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derogò tutte coteste regole, relative alle lettere di cambio.e ai

volontà di obbligarsi in via cambiaria risulta dalla circostanza che il foglio, sul quale chi si obbliga appose la propria firma, è un foglio bollato, destinato appunto alla formazione di una lettera di cambio.

La prova del riconoscimento da parte del legislatore della cambiale in bianco, si volle trarre poi dal disposto dell'art. 628 del Codice penale italiano cost concepito: « Chiunque abusando di un foglio bianco a lui affidato portante una sottoscrizione, vi avrà dolosamente scritto sopra o fatto scrivere una obbligazione quietanzata, o qualunque altro atto che possa nuocere alla fortuna o alla persona di chi lo ha sottoscritto, sarà punito col carcere per un tempo non minore di sei mesi e con multa estensibile a lire duecento. Se il foglio non gli sarà stato affidato il colpevole sarà punito colla pena del falso. »

Finalmente si accampano in favore gli usi del commercio e della giurisprudenza.

Noi non neghiamo la gravità della controversia, ma ci sembra che le ragioni addotte in favore della validità della cambiale in bianco non possano accogliersi. Incominciamo dalla clausola cambiaria; essa, è vero, può essere scritta dal traente o da altri, ma ciò non toglie che prescrivendola il legislatore non intendesse che la scienza dell'emittente o traente di obbligarsi cambiariamente, si dovesse desumere soltanto dalla clausola stessa, a tal segno che vietò gli equipollenti.

Ma se quella scienza si deve desumere dalla denominazione data allo scritto, ne consegue che la denominazione stessa deve sussistere al momento in cui l'emittente si obbliga, al momento cioè della negoziazione della cambiale, altrimenti la scienza dell' emittente di obbligarsi in via cambiaria non risulterebbe dalla clausola cambiaria, ma dal mandato di scriverla. Dire che quella scienza risulta dall'impiego della carta bollata sulla quale fu apposta la sottoscrizione, è dir troppo, perchè si viene implicitamente ad affermare che il legislatore esigendo la denominazione di cambiale o lettera di cambio ha fatto cosa superflua, ciò che è inammissibile.

L'art. 628 del Codice penale suppone benst la possibilità di obbligarsi in bianco, ma non può applicarsi in una materia cost speciale quale è quella della lettera di cambio, e di fronte al carattere formale di cui l'ha circondata il legislatore.

L'uso di rilasciare cambiali in bianco che si asserisce praticarsi nel commercio, quando pure fosse vero, non potrebbe valere per distruggere un principio che secondo noi deriva dal concetto stesso della lettera di cambio;

biglietti all'ordine. Introdusse due profonde novità, d'onde fu forzato

molto più che questo concetto è nuovo, introdotto cioè dal Codice vigente, mentre l'asserito uso si riferisce ad un'epoca anteriore.

La giurisprudenza poi è incerta, e, in massima parte, anteriore al presente Codice di commercio.

A questi argomenti, coi quali si confutano quelli portati innanzi dai sostenitori della validità del bianco segno, altri ben più decisivi se ne possono aggiungere.

Il primo si desume, come già accennammo, dal carattere stesso della cambiale, obbligazione formale che non si può nemmeno concepire senza che i requisiti voluti dalla legge sussistano al momento in cui nasce l'obbligazione. Si potrà, come dicemmo, integrare, completare una cambiale mancante di alcuno dei requisiti essenziali, ma non con effetto retroattivo; ed accordando la validità al biancosegno si viene appunto a dare alla cambiale effetto retroattivo, si ammette cioè che il traente possa essersi validamente obbligato in via cambiaria con un documento che, per mancare dei requisiti voluti dalla legge, non era cambiale.

In secondo luogo come si concilierebbe la validità della cambiale in bianco col divieto implicito della cambiale al portatore fatto dal nostro Codice? Si verrebbe a negare la validità di una cambiale mancante del nome del prenditore, per ammettere invece la validità di una cambiale mancante non solo del nome del prenditore ma di tutti i requisiti voluti dalla legge.

