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v. 64.66. Questo è il principio ec. Cioè lo sex condo movimento ( An. ) Viglia, sioe sceglie; e separando rigetta i cattivi amori, cioè desiderj di moralità rivestiti.

v. 67-69. Color che ragionando ec. Cioè anda rono a conoscere naturalmente gli esordi delle virtù e de' vizi, conobbero avere l'uomo, per lo secondo movimento, il libero arbitrio; per ló primo movimento, avere notizia della cosa; cioè che poneano essere ( quella ) da alcuna causa, e non la imaginavano esser nuovo prodotto per creazione, ma che era causata d'alcuna cosa di fuori, sicchè di necessitade venia in noi; ma poi era in nostra libertade di proseguire tale movimento, o di lasciarlo spegnere, non amministrandogli materia nutritiva di esso. (An. )

v. 73. 75. La nobile virtù ec. Conclude, e dice: io per me non posso più alto accedere a dichiarazione di questo che tu domandi, cioè onde il primo movimento in noi si causi; ma Beatrice intende della nobile virtù ( la più eccellente che sia in noi) per lo libero arbitrio; peroccchè per esso meritiamo vita eterna, o caggiamo in morte senza fine: e però ti ricordi di questo, quando sarai con lei, del che tocca (Parad. C. 1. circa fin- ivi: Ond' ella appresso d'un pio sospiro ec.), dove dice che l'or dine, che Dio additò alla Natura, causa in noi li primi movimenti. ( An. )

v. 79. E correa contra 'l Ciel ec. Per lo suo mo❤ vimento proprio, ch'è da occidente in oriente, nel segno di Scorpionc. ( An. )

v. 84. Del mio carcar ec. Avea discaricato la soch'io li aveu posta, solvendo il detto dubbio. (An.)

ma,

v. 94..... per quel giron suo passo falca. Con così fatta fretta passa (An, ). Potrebbe forse venire da valicare, per lo scambiamento della v colla s,

faltosi, falicare, falica, falca ( Lami ). L' Aut. Purg. (C. XXIV. v. 97. disse: Tal si parti da noi con maggior valchi, cioè con passi maggiori!

v. 109..... e certo io non vi bugio; non dico bugia, non v'inganno.

P

v. 118. I' fui abate in San Zeno a Verona. Ques sti che tenea sermone fu, al tempo di Federigo Barbarossa Imperadore, Abate di S. Zeno a Verona, e fu accidioso; e soggiunge che Mess. Alberto della Scala, il quale era vecchio, sì avea commesso un gran peccato, cioè ch' elli al tempo dell'Autore avea fatto Abate del detto Monastero un suo figliuolo indegno di tal beneficio ( An. ). I Comentatori asseriscono che questo Abate, che qui parla con Dante, si appellasse Alberto.

v. 119. Sotto lo Imperio del buon . Barbarossa. Che l' Alighieri chiami da senno Federigo Enobarbo il buono, e non per ironia, si rileva dal Comento di Pietro di Dante, il quale di lui dice: fuit magnus in probitate, sed parvus Conies natio

ne

et electus fuit Imperator omnibus aliis discor➡

dantibus.

v. 120. Di cui dolente ancor ec. Milanò fu interamente distrutta dal detto Imperador Federigo l'anno 1162, e riedificata l'anno 1168. ( Ved, G. Vill. St. L. V. C. I. II.

v. 124-126. Perchè suo figlio ec, Egli era zop po, e era così difettuoso dell'anima, come de corpo, e non era figliuolo legittimo ( An. ) Concor dano il Boccaccio, e Pietro di Dante, il quale di ce, che questo figlio di Mess, Alberto della Scata si chiamò Giuseppe.

CANTO XIX.

ARGOMENTO.

Contiensi dopo certa vision di Dante la salita sua sopra il quinto girone, dove egli trova Papa Adriano quarto, dal quale intende che ivi si purga il peccato dell' Avarizia.

