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no state avanzate artatamente al solo ed unico fine di dilazionare il giudizio, posciachè la legge abbastanza al proposito abbia provveduto con delle penalità (Art. 314 Cod. proc. civ. e 151 Cod. pen. tosc.). Sarebbe grave errore ritenere il contrario, siccome insegna la vecchia massima: Folle est la sagesse qui veut être plus sage que la loi. La domanda poi allo stato degli atti si appoggia sopra una scrittura, alla quale, al dirimpetto di chi l'impugna, non è insita alcuna presunzione di verità. Di vero se la cambiale trae la propria esistenza dalla forma ed ha gli effetti del titolo esecutivo, la forma per altro non le può imprimere alcun che d'autentico, perchè altrimenti coi titoli esecutivi rimarrebbe confusa. La forma crea soltanto una presunzione di autenticità a favore di chi paga (articolo 287); lo che convince a dovers applicare al caso le regole sulla forza probante delle scritture di cui agli art. 1321-1322 del Cod. civ. Ma si obietta dalla parte attrice essere un grave inconveniente che il creditore debba attendere l'esito di un giudizio correndo frattanto il pericolo di perdre le sue garanzie. » Adducere inconveniens non est solvere

argomentum. È questa una conseguenza di quasi tutte le di-posizioni legislative che s'informano a motivi d'interesse generale. La querela di falso civile secondo le odierne leggi è di tale potenza che da sola può scuotere temporaneamente la fede dell' atto pubblico ed arrestarne la forza esecutiva (art. 1317 Cod. civ.). Se poi con

essa concorre la querela penale sospende ipso jure il giudizio civile (art. 308 317 Cod. proc. civ.).

Non saprebbesi quindi concepire come la cambiale, nel silenzio della legge, dovesse godere privilegi maggiori di quelli stessi titoli esecutivi, cui essa soltanto negli effetti si pareggia. Opinare diversamente vale esagerarne la sua vera portata giuridica: chè assurde sarebbero le conseguenze. Nessun cittadino sarebbe più certo di possedere pacificamente i suoi beni, perchè ad opera del falsario troverebbesi esposto al bivio o di lasciarseli espropriare, o di dare cauzione.

Non vale per ultimo obiettare che l'art. 323 del Cod. di comm. prescrive la cauzione in ogni caso di sospensione in seguito ad opposizione a precetto: posciachè a prescindere se il caso di formale querela sia o non in questo articolo compreso, trovasi la parte attrice in posizione ben diversa da chi agisce in via esecutiva; perocchè portando il titolo come base dell'azione alla cognizione del giudice, accetta implicitamente che venga esaminato e discusso.

Attesochè non si possa far luogo alla procedura di falso incidente essendo in corso il procedimento penale e mancando agli atti il titolo impugnato.

P. Q. M.

Riservate le spese, dichiara sospesa la presente causa sino a che siasi definitivamente pronunziato nel giudizio penale al seguito della querela sporta, ecc., ecc.

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Fallimento Mandato Intervento in causa del fallito, (art. 699 Cod. comm.; 1757 Cod. civ.).

La posizione giuridica del fallito nelle cause in cui fu autorizzato a intervenire è quella di un contradittore qualunque; epperò egli è validamente rappresentato da un mandatario nominato anteriormente alla sentenza di fallimento.

Attesochè, in diritto, la ditta Casanova quantunque siasi limitata a chiedere la conferma pura e semplice dall' appellata sentenza, ha però contestato che il fallito Cornacchia potesse ex capite proprio proporre l'odierno appello. Osservava in primo luogo che il procuratore del Cornacchia è comparso in questo giudizio con un mandato di data assai anteriore a quella della dichiarazione di fallimento, caduto perciò nel nulla in forza dell'art. 1757 Cod. comm. che annovera fra le cause di estinzione del mandato anche quella del fallimento del mandante. Da ciò deduceva che l'appellante non può ritenersi costituito in giudizio; invocava poi la rigorosa applicazione dell'art. 699 Cod. comm. in forza del quale il fallito di pieno diritto è privato dall'amministrazione dei suoi beni e le azioni a lui competenti o quelle che contro gli vengono mosse ad eccezione delle strettamente personali 0

estranee al fallimento, non pos

sano essere promosse o sostenute che dal curatore; e insisteva nel detto assunto anche perchè suffragato dai mezzi di difesa del Cornacchia il quale aveva deferito il giuramento decisorio, che essendo equiparato alla transazione, richiedeva in lui la piena capacità di disporre dell'oggetto nella transazione compreso. La risoluzione della tesi dipende dal rilevare se veramente sussiste che il fallito non possa mai prendere parte alle cause che riguardano i beni della massa, imperocchè se si avesse a riconoscere che il precetto dello art. 699 Cod. comm. non è assoluto e che in taluni casi l'intervento del fallito agli scopi non angustiati di propria difesa e nell'interesse del patrimonio devoluto ai creditori è acconsentito, sarebbe per ovvia conseguenza infirmata la eccezione di incapacità a farsi rappresentare in giudizio.