Da ultimo, un terzo argomento si desume, in applicazione del noto aforisma: Inclusio unius est esclusio alterius, dall'art. 258 di questo Codice, ove si ammette la gira in bianco. Il legislatore ha permesso la gira in bianco, nulla ha detto per la cambiale, pure in bianco, questa adunque deve ritenersi vietata: ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit. Nè varrebbe osservare in contrario che la ragione della legge è la medesima nei due casi, e che quindi in base all' aforisma: ubi eadem est ratio legis, ibi eadem est legis dispositio, avendo il legislatore permessa la gira in bianco, anche la cambiale in bianco deve ritenersi permessa; perchè altro è il permettere che un titolo già perfetto possa esser trasmesso in bianco, altro è ritenerlo perfetto sebbene mancante di alcuno fra i requisiti essenziali perchè possa esistere. Insomma si potrà ritenere opportuno che la cambiale in bianco venga ammessa dalla legge, ma non crediamo che attualmente lo sia.

D. SUPINO.

in conseguenza a derivarne una terza.

a) La caratteristica di commerciale nella cambiale al dì d'oggi non origina più nè dalla natura dell'obbligazione, nè dalla qualità delle persone. La cambiale ha un essere proprio, indipendente tanto dalla natura dell' obbligazione, quanto dalla qualità delle persone. Assume una autonomia formale bensì, ma che ne costituisce la essenza. Basa unicamente sulla materialità della sua denominazione. La materialità del suo nome costituisce soltanto la sua essenza di atto commerciale.

b) La cambiale non è più soltanto un semplice titolo creditorio, come erano le lettere di cambio e i biglietti all'ordine, onde basarsi l'azione giudiziaria al conseguimento del titolo esecutivo. La cambiale invece è essa stessa un titolo esecutivo.

c) Sicchè il nuovo Codice di commercio dispone, che, uno dei requisiti essenziali della cambiale sia la denominazione di cambiale, o lettera di cambio, espressa nel contesto della scrittura, oppure scritta dal traente o dall'emittente con la sua sottoscrizione, potendo pure, ove contenga obbligazione di pagare, denominarsi pagherò o vaglia cambiario (art. 251, Cod. di comm.). E la mancanza di cotesto requisito essenziale cioè la mancanza della denominazione, esclude la qualità e gli effetti speciali della cambiale, salvi gli effetti ordinarii dell' obbligazione, secondo la sua natura, commerciale o civile (articolo 254 Cod. di comm.).

Il Ministro guardasigilli, che

formulò il nuovo Codice di commercio, nella relazione con la quale lo presentò alla firma del Re, ebbe a dire:

<< Stabilita l'indole autonoma ed << indipendente di ciascuna delle << obbligazioni cambiarie, e quella << essenzialmente formale di tutte; << e sancito un grande rigore ese«cutivo per tutti gli obblighi << cambiarii; questo eccezionale ri<< gore, per non riuscire improv<< vido ed ingiusto, richiede, che « nessuno possa esporsi alle san«<zioni preaccennate, senza, che « sia in grado di rendersene conto, <<< senza che la sua attenzione sia << chiamata su di esse con la « espressa denominazione di cam<< biale, lettera di cambio, pagherò << o vaglia cambiario. »

Nella specie, secondo la confessione fatta da Coco prestanome del creditore, ed accettata dal vero creditore Mauro nell'istrumento pubblico 27 luglio 1886, e ritenuta dalla Corte di appello con la sentenza impugnata, Spoto non fece altro, che consegnare un foglio di carta, da lui firmato in bianco. D'onde deriva, che il contesto fu posteriormente scritto, senza l' intervento di Spoto. Spoto non rilasciò che la sola sua firma in foglio in bianco. Quindi nel foglio firmato da Spoto, e da lui trasmesso, non ci era la denominazione espressa di cambiale, o lettera di cambio, o pagherò, o vaglia cambiario. Non ci era nel contesto della scrittura per la semplice ragione, che difettava del tutto. Nè era stata scritta da Spoto con la sua sottoscrizione. Sicchè la scrittura privata, prodotta pria

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dal prestanome Coco, e poi dal vero interessato Mauro, in base esclusiva dell' azione proposta in giudizio, non avea qualità di cambiale, nè potea produrne gli effetti.

