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se essa manca in concreto, e non poteva non mancare dal momento che la merce era consegnabile alla rada di Scoglietti, non per questo però veniva meno in Amoretti il diritto di adire il Tribunale anzidetto pur citando il venditore D'Andrea al luogo di sua residenza, Vittoria, anzichè in quello della promessa o del contratto, e la ragione sta in che dicendosi nel comma dell'art. 91 in parola che nelle materie commerciali le azioni reali sui beni mobili possono anche proporsi davanti l'autorità giudiziaria del luogo in cui fu fatta la promessa e la consegna della merce, non si è voluto già, chi ben lo consideri, imporre che le due circostanze debbano imprescindibilmente concorrere, ma significare piuttosto che dette azioni erano proponibili e nell' uno e nell'altro caso, tanto cioè se laddove era chiamato a comparire il venditore si era verificata la promessa, quanto se invece cadeva soltanto la consegna della merce; ed a così avvisare la Corte è indotta non solo dalla ragione filologica che permette di dare un tal senso alla particella e che piuttosto che cumulativa riesce equiparativa delle due condizioni tra cui si trova situata; ma principalmente dal riflesso che il benefizio per universale consenso voluto concedersi con detto comma al commercio, per una intelligenza diversa al medesimo data, verrebbe grandemente, e senza una valida ragione, diminuito, giacchè non potrebbe usufruirsi in un numero di casi certo frequentissimi e forse più importanti.

Invero, posto che il comma citato autorizza anche la proposizione delle succennate azioni davanti l'autorità giudiziaria del luogo ove deve eseguirsi il contratto, un compratore, come lo Amoretti, potrebbe sempre, per effetto di tal disposto di legge, convenire il venditore al Tribunale dove non si fosse verificato altro che la semplice consegna, o di quello dove soltanto dovesse succederne il pagamento, senza che in nessuno di detti luoghi fosse rinvenuto e citato in persona, e nol potrebbe mai invece nel luogo del solo contratto per quanto questo sia quello che dà vita a tutti i diritti ed obblighi dei contraenti relativi, e quello che naturalmente da luogo a più frequenti e molto più rilevanti questioni, la risoluzione delle quali dipende sovente dalle consuetudini locali, la cui sussistenza e portata può sempre meglio e più facilmente accertarsi sul luogo stesso, anzichè in altro, come nella specie avverrebbe, assai lontano; epperciò la Corte è di credere che la sua interpretazione del comma in discorso in parte qua sia quella che più corrisponde alla mente del legislatore e quella in conseguenza che deve essere da Lei adottata, il che posto, la sollevata eccezione di incompetenza necessariamente cade come priva di giuridica base. (Omissis). Per questi motivi la Corte, ecc.

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Attesochè reclamando l'erede beneficiato Danovaro dal decreto del presidente del tribunale civile di Genova, con cui gli fu respinta la istanza diretta ad ottenere la sospensione di atti esecutivi praticatigli da Carlo Dall' Orto in forza di titoli cambiari come al ricorso medesimo ed a senso del capoverso dell'art. 323 Cod. comm., e chiedendo che in riforma del decreto anzidetto sia dal presidente di questa Corte ordinata la sospensione degli atti esecutivi, si presenta innanzi tutto la questione se il presidente della Corte abbia competenza a conoscere di detto reclamo.

In quell'articolo non si dice se siavi diritto a reclamare dal decreto del presidente del tribunale, e di conseguenza neppure qual sia l'autorità giudiziaria cui debba portarsi il reclamo, e nel libro 4 tit. 1 sull'esercizio delle azioni cominerciali invano si cerca una disposizione particolare in proposito. Per

