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PRIMO PREAMBOLO

Due furono le fiamme che fecondarono le idee della Divina Commedia, zelo per la vera virtù, e per l'ottimo ordinamento politico; ira o spirito di partito contro i Guelfi. (a) Tralascio di esaminare, come queste due fiamme sì poco affini tra sè, potessero concorrere in una unità nell' animo del fiero Ghibellino: farò invece alcune osservazioni su di esse.

Zelo per la vera virtù e per l'ottimo ordinamento politico.

E volgendomi più d'appresso alla prima, io pronunzio non esservi tra gli uomini vera virtù senza una ben intesa religione. I fondamenti e le guarentigie della virtù e della giustizia nel mondo non sieno per un momento che le leggi, ed i loro esecutori, l'interno grido della ragion pratica e della coscienza, ed il naturale pendio alla riputazione. Ognun sa come le leggi ed i loro esecutori spesso non penetrano nei recessi della colpa; come altre volte ancora elle tacciono per proprio difetto o insufficienza naturale; e come più sovente gridano invano, sapendo eluderle, ed anche violentarle la prepotenza fortunata. Le leggi adunque non sono sufficienti da sè sole ad estirpare e raffrenare tutti i vizii. Quanto alla ragion pratica ed intima coscienza; ognun sa del pari come sia frequente il suo silenzio nel cuore umano o almeno la inefficacia della sua voce; e come spesso giunga fino ad estinguersene la fonte nel cuore di alcuni. Che diremo della forza della riputazione? Questa ancora giunge ad essere messa in non cale, quando le passioni ed il vizio la contrastano. Oltre di che può un uomo credere e dimostrare onorevole alle

volte ciò che un altro tiene per disonorevole. Sicchè il desiderio della buona riputazione è anche esso un incompleto appoggio alla vera virtù, e felicità de' popoli. Pertanto chi potrà negare la indispensabilità di una ben intesa religione ad avvivare e convalidare, a completare in una parola la vera virtù e la felicità dell' uomo? Chi mai vorrebbe instituire un confronto tra l'umana virtù anche di Socrate o di Aristide e la divina virtù degli Eroi e Martiri della nostra Cattolica Religione? E ciò perchè? Perchè la nostra Religione è la vera e la più conforme ai dettami del dovere e della virtù. Bisogna dire che la tesi da me assunta come cosa nuova, perchè non avea letto alcuno sul proposito, è più che conforme al vero; perchè trattata da tanti altri come si scorge dal seguente luogo del Genio del Cristianesimo. « Questa verità conosciuta da Roma e della Grecia «< che gli uomini s' inciviliscono, gl' imperii si fondano colla re«ligione, non già coi principii astratti della filosofia. » L'assunto d'installare e stabilire con ogni sforzo la religione nella Società, trovasi (comunque non esplicito), contenuto e sottinteso al certo ne' poemi di tutt' i Classici, (non prendo questa parola nel senso che le danno gli opposti moderni romanticisti, i quali per altro non fanno in essenza che mandare ad effetto con mezzi più adattati ai nostri tempi quello che io credo volersi implicitamente dalla poesia fin dalla sua prima instituzione) nei poemi di tutt'i Classici antichi e moderni. Si sarebbe tentati a disgustarsi e quasi a riprendere il Tasso nel vedere che Goffredo debba essere il vero Eroe e protagonista della Gerusalemme Liberata. Non parrebbe che Tancredi e Rinaldo vi facciano una miglior figura? Ma l' implicito nella mente del Tasso era questo. Goffredo è il solo prediletto della Divinità: non vi è vero Eroe senza religione. Con che il Tasso viene a sublimare l'idea della religione in preferenza di qualunque altro titolo di gloria umana; e quindi ad inspirarla fortemente nel cuore de' leggitori. E la cosa è daltronde vera in sè; poichè non vi è Eroe senza freno di passioni, nè il freno è perfetto senza la fede d'un vindice invisibile e inappellabile.

Ed Orlando quando fu creduto in istato di compiere la sua

impresa protagonistica, la missione insomma assegnatagli dall'Ariosto, se non allora appunto, che per mano di Astolfo, inspirato e soccorso da sovrumane forze, riacquistò il suo cervello di già traslatato prodigiosamente nella Luna? Questa fu una professione di religione pel protagonista di quel poema, e la di lui antecedente pazzia denota apertamente i traviamenti della non religione.

Anche il Bojardo fa affliggere dalla Penitenza personificata uno de' suoi Eroi principali a colpi di sferza pria di dipingere la più forte e rimarchevole delle di lui imprese.

Si domanda perchè Virgilio fa scendere Enea nell' inferno? Forse per aver motivo di presentarci quel si portentoso quadro del VI. Libro? Ma ciò non sarebbe legare gli avvenimenti con la dovuta connessione di ragion sufficiente. Virgilio la tiene bella e preparata la sua risposta, comunque occulta per chi non va oltre la cute: la risposta è questa. Enea non era un Eroe perfetto senza una tal professione di religione, non era nel grado di vincere e comandare quella parte d'Italia per cui morì la vergine Camilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Anzi vedremo come lo stesso Alighieri lega questa scesa di Enea nell' Inferno con lo stabilimento della Sede Apostolica in Roma.

Non parlo di Omero, il quale non fa quasi seguire impresa alcuna senza l'intervento di una Divinità.