L'intero ragionamento, sul quale la denunziata sentenza fondò la contraria dottrina, è soltanto questo.

L'art. 251, nel prescrivere i << requisiti essenziali della cam<< biale, non fa cenno se, quando, << e da chi debba essere scritto il << corpo della medesima; nè dice « pure che vi debba essere unicità << di contesto; ma anzi la firma in << bianco implica un esteso man<< dato per tutto ciò che si rife<<risce al contratto cambiario, ed << anche alle sue modalità, ed è << valida altresì quando viene riem<< pita dalla persona, a cui viene << rimessa. »

L'art. 251 non fa cenno se debba essere scritto il corpo della cambiale? Ma la cambiale non scritta non è cambiale, è niente.

Quando deve essere scritta o se in unicità di contesto e da chi, o se anco dal creditore? Tutto ciò dipende dalla preesistenza, o meno, di mandato. Se ci è mandato per parte di chi vuolsi impegnare in rapporto di diritto cambiario, la cambiale dovrà essere uniforme al contenuto del mandato. Nell' assenza di mandato per parte del debitore, la cambiale dovrà essere scritta da lui, pure in diversi tempi o frammenti, ma sempre, interamente completa, prima che venga consegnata al creditore.

La Corte di merito affermò, che il rilascio di foglio firmato in bianco implichi esteso mandato per

tutto ciò che si riferisce al con-
tratto cambiario.

Questa affermazione, nel suo assolutismo e nella sua illimitata generalità, non è del tutto adeguata al di d'oggi. Non è esente di anacronismo. Era rigorosamente esatto di fronte ai precedenti Codici, i quali riconoscevano la caratteristica di commerciale nella lettera di cambio per la sua natura, e nel biglietto all' ordine, o per la sua natura, o per la qualità di commerciante del soscrittore.

Per le cambiali, oggi non è più così. Esse, trascendendo dalla natura dell' obbligazione, dalla qualità personale, devono contenere l'impronta materiale della loro denominazione. È l'espressione del loro nome, che costituisce la loro essenza cambiaria. La firma di foglio in bianco importa ben vero mandato esteso, ma ognora non altro, che mandato tacito. Questo mandato, appunto perchè tacito, e nello stesso tempo troppo generale, non ha efficacia in ciò, che è forza sia espresso specificatamente dalla persona stessa del mandante. Ed oltracciò, atteso il rigore esecutivo della cambiale, come sopra si è rilevato, la denominazione di essa, deve, quale un correttivo, vivamente colpire con la forza della sua esteriorità. l'intelletto, ed attrarre l'energia dell'attenzione del soscrittore, e metterlo in guardia delle conseguenze non liete, alle quali può essere trascinato. Deve essere adunque tale denominazione espressa e personale per parte di lui. Quindi con la sola firma di foglio in bianco non potrà mai costruirsi la efficacia della cambiale.

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Ne possono emergere inconvenienti a lamentare.

Non è mai sì facile il varco ad un sistema abusivo di simili impugnazioni, perciocchè la prova della firma in bianco dovrebbe sorgere o da controscrittura, o da confessione per parte del creditore.

Colui, che soltanto sa firmare, ma non leggere nè altro scrivere, potrà sempre trarre od emettere cambiali per procura, come il farebbe lo assoluto analfabeta.

