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Che del disio di se vedeg n' accuora,
Ed io : Perchè ne' vostri visi guati,
Non riconosco alcun; ma s'a voi piace
Cosa ch'i' possa, spiriti ben nati,
Voi dite; ed io farò per quella pace,
Che dietro a' piedi di sì fatta guida,
Di mondo in mondo cercar mi si face.
E uno incominciò : Ciascun si fida

Del beneficio tuo senza giurarlo;
Pur che'l voler non possa non ricida.
Ond' io, che solo innanzi agli altri parlo,
Ti prego se mai vedi quel paese,
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
Che tu mi sie de' tuoi prieghi cortese
In Fano sì, che ben per me s'adori,
Perch'i' possa purgar le gravi offese.
Quindi fu'io: ma gli profondi fori
Ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea,
Fatti mi furo in grembo agli Antenóri,
Là dov' io più sicuro esser credea:

Quel da Esti 'l fe' far, che m' avea in ira
Assai più là, che dritto non volea.
Ma s'i' fossi fuggito in ver la Mira
Quand' i'fu' sovraggiunto ad Oriaco,
Ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e'l braco
M' impigliar sì, ch'i' caddi, e li vidio.
Delle mie vene farsi in terra laco.
Poi disse un altro: Deh se quel disío

Si compia, che ti tragge all' alto monte,
Con buona pietate ajuta❜l mio.

'fui di Montefeltro: i' fui Buonconté :
Giovanna, o altri non ha di me cura,
Perch' i' vo' tra costor con bassa fronte.
Ed io a lui: Qual forza, o qual ventura
Ti traviò si fuor di Campaldino,

Che non si seppe mai tua sepoltura? Oh, rispos' egli, appiè del Casentino

Travèrsa un'acqua, ch'ha nome l' Archiano Che sovra l'Ermo nasce in Appennino. Là 've'l vocabol suo diventa vano, Arriva' io forato nella gola,

Fuggendo a piede, e sanguinando'l piano. Quivi perde' la vista, e la parola : Nel nome di Maria fini', e quivi Caddi, e rimase la mia carne sola. F' dirò 'l vero, e tu'l ridi' tra i vivi: L'Angel di Dio mi prese, e quel d'inferno Gridava: O tu dal Ciel, perchè mi privi? Tu te ne porti di costui l'eterno, Per una lagrimetta, che 'l mi toglie: Ma i' farò dell' altro altro governo. Ben sai come nell' aer si raccoglie

Quell' umido vapor, che in acqua riede, Tosto che sale dove 'l freddo il coglie. Giunse quel mal voler, che pur mal chiede, Con lo 'ntelletto, e mosse 'l fumo e 'l vento, Per la virtù, che sua natura diede. Indi la valle, come 'l dì fu spento,

Da Pratomagno al gran giogo coperse Di nebbia, e 'l Ciel di sopra fece intento Sì, che 'l pregno aere in acqua si converse : La pioggia cadde, e a' fossati venne Di lei ciò, che la terra non sofferse : E come a' rivi grandi si convenne Ver lo fiume real tanto veloce Si ruino, che nulla la ritenne. Lo corpo mio gelato in su la foce

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Trovò l'Archian rubesto: e quel sospinse Nell' Arno, e sciolse al mio petto la croce Ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse : Woltommi per le ripe e per lo fond.

Poi di sua preda mi coperse, e cinse. Deh quando tu sarai tornato al mondo, E riposato della lunga via,

Seguitòl terzo spirito al secondo, Ricorditi di me, che son la Pia : Siena mi fe': disfecemi Maremma: Salsi colui, che 'nnanellata pria, Disposando, m' avea con la sua gemma.

v. 9.

Pur

PURGATORIO, CANTO V.

ur me, pur me ec. Cioè me solamente. v. 18. Perchè la foga l' un dell'altro insolla. Per chè un pensiero indebolisce e rende vanu l'attività e l'intenzione dell' altro. L' Anonimo spiega: Sempre a quell' uomo a cui s'accende uno pensiero sopra l'altro, gli avviene che il primo effetto sì si allunga; e ciò addiviene perchè movimento dell'uno pone l'altro in quiete.

v. 32. E ritrarre a color ec. Cioè riferire.

v. 39. Ne sol calando nuvole d'Agosto. Cioè non vidi mai nel mese d'Agosto così rapidi i baleni fender le nuvole a ponente quando il Sole tramonta: ovvero intendi, non vidi mai il Sole presso a tramontare fender così tosto le nuvole con la forza dei suoi raggi nel cuor dell' estate.

v. 43. Questa gente che preme a noi ec. Cioè che s' affolla verso di noi.

V. 57. Che del disio di se veder n'accúora; cioè ne crucia, e tormenta; poichè un desiderio non appagato

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pena.

v. 66. Purchè il voler non possa non ricida; cioè purchè l'impotenza non renda vano il volere.

V. 70.

e seg. Che tu mi sie de' tuoi prieghi cortese - In Fano sì ec. Qui tratta l'Aut. della morte di Mess. Jacopo del Cassero di Fano, il quale fu morto per assassini tra Oriaco e Vinegia nel distretto di Padova nelle valli ; e fecelo fare il Marchese da Esti da Ferrara per alcuni odj ch' elli aveano insieme. Lo Marchese da Esti, cioè Azzo di Ferrara procacciò nel suo tempo d'avere amistati in Bologna, e questo ad intenzione d'avere la signoria della terra, com' elli aveva di Ferrara. Trovonne

assai ta per denari, e tra per promesse. Il popolo di Bologna accorgendosi di quello, per paura di non pervenire a signoria tirannica, cacciò fuori della terra tutti quelli, li quali si credesse, o potessesi presumere che fossero amici del Marchese.............. Ora avvenne che li Bolognesi chiamarono Mess. Jacopo del Cassero predetto podestà della città, e elli venne al suo reggimento; e non bastava a costui fare de' 'fatti contra gli amici del Marchese ma continuo usava villanie volgari di lui, e che giacque con sua matrigna, e ch'elli erano discesi d' una lavendara di panni, e ch'elli era cattivo e codardo, nè mai la sua lingua si saziava di villaneggiarlo: per li quali fatti e detti l'odio crebbe sì al Marchese, ch' elli li trattoe la morte addosso in questo modo. Poichè elli uscie dello reggimento di Bologna, sempre li andavano dietro li assassini posti dal Marchese per ucciderlo quando fosse il destro. In processo di tempo Mess. Maffeo Visconti essendo sígnore di Melano si lo elesse podestà. Questi la ricevette, e venne per mare infino a Vinegia, poi quando volse andare a Padova, quelli ch'erano a sua caccia, sì lo uccisono nella valle di Oriaco ec. (An.). Il Comento attribuito al Boccaccio concorda.

v. 74. Ond' uscì'l sangue in sul quale io sedea ec. Queste parole dice l'anima; cioè che l'anima insino ch' ella è congiunta col corpo, ella siede in sul sangue, cioè riposa in esso ( An. ). Questa è l'opinione d' Empedocle, di cui Ved. Cicer Quaest. Tusc. L. I.

v. 75. Fatti mi furo in grembo agli Antenori. Dice Antenori, perchè Antenore di Troja fu edificatore di Padova, e perchè Antenore fu traditore di Troja; e però Antenori è quasi aggettivo di traditori. (An.)

y. 82. Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco et, ; cioè il fango del padule. ( Buti)

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