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avrebbero aderito, non fu tenuto conto essendo rappresentanti senza mandato;

Tutti i 15 creditori, ad eccezione di uno, concordarono la moratoria, ed è a notarsi che fra questi figurano i tre che avevano proceduto ad atti esecutivi contro la società;

Nel successivo giorno 12 settembre fu fatta istanza alla pubblica udienza del tribunale onde venisse accolta la domandata moratoria, e nessuno sorse a fare opposizione contro la medesima;

Il tribunale civile di Livorno, con sentenza 14-19 settembre 1888, rigettata la domanda di moratoria, dichiarò il fallimento della società anonima ceramica livornese La Cigna, nominando a curatore provvisorio del fallimento stesso il cavaliere Enrico Pini;

Da tale sentenza la società anzidetta, nella persona del suo presidente, interpose appello avanti questa Corte con atto 20 settembre ultimo decorso;

E all'udienza stabilita la società e il curatore provvisorio cav. Enrico Pini, che si fece a contestare l'appello, presentarono le comparse conclusionali sopra trascritte ;

Attesochè di fronte ai termini della contestazione sorta fra le parti la Corte sia richiamata a risolvere due questioni, l' una pregiudiciale relativa alla dedotta inammissibilità dell' appello, l'altra di merito intorno al concorso dei requisiti, sul fondamento dei quali si può per legge concedere la moratoria.

Sulla questione pregiudiciale.

Attesochè il curatore provvisorio sig. cav. Pini sostenga inammissibile l'appello interposto dalla società anonima La Cigna, per questo perchè tra i casi eccettuati (e che devono ritenersi tassativi) dalla regola generale della inappellabilità delle sentenze in materia di fallimento scritta nell' art. 913 del vigente Cod. di comm., non figura quello della sentenza riguardante la moratoria domandata prima della dichiarazione del fallimento stesso, e che è contemplato dall'art. 827 di detto Codice:

Attesochè questo assunto apparisca insostenibile. Ed in vero, una volta che siffatta moratoria va regolata dalle stesse disposizioni dell'altra domandata dopo la dichiarazione del fallimento, e che l'articolo 827 si riporta, quanto alla sentenza definitiva, al precedente art. 822, si rende evidente l'appellabilità della pronunzia, tanto se la moratoria sia anteriore quanto se sia posteriore alla dichiarazione del fallimento, ed in questo senso si è appunto pronunziata la giurisprudenza dei tribunali superiori del regno (Cassazione di Torino, 25 febbraio 1887; Cassazione di Firenze, 24 marzo 1867, Foro italiano, 1887, X, 1, 1263 e 337).

Sulla questione di merito. Attesochè per il combinato disposto dagli art. 817, 819 e 822 del vigente Cod. di comm., i requisiti legali per conseguire la moratoria anche prima della dichiarazione del fallimento consistano nel dimostrare:

1° che la cessazione dei pagamenti siasi verificata per conseguenza di avvenimenti straordi

narii ed impreveduti, o altrimenti scusabili;

2o che l'attivo del patrimonio superi il passivo;

3° che concorra il consenso della maggioranza dei creditori;

Attesochè, ad onta della impugnativa del curatore provvisorio sig. cav. Pini, sembri alla corte sia stato giustificato a sufficienza il primo requisito, inquantochè il fallimento improvvisamente avvenuto dei banchieri fratelli Soria, che facevano il servizio di cassa alla società anonima La Cigna, e le provvedevano il capitale circolante per far fronte alle scadenze delle sue obbligazioni ed al pagamento de' suoi numerosi operai, non può a meno di venire apprezzata quale un avvenimento straordinario ed impreveduto, capace di gettare, come infatti gettò, la società stessa in un grave disequilibrio, dal quale non potè subito liberarsi con efficaci misure riparatrici, atteso l'allarme suscitato nella piazza dal fallimento stesso e dagli altri che ne seguirono dipoi, abbenchè tra mercanzie fabbricate e materie prime la detta società avesse da far fronte al pagamento di tutti i suoi debiti;

Attesochè dal bilancio straordinario stato chiuso al 21 luglio 1888 risulti un attivo di lire 790,658, 95 ed un passivo di lire 819,485, 35, dalla qual'ultima cifra dovendosi detrarre il capitale sociale rappresentante le azioni in L. 600,000, il quale, se per sistema di scritturazione figura in passivo, non costituisce davvero un debito, resta il passivo stesso residuato a

L. 219,485.35, e si ha perciò una ec. cedenza di attivo di L. 571,173.60;

Nè a modificare questi resultati possono farsi valere le asserte inesattezze che si vogliono rilevare nel bilancio per le differenze di cifre tra i crediti ivi segnati ed i denunziati da alcuni creditori nell'adunanza dell'11 settembre decorso, poichè la società anonima La Cigna, tanto nella sua conclusionale principale come nell'addizionale ha quelle pienamente spiegate e giustificate, dimostrando che non hanno importanza di sorta, comecchè naturali ed inevitabili di fronte all'improvvisa chiusura dell'amministrazione avvenuta prima del termine dell'esercizio annuale e che poi trovansi bastantemente coperte da una somma eventuale prevista nella parte passiva del bilancio, sotto il titolo di spese e provvisioni da pagare;

