Slike stranica
PDF
ePub

quale dice, che egli è sicuro con la sua fama, pēroc« chè non puote essere corrotta per suo successore. (An.)

v. 126. Si m'ha vostra ragion la mente stretta. Cioè tanto il vostro ragionare mi ha stretto l'anima di dispiacere. Ragione per ragionamento, discorso, usò Dante anche nel C. XXII.v. 130. di questa Cantica, e nelle Rime. Si trova frequente nelle Tornate delle Canzoni di Dante stesso, e del Petrarca, e d' altri Poeti. Il Vocabolario ha spiegato male tal voce per tema, soggetto, e non ne dà esempio in senso di ragionamento.

v. 143... Quel fu il duro camo ec. Cioè il duro freno; di cui parlò nel Canto precedente, al v. 40: Lo fren vuol esser del contrario suono.

v. 148. e seg. Chiamavi 'l Cielo ec. Quasi dica: la bellezza del Cielo vi fa pruova qual'è il maestro che lo ha fatto. (An.)

CANTO XV.

ARGOMENTO.

In questo Canto dimostra Dante che da un Angelo furono indirizzati per le scale, che sagliono sul terzo balzo, dove si punisce l' ira; e che furono oppressi da un ́gran fummo, il quale fece che più oltre non poterono vedere.

Quanto

uanto tra l'ultimar dell' ora terza El principio del di

par della spera,

Che sempre a guisa di fanciullo scherza ;
Tanto pareva già inver la sera

Essere al Sol del suo corso rimaso :
Vespero là, e qui mezza notte `era :
E i raggi ne ferian per mezzo 'l naso,
Perchè per noi girato era sì 'l monte,
Che già dritti andavamo inver l'occaso;
Quando io sentì'a me gravar la fronte
Allo splendore assai più che di prima,
E stupor m'eran le cose non conte:
Ond' io levai le mani inver la cima
Delle mie ciglia, e fecimi 'l solecchio,
Che del soverchio visibile lima.
Come quando dall'acqua, o dallo specchio
Salta lo raggio all' opposita parte,
Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte

Dal cader della pietra in egual tratta, Sì come mostra esperienza e arte; Così mi parve da luce rifratta

Ivi dinanzi a me esser percosso: Perch' a fuggir la mia vista fu ratta. Che è quel, dolce padre, a che non posso Schermar lo viso tanto che mi vaglia, Diss' io, e pare inver noi esser mosso? Non ti maravigliar, s'ancor t'abbaglia La famiglia del Cielo, a me rispose: Messo è, che viene ad invitar ch’uom saglia. Tosto sarà, ch'a veder queste cose, - Nòn ti fia grave, ma fieti diletto, Quanto natura a sentir ti dispose. Poi giunti fummo all'Angel benedetto, Con leta voce disse: Intrate quinci Ad un scaleo vie men che gli alti eretto. Noi montavamo, già partiti linci,

E Beati misericordes fue

Cantato retro, e godi tu, che vinci.
Lo mio maestro, ed io soli amendue
Suso andavamo, ed io pensava, andando,
Prode acquistar nelle parole sue :

E dirizzami a lui si dimandando:

Che volle dir lo spirto di Romagna,
E divieto e consorto menzionando?

Perch' egli a me: Di sua maggior magagna
Conoscel danno; e però non si ammiri,
Se ne riprenda, perchè men sen' piagua.
Perchè s'appuntano i vostri desiri,

Dove per compagnia parte si scema;
Invidia muove il mantaco a' sospiri,
Ma se l'amor della spera supremą
Torcesse 'n suso 'I desiderio vostro,
Non vi sarebbe al petto quella tema:
Che per quanto si dice più la nostro,
Tanto possiede più di ben ciascuno.

E più di caritate arde 'n quel chiostro.
lo son d'esser contento più digiuno,
Diss' io, che se mi fosse pria taciuto;
E più di dubbio nella mente aduno:
Com' esser puote, ch'un ben distribuito
I più posseditor faccia più ricchi
Di se,
che se da pochi è posseduto?
Ed egli a me : Perocchè tu rificchi
La mente pure alle cose terrene,
Di vera luce tenebre dispicchi.
Quello 'nfinito ed ineffabil bene,
Che lassù è, così corre ad amore,
Com'a lucido corpo raggio viene.
Tanto si dà, quanto truova d'ardore:
Si che quantunque carita si stende,
Cresce sovr' essa l'eterno valore.
E quanta gente più lassù s'intende,
Più v'è da ben amare, e più vi s'ama,
E come specchio l'uno all'altro rende.
E se la mia ragion non ti disfama,

pur

Vedrai Beatrice: ed ella pienamente
Ti torrà questa, e ciascun'altra brama.
Procaccia che tosto sieno spente,
Come son già le due, le cinque piaghe,
Che si richiudon per esser dolente.
Com'io voleva dicer: Tu m' appaghe,
Vidimi giunto in su l'altro girone,
Si che tacer mi fer le luci vaghe.
Ivi mi parve in una visione

Estatica di subito esser tratto,

E vedere in un tempio più persone.
E una donna in su l'entrar con alto
Dolce di madre, dicer: Figliuol mio,
Perchè hai tu così verso noi fatto?
Ecco dolenti lo tuo padre, ed io
Ti cercavamo; e come qui si tacque,
Ciò, che pareva prima, disparío;
Tom. II.

1

Indi m'apparve un' altra con quell'acque
Giù per le gote, che 'l dolor distilla,
Quan lo per gram dispetto in altrui nacque :
E dir: Se tu se' sire della villa,

Del cui nome ne' Dei fu tanta lite,
E onde ogni scienza d sfavilla,
Vendica te di quelle braccia ardite,
Ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato:
E'l signor mi parea benigno, e mite
Risponder lei con viso temperato;

Che farem noi a chi mal ne desira,
Se quei, che ci ama, è per uoi condannato?
Poi vidi genti accese in fuoco d'ira

Con pietre un giovinetto ancider, forte Gridando a sè pur: Martira, martira. E lui vedea chinarsi per la morte, Che l'aggravava già inver la terra, Ma degli occhi facea sempre al Ciel porte; Orando all'alto Sire in tanta guerra, Che perdonasse a' suoi persecutori, Con quell'aspetto, che pietà disserra. Quando l'anima mia tornò di fuoriAlle cose, che son fuor di lei vere, Io riconobbi i miei non falsi errori. Lo duca mio, che mi potea vedere

Far sì com`uom, che dal sonno si slega, Disse: Che hai, che non ti puoi tenere? Ma se'venuto più che mezza lega

Velando gli occhi, e con le gambe avvolte A guisa di cui vino, o s ›nno piega? O dolce padre mio, se tu m' ascoite, I'ti dirò, diss' io', ciò che m'apparve Quando le gambe mi furno si tolte. Ed ei: Se tu avessi cento larve

Sovra la faccia, non mi sarien chiuse Le tue cogitazion, quantunque parve. Cio che vedesti fu, perché non scuse

« PrethodnaNastavi »