D'altronde questi, ove fossero inconvenienti, nulla proverebbero contro la evidenza della mente della legge; e al postutto compenserebbero sempre i pericoli gravissimi, nascenti ognora dai rigori esecutivi di cambiale incosciamente firmata.

Nella specie, adunque, la qualità e gli effetti speciali della cambiale erano esclusi. D'altro lato l'obbligazione di Spoto non sarebbe stata, per la sua natura, commerciale, ma civile.

Ond' è, che la sentenza denunziata violò gli art. 251 e 254 Cod. di comm.; e perciò, respingendo la declinatoria del foro commerciale, applicò non opportunamente la norma di competenza contenuta nell'art. 869 dello stesso Codice.

Pertanto, senza esservi luogo allo esame dagli altri mezzi del· ricorso, la sentenza impugnata deve annullarsi intera, con rimet

tersi la causa specificatamente, a norma dell' art. 544 del Cod. di proc. civ., al giudice civile competente; il quale pronunzierà anco sulle spese di questo intero giudizio di merito e di cassazione.

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Fallimento Concordato Creditore ipotecario Rinunzia all'ipoteca, (art. 578, 760, 765, 767, 776, 833, 834, 840 Cod. comm.).

In caso di fallimento i creditori garantiti da ipoteca non sono esenti dall'obbligo di presentare i loro crediti per la verificazione. 1

Il creditore ipotecario che è ammesso al passivo come semplice creditore chirografario e che venendo compreso nel concordato come tale non si oppose alla sentenza di omologazione del concordato perde l'ipoteca."

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Contro la prima di queste massime fu osservato che chi ha diritti ipotecari non ha che a proporli nel giudizio di esecuzione, affatto indipendente da quello di fallimento; però a dimostrare che l'obiezione è infondata basta appunto il fatto dell'indipendenza dei due procedimenti il primo dei quali mira a porre in chiaro se il credito esiste, mentre il secondo ha per scopo di far si che il creditore, la esistenza del cui credito fu accertata, si paghi facendo vendere i beni che stavano a garantire il suo credito. Si afferma inoltre che la ragione per cui la legge non richiederebbe la preventiva presentazione e verificazione dei crediti ipotecari stà in ciò che l'istituto del fallimento fu introdotto per parificare lo stato di tutti i creditori i quali si trovano in una identica condizione; se vi sono alcuni creditori privilegiati o garantiti con ipoteca, che interesse potrebbero questi avere a presentare il loro credito per farlo verificare ed ammettere? (V. sentenza della Corte d'appello di Torino 10 febbraio 1885 in questo periodico III,

Attesochè i creditori del fallito devono tutti indistintamente presentare la dichiarazione dei loro crediti affinchè la verificazione dei medesimi sia generale e defini