Attesochè risulta dai verbali della Commissione ministeriale per i lavori del Cod. di comm. come alcuni dei membri avessero manifestato l'opinione che il fallito avesse diritto di intervenire sempre nelle cause riflettenti il patrimonio, e ciò a motivo dell'essenziale interesse che aveva di conservarlo e difenderlo da ingiusti attacchi, mentre il curatore non aveva altra ingerenza all'infuori di quella di amministrarlo. Così fatta proposta non fu però accolta dalla maggioranza, la quale considerò che i gravi effetti del fallimento, fra cui quello di togliere al fallito la facoltà di stare in giudizio relativamente ai suoi beni,

dovevano essere mantenuti anche come mezzi repressivi; che però alla regola che escludeva il fallito di intervenire nelle cause concernenti i suoi beni caduti in fallimento, potesse farsi eccezione in taluni casi, quando cioè fosse ravvisato opportuno e necessario il di lui intervento, rimettendo al tribunale l'apprezzamento dei fatti che potevano giustificare l'analoga autorizzazione. Di conformita fu redatto l'art. 699 del vigente Cod. comm. Ciò premesso è d'uopo ritenere che la giuridica posizione del fallito, nelle cause in cui fu autorizzato ad intervenire, sia quella di un contraddittore qualunque che a propria difesa può valersi dei mezzi ordinari che la legge gli appresta. Infatti se il partito che voleva acconsentito senza veruna restrizione la facoltà al fallito di intervenire nelle cause di cui sopra si è discusso, fu vinto dalla maggioranza che quell'intervento volle ammettere soltanto in via di eccezione e dietro autorizzazione del Tribunale, è logica illazione che gli stessi diritti che sarebbero spettati al fallito, se gli fosse stata riconosciuta illimitata la facoltà di intervento, gli siano acconsentiti nei casi eccezionali in cui viene autorizzato ad essere parte in causa.

Se lo svolgimento dei mezzi di difesa il fallito dovesse subordinarlo al contegno, alla discrezione del curatore, tanto valeva di non accordargli la facoltà di intervento, perchè nella maggior parte dei casi sarebbe rimasto privo di pratico risultato; l'art. 699 non vi ha posta alcuna restrizione, non è

lecito alla parte o al giudice di aggiungervela. L'interesse della massa dei creditori, scopo principale dell'istituto del fallimento, non potrebbe nella fattispecie essere offeso, poichè se il fallito riesce vittorioso sarebbe avvantaggiato per essere assottigliato il numero di quelli che concorrerebbero a farsi pagare sul valore dei beni: se soccombe, nessun danno ne deriverebbe perchè le spese di causa dovrebbero tutte essere poste a suo carico, come espressamente ha disposto il Tribunale col citato decreto 1 febbraio 1888.

Risoluta in questi sensi la questione, si doveva anche ritenere che il fallito per costituire il proprio procuratore potesse valersi del mandato 11 febbraio 1883 in quanto che di quel mandato è fatto un uso che la legge nel concreto ha permesso.

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tenza dichiarativa del suo fallamento nella parte relatira alla retrotrazione della cessazione dei pagamenti.

L'epoca della cessazione dei payamenti è determinata da quel punto in cui si appalesa essere un commerciante giunto a quegli estremi che non possono non condurlo al fallimento. Le ipoteche giudiziali sono escluse dalla presunzione di frode, quindi dalla annullabilità di che all'art. 709 Cod. di comm. n. 4.

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In via pregiudiziale. Aveva personalità giuridica il fallito Vitali per iniziare e sostenere il giudizio di nuova opposizione alla sentenza dichiarativa il suo fallimento nella parte relativa alla retrotrazione della cessazione dei suoi pagamenti. In merito. - Deve dirsi per le risultanze della causa e degli atti del fallimento, che detta. cessazione si verificasse piuttosto nel 6 luglio nel 10 od 11 giugno ultimi scorsi, che nel primo gennaio 1888? Debbono annullarsi, rispetto alle masse dei creditori, le iscrizioni ipotecarie delli Costantini Del-Vecchio, e Camilli surriferite? Nel caso negativo, debbono ammettersi le Ditte opponenti Baluffi ed altre alla prova testimoniale, e per interrogatorio al Camilli, proposte nelle comparse conclusionali per stabilire la frode verificatasi nella costituzione delle ipoteche in questione?