Che diremo de' lirici, e singolarmente di Pindaro? Che del Teatro greco si sovente spigolato dal nostro illustre Genovesi, sovratutto in fatto di religione? Leggasi tra le altre una sua nota alla cosmologia. Cap. VI. Parag. 17.

Se intanto una tal verità fosse stata pienamente nota ai Retori; non avrebbero essi menato tanto rumore contro il cosidetto Macchinismo dei poeti epici, e singolarmente di Omero e di Virgilio. Il raziocinio adunque ed il concorde sentire de' Classici mi autorizzano ad enunciare non esservi vera virtù nè vero eroismo, nè perciò vera felicità sociale e politica, senza una ben intesa religione. E qui potrei far vedere appuntino il legame della religione con la felicità sociale, cioè la sua necessità allo

stabilimento di un ottimo governo, il più idoneo alla felicità de' popoli.

Stimo inutile l'avvertire che io qui parlo sempre della religione rivelata, e non della semplice naturale, non essendo quest'ultima gran fatto discosta dalla ragion pratica già mentovata di sopra; e non avendo essa quella positivitá tanto necessaria ad imporre e costringere; talchè per aver più compiuta questa positività si è anche aggiunta ed accresciuta dagli uomini e da' Concilii qualche cosa alla schietta rivelazione, come sviluppamento ed a maggior precisione di questa. Fa di mestieri in somma di una forza intima ed invisibile si, ma inappellabile, tremenda ed irresistibile, che non si confonda affatto con le naturali propensioni dell' uomo e con la natura finita, onde la virtù umana abbia il suo ultimo compimento. Io non pretendo di aver dette cose nuove fin qui, bastava enunciare la massima de' Bracmani. Un governo senza religione è un albero senza radici. Se dunque ho parlato; fu per dichiarare qual sia la mia maniera di pensare, ed illustrare al tempo stesso quella dell' Alighieri. Ora può egli credersi che Dante, il quale sommo al pari, ed anche più degli altri si era formato certamente con la lettura de' sommi poeti, e che si dichiara discepolo di Virgilio; pensasse diversamente da Virgilio, e dai suoi predecessori? Ma prima di procedere oltre cerchiamo ciò che intendeva Dante sotto il nome di Commedia o Tragedia.

Qualsivoglia accidente prodotto nella natura delle cose da un artista a solo scopo di dirigere come che sia la volontà degli spettatori di quello accidente, è una Tragedia o Commedia secondo che sia più o meno luttuoso, meno o più lepido. Cosi l'accidente prodotto da Virgilio in Enea di fargli abbandonar Didone per ordini divini, ond' essa Didone poi si uccise, e di farlo scendere all' inferno ad Anchise onde divenisse perfetto reggitore di popoli e maestro di reggimenti politici; è tale che farà da Dante (Inf. Canto XX.) chiamar Tragedia la Eneide di Virgilio. Anzi se l'accidente non è prodotto da chi à il mentovato scopo, ma è una conseguenza della natura stessa del soggetto in cui avviene, talchè trovisi piuttosto prodotto da chi produsse

il soggetto intero; e l'artista che à lo scopo mentovato non fa che volere tal prodotto come causa del suo scopo; quest' accidentalità del dato soggetto d' esser voluta dall' Artista la modificazione che in esso naturalmente accade, basta a far chiamare Commedia o Tragedia questo effetto naturale che à luogo nel dato soggetto. Così un temporale, che avvenisse naturalmente, potrebbe esser da voi accolto come causa di ammonizione a chi non volesse persuadersi di dover osservare il tempo prima di incaminarsi ad una villeggiatura. E in quanto così da voi approvata tal tempesta d'aria, non si rifiuterebbe ad essere sotto questo aspetto chiamata una Commedia o Tragedia. Donde segue che l'accidentalità consistente nella intenzione dell'Artista, il quale non fa che approffittare dell' effetto naturale qual mezzo del suo scopo, è l'essenza precipua della Commedia o Tragedia; tanto che essa sola, in assenza dell' accidentalità della modificazione da chiamarsi Tragedia o Commedia, basta a costituire questa sorta di poemi. Vero è che quando è accidentale anche la modificazione in vertenza; le due accidentalità (poichè quella dell' intenzione dell' Artista costituisce sempre. un mero accidente per rapporto al soggetto in cui avviene la qualità mezzo) concorrendo insieme rendono più spiccante il carattere di Commedia o Tragedia. Concorrerebbero le due accidentalità quando p. e. uno fingesse di piangere o dolersi intento a qualche fine senza aver nessun motivo di dolore. Sicchè possiamo più sottilmente conchiudere che l'essenziale di commedia o tragedia sta nella molta parte che l' Artista aggiunge alla schietta natura delle cose. Che se tanto la qualità mezzo, tanto l'esser questa coordinata a dirigere la volontà umana in una data maniera derivano dall' Autore della Natura e l' Artista non ha alcuna parte accidentale; allora il nome di Commedia o Tragedia è fuori di proposito. Così l' Etica e la Giuridica, esponendo le leggi preordinate da Dio stesso a dirigere la volontà umana e dirigerla al vero bene; sono lungi dal poter ricevere il nome di Commedia o Tragedia.

Se potesse bastare la semplice osservazione di queste legsenza deduzione di raziocinio, e potessero essere esposte

PREAMBOLI.

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