550 e segg.). Ma il non avere interesse i creditori ipotecari a cotesta presentazione non esclude che essi possano essere in dovere di farla, non esclude cioè l'interesse dei creditori chirografari, ai quali può essere utilissimo il conoscere che qualcuno vanta un diritto d'ipoteca sui beni del fallito per potersi, se ne è il caso, opporre a che sia tolta alla loro azione una parte dei detti beni. All' opinione della sentenza annotata è contraria, oltre la citata sentenza della Corte d'appello di Torino, una sentenza della Corte d'appello di Casale 22 dicembre 1868, Annali II, 2, 492; sono invece ad essa favorevoli una sentenza della Corte d'appello di Lucca 29 ottobre 1880 Annali XIV, II, 437, PARDESSUS, Cours de droit commercial n. 1184, BEDARRIDE, Faillites el banqueroutes n. 426, VIDARI, Corso VIII, n. 4607 e l'ALAUZET, Comm. du Code de commerce n. 2607 il quale, osservato che nel fallimento la legge considera come sospetta ogni domanda di pagamento, soggiunge: « Comment échapperait-on, au moyen d'une garantie accessoire, à la necessité d'un contrôle auquel on soumet tous les simples créanciers, quelle que soit l'évidente bonne foi de la demande et la légitimité des titres qu'ils onts produits? > E pure favorevole il CALAMANDREI, Del fallimento pag. 311; questo scrittore però fonda la sua opinione sopra una ragione fondata a sua volta sopra un equivoco; egli dice che l'art. 666 del Cod. di comm. del 1865 con le parole « purchè i loro crediti non siano verificati» dava luogo a dubitare sul modo più retto di decidere la questione; ma che oggi non è più permesso, a tal proposito, dubbio alcuno, perchè, appunto con lo scopo di toglier via ogni dubbio, il Cod. di comm. del 1882 all'art. 779, corrispondente all'art. 666 del Cod. del 1865, non ha ripetuto le parole riferite. Le cose però non stanno come afferma il CALAMANDREI; e ciò perchè l'articolo del Codice vigente corrispondente all'art. 666 del Cod. del 1865 non è già l'art. 779, ma bens! l'art. 776 che ripete appunto il concetto preciso dell' art. 666 con le parole « i crediti dei quali sono già verificati. » Del resto le ragioni portate a sostegno della sua tesi dalla sentenza annotata ci sembrano assai persuasive; e ci sembra citato opportunamente anche l'art. 767, che a torto si disse da alcuno alludere al creditore privilegiato od ipotecario, in quanto esercita i suoi diritti sulla massa chirografaria, perchè come osserva giusta

tiva. I creditori con privilegio of ipoteca non sono esenti da tale obbligo imposto dall' art. 578 Cod. di commercio senza veruna distinzione fra creditori chirografari ed

mente il CALAMANDREI (op. cit. n. 352), sarebbe inutile il far contestazioni di privilegio o d'ipoteca che non avrebbero alcuna influenza. >

Osserviamo solo che la Corte di Brescia ha dimenticato l'argomento che si deduce dagli Atti della Commissione verb. n. 837, ove è espressamente dichiarato che si debbono presentare per la verificazione tanto i crediti chirografari che quelli ipotecari; ivi infatti si legge che tutte le norme relative alla verificazione dei crediti sono comuni a tutti i creditori, e quindi anche ai creditori privilegiati o ipotecari. »

In conclusione, la opinione della sentenza ci sembra imporsi necessariamente: 1° perchè la legge non fa distinzione, e ha inteso di non tarla, fra crediti ipotecari e chirografari ; 2° perchè non vi sarebbe nessuna ragione per fare codesta distinzione, anzi vi sono delle buone ragioni per non farla.

Quanto al secondo principio contenuto nella sentenza ci sembra che la Corte non sia stata nè molto chiara nè molto precisa; infatti essa per sostenere che il creditore non ha conservato la vantata ipoteca, osserva in primo luogo che il creditore nel verbale di chiusura della verificazione dei crediti fu espressamente escluso dagli ipotecari ed invece ammesso fra i chirografari, senza che il suo procuratore si opponesse; che inoltre alla prima adunanza per la formazione del concordato il curatore del fallimento lesse la sua relazione di cui faceva parte l'elenco di tutti i creditori, ed in quell' elenco il creditore figurava tra i chirografari ci sembra però assai dubbioso che ciò sia opportunamente ricordato dalla sentenza perché nel caso speciale, avendo il creditore ipotecario sin da principio fatto espressa ri serva per la ipoteca che pretendeva avere, resta a vedersi se il suo silenzio, nei casi accennati dalla Corte, possa proprio renderne persuasi ch'egli abbia inteso di rinunciare alla ipoteca in questione.

La Corte si fonda, per sostenere la propria tesi, principalmente su ciò che la sentenza omologatrice del concordato è passata in cosa giudicata; ora ammettendo che al creditore spettasse tuttavia il diritto ipotecario ch' egli vanta si scuoterebbe l'efficacia della sentenza omologatrice del concordato che pure deve essere inoppugnabile anche per il creditore perchè nella formazione del concordato il suo credito fu ritenuto chirografario

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