decidere quindi se vi sia diritto a reclamo e chi debba conoscerne, conviene esaminare ciò che in sostanza è il decreto del presidente del tribunale, di cui a quella disposizione di legge. Lo scopo di essa è evidente: dati gli effetti di titolo esecutivo alla cambiale e dichiarato che le opposizioni al precetto non sospendono la esecuzione, ad ovviare i gravi danni che da questa potrebbero derivare se le opposizioni fossero fondate, la legge ha suggerito un temperamento, pel quale, concorrendo motivi gravi di opposizione, possono sulla istanza dell'opponente sospendersi in tutto od in parte gli atti esecutivi fino ad opposizione decisa, e ha demandato la facoltà di ordinare la sospensione al pretore od al presidente del tribunale competente per la somma. Il decreto dunque che accoglie quella istanza è un provvedimento interinale dettato dal pericolo di atti esecutivi ingiusti e dall' urgente bisogno di evitare le dannose conseguenze. Posto, come è indubitato, che il decreto di cui si parla contenga un provvedimento di attualità, d'indole temporanea, e d'urgenza, è ben naturale che la legge, quando la somma portata nel precetto ecceda la competenza del pretore, abbia ordinato che sia emesso dal presidente del tribunale anzichè dall'intero Collegio. Sulla scorta dei documenti che deve l'opponente esibirgli egli deliba il valore delle opposizioni e, secondo il concetto che se ne forma, accorda o no la richiesta sospensione degli atti esecutivi molto più sollecitamente di quanto potrebbe forse il tribunale,

se al tribunale l'incidente si dovesse portare.

Ma nè dalla natura del provvedimento, nè dall'esser stata demandata la facoltà di emetterlo al solo capo del Collegio deriva che chi se lo vede negato possa reclamare dal relativo decreto, e reclamando rivolgersi al presidente della Corte. Non sembra anzi nel silenzio della legge che possa farsi luogo a reclamo di sorta, perchè il ricorrente, vistasi respinta la istanza, se con essa non tenti sorprendere il presidente e la opposizione è veramente seria, ha pronto il rimedio, non avendo allora a fare altro che esibire al tribunale quei documenti già recati al presidente e sollecitare gli atti per aver presto la sentenza che decide sulla fatta opposizione al precetto. Il reclamo dunque dal decreto che non accordò la sospensione degli atti esecutivi sarebbe un atto superfluo e come tale parrebbe che non dovesse ammettersi. In ogni caso non dovrebbe essere rivolto al presidente della Corte, nè questi potrebbe cono

scerne.

La legge commerciale, demandando coll'art. 323 la facoltà di sospendere gli atti esecutivi a seguito d'opposizione a precetto per debiti cambiari al solo capo del Collegio, ha attuato la sua disposizione contenuta nell'art. 568, si è, vale a dire, uniformata al principio già adottato nel Codice di procedura civile, che nei casi di urgenza possa provvedere il solo capo del Collegio come in materia di sequestro conservativo (art. 926), di separazione personale quando la riconciliazione fra coniugi non rie

sca (808 ultimo capoverso) e negli incidenti (182 e 183), e l'ha esteso a tutti i casi in cui pel vantaggio del commercio ha creduto esservi bisogno di sollecitudine. Ma dall'aver la legge adottato il principio che nei casi di urgenza possa provvedere il capo del Collegio non discende che dal decreto od ordinanza ch'egli emette debba ricorrersi al presidente del Collegio superiore, come il Danovaro ha inteso di fare. È vero che nello stesso Codice di procedura v'hanno esempi di reclami da decreti dell'autorità inferiore al solo capo del Collegio superiore, come all'articolo 782 capoverso ed anche nel Codice civile, come all'art. 223, ma tali disposizioni speciali sono in materia di volontaria ed onoraria giurisdizione, ed è a notarsi che anche in questa materia, se contro il decreto del pretore o del presidente del tribunale insorga un terzo, non è più competente il solo presidente dell'autorità superiore a conoscere del reclamo. E la ragione è evidente: sorge allora una contesa, e l'affare non può più oltre esser trattato, che colla regola della materia contenziosa, ad incominciare da quella del doppio grado di giurisdizione che ogni contesa, salva la contraria volontà degli interessati e le eccezioni speciali della legge, deve sempre percorrere. Col metodo di procedura in ordine al disposto dall'art. 323 Cod. comm., che vuole inaugurare il Danovaro, si ha un doppio grado, da presidente del Collegio inferiore al presidente del Collegio superiore, ma non è il doppio grado voluto dalla legge, perchè per essa