Nell'ora, che non può 'l calor diurno

Intiepidar più l'freddo della Luna
Vinto da Terra, o talor da Saturno ;
Quando i Geomanti lor Maggior Fortuna
Veggiono in oriente innanzi all'alba
Surger per via, che poco le sta bruna;
Mi venne in sogno una femmina balba,
Con gli occhi guerci, e sovra i piè distorta,
Con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava: e come 'l Sol conforta
Le fredde membra, che la notte aggrava,
Così lo sguardo mio le facea scorta
La lingua, poscia tutta la drizzava
In poco d' ora; e lo smarrito volto,
Come amor vuol, così le colorava.
Poi ch'ell' avea 'l parlar così disciolto,
Cominciava a cantar, si che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.

Io son, cantava, io son dolce Serena,
Che i marinari in mezzo'l mar dismago;

Tanto son di piacere a sentir piena.
lo trassi Ulisse del suo cammin vago
Al canto mio: e qual meco s' ausa,
Rado sen' parte, sì tutto l' appago.
Ancor non era sua bocca richiusa,
Quando una donna apparve santa e presta
Lunghesso me, per far colei confusa.
O Virgilio Virgilio, chi è questa?
Fieramente dicea: ed ei veniva

Con gli occhi fitti pure in quella onesta:
L'altra prendeva, e dinanzi l'apriva,

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Fendendo i drappi, e mostravami'l ventre:
Quel mi sveglio col puzzo, che n'usciva.
Jo volsi gli occhi ; e 'l buon Virgilio, Almen tre
Voci t'ho messe, dicea: surgi, e vieni :
Troviam l'aperto, per lo qual tu entre.
Su mi levai, e tutti eran già pieni

Dell' alto di i giron del sacro monte,
E andavám col Sol nuovo alle reni.
Seguendo lui, portava la mia fronte
Come colui, che l'ha di pensier carca,
Che fa di se un mezzo arco di ponte;
Quando i'udi: Venite, qui si varca;
Parlare in modo soave, e benigno,
Qual non si sente in questa mortal marca.
Con l'ale aperte, che paren di cigno,
Volseci in su colui, che si parlonne,
Tra i duo pareti del duro macigno,
Mosse le penne poi, e ventilonne

Qui lugent, affermando esser beati,
Ch' avran di consolar l'anime donne:
Che hai, che pure in ver la terra guati?
La guida mia incominciò a dirmi,
Poco amendue dall' Angel sormontati.
Ed io Con tanta sospeccion fa irmi
Novella vision, ch'a se mi piega,
Si ch'io non posso dal pensar partirmi,

Vedesti, disse, quella antica strega

Che sola sovra noi omai si piagne ?
Vedesti come l'uom da lei si slega?
Basliti, e batti a terra le calcagne :
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo Rege eterno con le ruote magne.
Quale il falcon, che prima a' piè sì mira;
Indi si volge al grido, e si protende,
Per lo disio del pasto che là il tira;
Tal mi fec'io: e tal, quanto si fende
La roccia, per dar via a chi va suso,
N'andai ʼn fino ove'l cerchiar si prende,
Com' io nel quinto giro fui dischiuso,
Vidi gente per esso che piangea
Giacendo a terra tutta volta in giuso.
Adhaesit pavimento anima mea,
Sentia dir loro con sì alti sospiri,
Che la parola appena s' intendea.
O eletti di Dio, gli cui soffriri
E giustizia e speranza fan men duri,
Drizzate noi verso gli alti saliri.
Se voi venite dal giacer sicuri,

E volete trovar la via più tosto, Le vostre destre sien sempre di furie Cosi pregò 'l poeta, e sì risposto Poco dinanzi a noi ne fu: perch' io Nel parlare avvisai l'altro nascosto: E volsi gli occhi agli occhi al signor miq Ond' elli m' assentì con lieto cenno Ciò, che chiedea la vista del disio. Poi ch' io potei di me fare a mio senno Trassimi sopra quella creatura, Le cui parole pria notar mi fenno ; Dicendo, Spirto, in cui pianger matura Quel, sanza 'l quale a Dio tornar non puossi, Sosta un paco per me tua maggior cura,

Chi fosti, e perchè volti avète i dossi

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