Attesochè, sebbene l'ultimo estremo, ossia il consenso della maggioranza dei creditori non vincoli l'autorità giudiziaria, la quale deve semplicemente tenerne conto e non basarvi la sua decisione, pur non di meno anch'esso ricorra nel caso. A torto a questo proposito tanto la sentenza appellata, quanto il curatore provvisorio sig. cav. Pini, nella sua conclusionale si facciano a sostenere che la legge abbia voluto una maggioranza di somma, anzichè di persone, e che in fatto neppure si avesse la maggioranza per numero di creditori;

Ora, non è vero, prima di tutto, che l'art. 822 del citato Codice esiga una maggioranza per entita di interessi si rileva anzi dal precedente art. 821, che nel ver

bale dell' adunanza deve aversi cura di raccogliere di fronte ai nomi e cognomi dei creditori comparsi il numero delle opinioni favorevoli e sfavorevoli alla moratoria, ciò che è argomento trattarsi, nel caso, di maggioranza per numero di persone. Si andrebbe poi, tenuto il concetto opposto, contro il criterio stabilito dal nuovo Codice di commercio per giudicare della efficacia delle deliberazioni che si prendono dai creditori nei giudizi di fallimento, criterio scritto all'art. 907, e che è quello della maggioranza per numero, da seguirsi sempre, a menochè la legge non richieda espressamente, come la richiede quando la vuole, una maggioranza speciale diversa, quale è prescritta ad esempio dagli art. 157, 158, 825, 828 e 833. D'altronde, è anche da notarsi che la nuova legge commerciale si oppone alle oligarchie d'interessi, e sebbene di regola i voti si pesino e non si contino, pure il peso del voto non è rappresentato soltanto dal valore della moneta che misura il credito del votante, ma anche dalle ragioni di giustizia, di moralità, di convenienza e d'interesse che raccomandano l'opinione dal voto stesso favorita ; Non è vero poi che in fatto non si avesse la maggioranza per nuquesta maggioranza non si misura dal numero complessivo dei creditori, ma da quello dei creditori intervenuti all' adunanza, o in persona, o mediante mandatario (art. 907 citato); la maggioranza assoluta dei presenti obbliga gli assenti ed i dissenzienti, e chi debitamente avvisato non è comparso

mero

manifesta che ha rinunziato al diritto d'intervenire, e si è acconciato a tener buone le deliberazioni dei creditori intervenuti lungi dunque dal considerare gli assenti quali opponenti, devono invece ritenersi come tacitamente aderenti ;

In ogni modo si avrebbe, nel caso per le avvenute successive adesioni per iscritto dei non intervenuti, anco la maggioranza sul numero totale dei creditori della società;

Attesochè finalmente ricorra anco una ragione di pubblico interesse, nel ridonare cioè ad un numero non indifferente di operai rimasti senza lavoro il mezzo di occuparsi e nell' evitare così un pericolo alla sicurezza ed alla pace pubblica, la qual ragione di pubblico interesse, sebbene per sè sola non possa avere prevalenza sulle ragioni d'interesse privato dei creditori di detta società, pure merita di essere convenientemente dalla Corte apprezzata in aggiunta alle considerazioni per le quali la domandata moratoria si dimostra legalmente ammissibile;

Attesochè la soccombenza del curatore provvisorio sig. cav. Pini, in questa sua qualità, renda coerente a giustizia la infrascritta pronunzia intorno alle spese.

Per questi motivi, riforma ecc.

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Il convenuto contumace in prima istanza può proporre in appello l'incompetenza ratione loci. Per l'applicazione dell'art. 91 Cod. proc. civ. si richiede il concorso simultaneo della promessa e della consegna della merce, epperò le azioni nascenti dalla compra-vendita si possono proporre nel luogo della promessa della merce.

Ritenuto che l'appellante De Andrea ha eccepito anzitutto l' incompetenza per ragione di territorio del Tribunale di commercio di Porto-Maurizio onde emana la sentenza appellata; siccome però tale. eccezione è opposta d'irrice vibilia da parte dell'appellato Amoretti, così è questa la quistione che deve essere esaminata preliminarmente ad ogni altra.

Al riguardo si osserva che la condizione unica cui dal capoverso dell'art. 187 Cod. proc. civ. si assoggetta la proponibilità dell'eccezione d'incompetenza, che non sia di materia o valore, di cui si occupa la prima parte dello articolo stesso, si è che tale eccezione venga proposta prima d'ogni altra istanza o difesa.

