLOZ, Jurisp., anno 1842 (2, 144). 'DALLOZ, op. cit. anno 1882 (1, 241).

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Va pure osservato che, all'infuori del caso di fallimento giudizialmente dichiarato e dell'altro di moratoria giudiziale, a forma di quanto è prescritto dall' articolo 824 del Cod. di comm., non si può in nessun altro caso sostenere ed ammettere che gli atti giudiziari, tanto in via ordinaria quanto in via esecutiva, siano impediti in danno di un creditore, il quale si faccia avanti per far valere i propri diritti verso il suo debitore. E a tal proposito la Corte d'appello di Venezia, 10 luglio 1886, giustamente osservò che l'articolo 824 <deve essere interpretato rigorosamente, in senso ristretto, per quanto deroga ai principii del diritto comune con l'imporre una coazione ai creditori, sospendendone la facoltà di esercitare le loro azioni in giudizio »; per la qual cosa la Corte stessa stabiliva che la disposizione dell'art. 824 non dovesse applicarsi neppure nel periodo intermedio fra la presentazione della domanda di moratoria e la sentenza che l'accorda, quantunque, come si vede, il caso fosse tale che col permettere ad un creditore di esercitare le proprie azioni si danneggiavano sicuramente gli altri creditori; pure, mancando una precisa disposizione di legge, la Corte non poteva giudicare diversamente da quel che fece."

1 Il diritto commerciale, vol. IV, p. 774 'La Corte di cassazione di Firenze 16 aprile 1874 (Annali, vol. VIII, p. I, pag. 195) decise che perfino il socio che sia anche credi

Con l'opinione del Vidari si viene anche a creare un diritto nei creditori i cui debiti non sono scaduti ancora, a farli scadere prima del tempo fissato, almeno parzialmente; talchè una disposizione come è quella dell'art. 701 cod. di comm. per la quale i debiti a scadenza obbligatoria a carico del fallito e quelli la scadenza dei quali è rimessa alla di lui volontà si intendono scaduti per effetto della dichiarazione di fallimento », speciale dunque per il fallimento, verrebbe ad applicarsi anche in materia di liquidazione, e ciò malgrado che manchi ogni analogia fra caso e caso e quantunque le eccezioni vadano sempre interpretate restrittivamente e quella dell'art. 701 sia senza dubbio una eccezione: onde è che bisogna convenire col Pardessus che coloro i cui debiti non sono ancora scaduti, non hanno diritto di pretendere che la liquidazione renda i loro crediti esigibili. E si noti che la liquidazione si vorrebbe producesse una conseguenza di simil gravità, quando dal nostro diritto, purchè non sieno lesi i diritti dei terzi, non è vietato (cosi almeno giudicó la Corte d'appello di Genova 21 gennaio 1887) « gli stessi soci di

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tore della società per una causa indipendente dalla sua qualità di socio, può agire pel pagamento del suo credito durante la liquidazione. Op. c. n. 1075. - Anche il tribunale commerciale della Senna, 25 giugno 1883, sentenziò: « La mise en liquidation d'une société n'a pas l'effet de rendre le passif exigible. » Revue des Societés, vol. I, pag. 566.

'Eco di giurispr.comm., anno 1887, pag. 74.

mutuo accordo liquidino senza formalità di sorta i loro interessi sociali. »

Un argomento in favore della nostra opinione ci sembra possa trarsi da alcune disposizioni dello stesso nostro Codice di commercio. Cosi all'art. 202 è detto che << se i fondi non sono sufficienti a pagare il passivo esigibile i liquidatori devono chiedere ai soci le somme a ciò necessarie, quando questi sieno tenuti a somministrarle secondo la natura della società ecc. » Da questa disposizione ci sembra resulti evidentemente il dovere del liquidatore di pagare integralmente il passivo esigibile e per passivo esigibile si intendono, come dice l'Ottolenghi,' e come è, del resto, evidente, i debiti scaduti e che devono essere pagati. Dunque l'art. 202 distingue fra debiti scaduti e debiti non scaduti; e se solo per pagare i primi fa obbligo al liquidatore di chiedere delle somministrazioni di denaro ai soci, dimostra cosi che solo i debiti scaduti debbono dal liquidatore essere pagati immediatamente e integralmente, mentre che i debiti da scadere vanno pagati quando scadranno oppure anche prima, se lo stato della cassa lo permetterà e sarà ciò consigliato dallo stesso interesse della società in liquidazione.

In nostro favore si ha ancora

Il Codice di commercio del regno d'Italia illustrato coi lavori legislativi, colle dot. trine e colla giurisprudenza, vol. II, p. 716, n. 8. V. anche a pag. 718, n. 12.

l'art. 206 Cod. di comm. il quale dispone: « I creditori della società hanno diritto di esercitare contro i liquidatori le azioni derivanti dai loro debiti scaduti sino alla concorrenza dei beni sociali indivisi che ancora esistessero ecc. » Ora se i creditori hanno diritto di esercitare le loro azioni contro i liquidatori per farsi pagare i debiti scaduti, ciò non solo vuol dire che non avrebbero azione per farsi pagare dei loro debiti nou per anco scaduti; ma vuol dire naturalmente ancora che il liquidatore avrà l'obbligo di pagare cotesti debiti scaduti, perchè ognun sa e vede come una facoltà di esigere non sia concepibile senza un corrispondente dovere in altri di prestare. Dall' art. 206 è ancora esplicitamente confermato quello che per altra via dimostrammo, che cioè lo stato di liquidazione non può togliere ai creditori della società il diritto di esercitare le loro azioni.

Abbiamo già parlato di una sentenza della Corte d'appello di Catania che sostenne il principio da noi creduto giusto e corretto; nel caso giudicato dalla Corte si trattava di un liquidatore che aveva avuto mandato di pagare i creditori per contributo; la Corte ben a ragione stabili che il mandato non potendo fare stato ed essere opposto ai creditori che rimasero estranei alla dichiarazione di liquidazione «< il liquidatore doveva pagare i creditori secondo che si verificavano

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