nella materia contenziosa il jus dicere non compete al solo capo, ma all' intero Collegio. E se in taluni casi permette al presidente di emettere dei provvedimenti, la ragione sta nell'urgenza, nel bisogno attuale presentaneo, che non ammette dilazione, di salvaguardare con essi i diritti delle parti, di lasciare integre le loro ragioni da sperimentarsi o che già si sperimentano in giudizio innanzi l'intero Collegio. Al quale, secondo il sistema del Codice, è riservato il definitivo giudizio anche sulla opportunità e giustizia del provvedimento, tantochè questo nell'attuale rito giudiziario può dirsi una misura provvisoria adottata arbitrio boni viri dal presidente in una causa pendente innanzi al suo tribunale piuttostochè come vero pronunziato di giudice, finchè almeno o non vi si sono acquietate le parti o non vi è stata la conferma del tribunale sulla istanza o reclamo di una di esse.

Essendo questo il sistema del nostro Codice, che cioè dai provvedimenti presi dal presidente, nei casi in cui la legge gli consente di emetterli da solo per ragioni di urgenza, sia su semplice ricorso, sia in seguito di citazione, il reclamo dal decreto od ordinanza relativa debba essere portato al tribunale, è evidente che nulla trovandosi disposto all'art. 323 Cod. comm., e riportandosi questo per l'esercizio delle azioni commerciali, in quanto non dispone particolarmentente, alle regole della procedura civile, il reclamo dal decreto del presidente, ancorchè competesse a chi si crede leso dall'essere

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un valore corrispondente alla doppia tassa dovuta in ragione della somma espressa, di che invece i soscrittori non tennero conto veruno.

La conseguenza di ciò è che il vaglia in parola, non regolarmente ed originariamente bollato, non possa produrre alcuno degli effetti cambiarl preveduti dalla legge, perchè nell'art. 42 ult. al. della detta legge sul bollo è fatto obbligo di pronunziarne l'inefficacia anche nel silenzio delle parti, salvo quegli altri effetti che potessero derivare dall'atto, considerato come semplice obbligazione civile o commerciale.

Nel caso presente non si è chiesto di volere regolarizzare l'atto insufficientemente bollato, e ciò solo basta a rendere giustificata la comminatoria della legge; ma se pure questa peculiare circostanza non vi fosse, nemmeno sarebbe stata attendibile la postuma regolarizzazione, perchè l'articolo sopradetto in termini espliciti subordina l'efficacia degli effetti cambiarî alla regolare ed originaria osservanza delle prescrizioni di bollo; perchè in tal titolo ed in una obbligazione d'indole essenzialmente formale non era permesso venir meno ai requisiti di forma ancorchè introdotti ad uno scopo meramente fiscale, quale è quello della carta e della tassa da pagare. E perciò nemmeno vale l'osservare che il Codice di commercio non abbia richiesto fra i requisiti della cambiale anche quello della carta in parola: l' una legge e l'altra si completano a vicenda, ciascuna secondo l'obbietto che le è proprio, e poichè non può ammettersi che

la legge generale deroghi alla speciale quando, siccome in ispecie, le nuove disposizioni non contradicono, nè dispongono altrimenti, la conseguenza è che circa i ricapiti commerciali deve essere ad un tempo osservata la legge sul bollo e quanto inoltre è stato preIscritto dal Codice di commercio.

Che poi il fin qui detto meni alla conseguenza dell' inefficacia cambiaria, meglio si desume anche da questo che l'art. 42, al. 1o indistintamente per tutti gli atti soggetti a bollo e riconosciuti in contravvenzione ha impedito che si registrino e si producano in giudizio fino a tanto che non siano muniti del bollo straordinario, della marca, o del visto corrispondente alla tassa dovuta. Se l'aggiunta propria alle cambiali, di che nell'ultimo alinea, avesse dovuto dire niente altro che la medesima cosa, sarebbe riuscita una ripetizione frustranea, non compatibile colla precisione della legge, e d'altronde non avrebbe avuto scopo lo avverbio << non potranno inoltre produrre ecc. »; avverbio che invece ha lo scopo evidente di sottoporre i recapiti commerciali ad una speciale comminatoria, maggiore di quella introdotta per la mancanza od insufficienza del bollo degli altri atti.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI MILANO

13 ottobre 1888
Est. CAVALLI

Ditta Gabrielli e Mazzoni c. Virgi nia Carioli.

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