Ora chi, come il De Andrea, restato contumace in un primo grado di giudizio e nulla pertanto avendo quivi detto o fatto, viene in appello e, conforme risulta aver egli fatto dall'atto di appello stesso e dalla sua comparsa conclusionale, per prima cosa impugna la sentenza resa contro di lui come pronunciata da giudici innanzi ai quali crede di essere stato illegittimamente tratto, esegue indubbiamente quan

to è prescritto dal citato disposto di legge ed ha conseguentemente diritto a che la sua eccezione venga esaminata per provvedere su di essa come di ragione, e non che sia rigettata come inammessibile.

Per dire il contrario bisognerebbe interpretare il suo silenzio nel corso del primo giudizio come una rinunzia al diritto di declinare il foro in cui era stato chiamato, ma questo non è consentito dal troppo noto principio che le rinunzie non si presumono, ma devono essere espresse, o quanto meno risultare da un fatto inconciliabile col mantenimento di quel diritto che si voglia far valere ancora dopo di quel fatto: nè tale evidentemente è il fatto della non comparizione del De Andrea innanzi al tribunale a quo ad onta della reiteratagli citazione il di cui unico effetto, per espressa sanzione della legge, si è la decadenza del contumace dal diritto di opposizione alla sentenza davanti la stessa autorità giudiziaria e la perdita cost del benefizio del doppio grado di giurisdizione in cui avrebbe potuto sperimentare le sue ragioni.

A sostegno dell'opposta irricevibilità si è creduto di poter anche argomentare dalla diversità di dizione tra la prima parte dell'articolo 187, permettente l'eccezione d' incompetenza per materia e valore in ogni stato e grado, e la seconda parte, che regola la proponibilità dell' eccezione per altre cause, in cui non si riscontrano più le parole stato e grado della causa; ma l'argomento non corre avvegnachè la frase generalissima in ogni altro caso, di cui il legis

latore si è valso in detta seconda parte, è comprensiva tanto dello stato quanto del grado, e qualsiasi restrizione contraria al suo naturale significato riesce arbitraria, epperciò illegittima.

Ritenuto che, stabilita per le precedenti considerazioni la proponibilità dell'eccezione D'Andrea, Occorre d' esaminarne il fondamento.

Sostiene D'Andrea, la incompetenza del Tribunale a quo di conoscere della domanda contro di lui rivolta da Amoretti per difetto di due estremi, il cui concorso sarebbe stato, secondo l'eccipiente, indispensabile a poterlo trarre innanzi a quello a mente del capoverso dell'art. 91 Cod. proc. civ., la promessa cioè e la consegna della merce in luogo sottoposto alla giurisdizione del tribunale stesso ed ove egli fosse stato rinvenuto e citato in persona propria.

La Corte però è d'avviso diverso, primieramente perchè non sta che il contratto per cui si contende, e conseguentemente la promessa della merce che ne è oggetto, sia avvenuta altrove che in detta giurisdizione.

Da una lettera infatti 4 settembre 1887 del De Andrea si ha che sul cominciare della vendemmia di di detto anno si rivolgeva alla Ditta Bruno d'Oneglia e la incaricava di piazzargli qualche carico di vino e gliene indicava il prezzo, 15 o 16 lire l'ettolitro.

Rispondeva Bruno con un primo telegramma 17 settembre stesso che altri offrivano la prima qualita a lire 15; ma poi con un secondo telegramma del medesimo

giorno gli notificava d'essere riuscito a fargli dare la preferenza per 400 ettolitri di vino che aveva fissato e contrattato a suo nome coll'Amoretti a L. 16 l'ettolitro, e lo avvertiva che il compratore spediva bastimento e fondi.

Con siffatta lettera in specie con i due telegrammi citati dal De Andrea prodotti in questa sede, resta posto in sodo che nei rapporti tra De Andrea e Bruno si è verificato un contratto di mandato dal primo conferto al secondo, e da questo accettato non solo ma eseguito, di vendere, per conto del mandante, vino in Oneglia, e nei rapporti tra De Andrea e Amoretti a mezzo del mandatario Bruno il contratto di compra e vendita della partita vino del quantitativo e prezzo suindicati; ma l'incontro e la riunione dei consensi delle due parti tanto per il primo che per il secondo contratto, è succeduto in Oneglia, giurisdizione dell'ora abolito Tribunale di Commercio a quo in Oneglia adunque si sono perfezionati, e poichè in un contratto di compra e vendita, quale è il succennato, che è quello che più importa alla questione, si trova insita necessariamente la promessa della merce, è impossibile dire che ivi non sia stata fatta dal De Andrea la promessa del vino all'Amoretti, onde la sussistenza della condizione prima da lui negata per poter essere convenuto al Tribunale anzidetto, comunque colà non citato in persona propria, non può essere rivocata in dubbio.

Per quanto poi ha tratto alla condizione seconda, ossia alla consegna della merce, si osserva che

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