Attesochè sulla pregiudiziale, ben è vero, che dopo la sentenza dichiarativa del fallimento il commerciante rimane colpito da una

specie di diminutio capitis, che resta interdetto del possesso ed amministrazione dei propri beni, che perde gran parte della sua personalità giuridica, e da quel tempo le azioni che gli competono non pos

sono essere esercitate che dal suo

curatore che lo rappresenta, salve le eccezioni dalla legge stabilite, art. 693, 699 Cod. di comm.; che il detto Codice, a differenza di quello del 1865, tace sulla opposizione che quest'ultimo coll'art. 693 medesimo permetteva al fallito anche in ordine alla retrotrazione della data della cessione dei pagamenti; che invece l'art. 706 Cod. vigente per questa opposizione si esprime più genericamente che essa può farsi, senza specificare da chi, deducendosi da questa dizione che fra gli autorizzati debba ritenersi escluso il fallito, perchè avrebbe la legge, diversamente volendo, dovuto dirlo, in vista della modificazione introdotta nella specie fra il Codice passato e il presente; ma non ostante tuttociò il Collegio tuttavia opina. che il Vitali potesse utilmente iniziare la contestatagli opposizione, ed eccone le ragioni. Non è a dubitarsi, che la legislazione commerciale odierna sia informata a principii più lati più liberali che non lo fosse la precedente, per favorire lo sviluppo del commercio, e per tutelare eziandio i vari interessi, nelle disposizioni relative al fallimen'o, sì dei creditori che dei falliti istessi, premunendosi efficac mente rispetto a questi, per le possibili frodi, tanto facili pur troppo a verificarsi, per attenuare gli effetti di una catastrofe economica, e perciò non sara

mai a dirsi errore giuridico, interpretazione arbitraria, il sostenere che se la legge del 1865 al citato art. 693 accordava al fallito il diritto all'opposizione di cui è ora questione, l'attuale legge glie lo abbia voluto togliere, accordandogli la sola opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento. L'art. 706 dell'odierno Codice infatti facoltizza in genere la succennata opposizione in questione, e appunto perchè non sono speci ficate le persone che hanno diritto di esercitarla, non deve dedursi che abbia voluto escludere i falliti, perchè non è lecito aggiungere a ciò che la legge non ha detto, segnatamente in tema di privazione di diritti, perchè il ta cere sulle persone che possono promuovere l'opposizione, vale, in buona ermeneutica legale, l'estendere la facoltà a chiunque si senta leso dal giudicato, e perchè la differenza dei due art. 693 del nuovo e vecchio Codice, non dipende che da trasposizione nelle materie, e da diverso ordine alle stesse dato nel primo di essi. Nel vecchio Codice si amalgamarono in un solo articolo due facolta differenti, nel vigente si disunirono; quella dell' opposizione di che si tratta fu accordata sulla lata e generica disposizione dell' art. 706, nella quale non si volle enumerare alcuno per non dar luogo alla massima: inclusio unius exclusio alterius. Ma vi ha di più: le opposizioni pel medesimo articolo, devono intentarsi tutte contro il curatore, e come in esso non potrebbe egli perciò mai rappresentare l'interesse leso, del fallito, sostenendosi l'opinione ri

strettiva, ne verrebbe la conseguenza diretta che la legge o avrebbe ritenuto che il fallito non potesse avere alcun interesse nel far cambiare la data della cessazione dei suoi pagamenti, o che in tale materia non avesse rappresentanza legale, non parlandosi affatto di curatori speciali od altro, lo che è inammissibile.

Attesochè prendendo in disamina la disposizione restrittiva dell' art. 699 Cod. di comm. ben vedesi che nella soggetta materia la legge ha voluto creare, fra curatore e fallito, quella collisione medesima scatente fra loro dall'altro art. 693, e che di più la stessa precedente disposizione gli da il diritto di intervenire persosonalmente in tutte le questioni dalle quali possa dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico. Nella specie poi si fece dipendere per lo appunto una imputazione di bancarotta, oltrechè da altre cause, da talune concessioni ipotecarie accordate dal Vitali sopra fondi pochi giorni prima e sempre nel periodo sospetto alienati all'Anunzio Papi, come, se non altro, si rivela dagli atti del fallimento, e da ciò traggasi altro argomento per la teoria che si propugna.

Attesochè lo stesso Borsari al medesimo § 1751 del suo commento al Codice di commercio, citato dal curatore, così si esprime sull' interpretazione dell'art. 552: « Non si esclude che il fallito stesso possa muovere azioni in suo nome personale, anzi si aggiunge che a lui spetta il diritto d'intervento in proprio nome e senza l'assi

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