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un'altra scossa di non molta forza, ed il giorno 28 altre due si sentirono assai considerabili e di non breve durata, che molti guasti produssero nella valle di Noto. Non seguiremo l'autore nel minuto ragguaglio di tutte le fenditure degli edifizj, e solo osserveremo che in qualche luogo spaccaronsi an che enormi massi di lava, mandando fuori in quel l'istante una luce momentanea serpeggiante.

Si osservò un incremento nelle acque che scorrono presso Aci-Catena, e nelle acque salse che trovansi presso Paternò. In qualche luogo sgorgò dalla lava antica un'acqua salsa limacciosa e sulfurea, e si dice pure che le acque di alcuni pozzi si fossero intorbidate alcuni giorni prima del tremuoto, segno prognostico avvertito da Plinio. In un luogo detto Paraspolo cinque o sei minuti dopo il tremuoto sorsero all' improvviso con grande strepito 14 grossi getti di acqua salsa, che si alzavano circa 6 palmi, abbracciavano uno spazio di 20 canne, e durarono circa 20 minuti. I fori pei quali uscì quest' acqua, erano due giorni dopo ancora così caldi, che il braccio introdotto non ne poteva sofferire l'impressione. Le piante intorno ad alcuni buchi si disseccarono, intorno ad altri continuarono a vegetare, il che fa dubitare che non da tutti sgorgasse l'acqua salsa. La vicino si udì un forte scoppio, come quello del tuono, e si trovò separato dalle muraglie, e spaccato in varie direzioni un lastricato di calce e mattoni, il che l'autore attribuisce all'accensione del gas infiammabile raccolto e detonato sotto quella fabbrica. Il fiume Simeto dicesi aver sospeso momentaneamente il suo corso all'atto della scossa, e di averlo quindi ripreso subitamente. Il mare non ebbe che leggiere ondulazioni, ma una barca poco distante dalla riva urte tre volte col fondo sulla sabbia, .

Per accennare tutto ciò che avvenne dopo la scossa, diremo pure che l'aria s'intorbidò ed il cielo annuvolossi, che dopo alcune ore le nubi si dissiparono,

no, e che la luna tornò a risplendere; che nè prima; nè contemporaneamente, nè dopo il tremuoto non si videro meteore elettriche nell'atmosfera, dal che deduce l'autore non potersi ammettere l'opinione di que' fisici, che il tremuoto assomigliano ad un fulmine sotterraneo, e lo fanno esclusivamente dipendere da uno sbilancio di elettricità.

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Inutile rimane l'avvertire, che gli animali furono i primi a dar segni del tremuoto imminente, come pure che varie persone ebbero poco prima dello scoppio insolite sensazioni. Sembra però assai problematico che l'odor disgustoso di cenere e di zolfo abbia colpito gli organi di alcuni, e non di tutti, e piuttosto crederemmo parziali le vertigini, la sensazione del calore alle gambe, e l'istupidimento, effetti che dipendono in gran parte dalla sensibilità degli individui, e dalla maggiore o minore irritabilità delle loro fibre.

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Passando alla parte fisica, sembra persuaso l'autore, che la causa materiale dell'avvenuto tremuoto risedesse nei gas raccolti nelle viscere della terra, e sviluppati dalla fermentazione che vi eccitano le diverse sostanze, attraversate da differenti fluidi, Parla degli sforzi che i fluidi aeriformi fanno per isprigionarsi in virtù della naturale loro elasticità : parla del riscaldamento de' vapori, e della combustione del gas infiammabile occasionata spesso da una scintilla elettrica; della elettricità che sempre accompagna i vapori, della natura della scossa irregolare e vorticosa; della natura dei gas deleteri, che forse in quella occasione si svilupparono; della relazione dell'urto de' vapori colla natura diversa del suolo; delle meteore che accompagnar possono i tremuoti, come i venti, le nebbie, le piogge, i tuoni, i fulmini, i tuoni, i fulmini, le tempeste, at qual proposito sembra egli tentato di attribuire ad una medesima cagione un vento impetuosissimo che sollevossi nel giorno 11 marzo di quest' anno, cioè venti giorni incirca dopo il tremuoto; delle Bibl. Ital. T. XI.

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distanze alle quali questo tremuoto può essersi propagato; delle relazioni o connessioni che dar si possono tra i periodi delle fasi lunari, e gli scuotimenti della terra; della esistenza e della circolazione de' fluidi elastici negli strati corticali del globo; della influenza de' vulcani sulla produzione dei tremuoti, e finalmente della inutilità dei presidj che da alcuni si sono indicati come validi a prevenire i tremuoti. A questo proposito egli ha accennato solo il progetto di immergere nella terra quanto più addentro è possibile spranghe o verghe di ferro armate ad ogni estremità di punte divergenti acutissime, e quello di costruire quà e là grandi piramidi di corpi ben deferenti piantati 200 passi distanti l'una dall' altra; ed ha reputato più ragionevole la fiducia, che da alcuni fisici ( non moderni, come egli dice, giacchè molti antichi, e Plinio stesso ne avevano fatto menzione) è riposta negli scavi di profondissimi pozzi.

Nuove certamente non sono le varie teorie dall'autore esposte, nè saremmo per avventura per dolerci di non trovare alcuna novità in una materia che tanto è stata discussa in Italia anche pochi anni sono in occasione dei tremuoti, che per più mesi continuarono a farsi sentire nelle valli Valdesi del Piemonte. Ma noi avremmo desiderato di vedere maggiormente approfondito l' articolo che riguarda l'influenza dei vulcani sui tremuoti, « Nessuno, di» ce l'autore, potrà al certo pensare che l'Etna >> sia stato la causa dell'attuale tremuoto ». E pure non andrebbe forse lungi dal vero chi da quello pretendesse di ripetere quel terribile fenomeno. Non basta il dire che quel vulcano sia rimasto in perfetta inazione, il che altro per verità non significa se non che non mandò fiamme in quel tempo dalla sua sommità, e non fece alcuna eruzione; ma le fiamme che molti asserirono di aver veduto, le strisce di fuoco, i lampi, gli scoppj, ed il cupo rimbombo sotterraneo che si udirono da molti,

potrebbero meglio che a qualunque altro principio attribuirsi all' Etna, alle di cui falde è avvenuto il tremuoto, e nelle di cui falde esser poteva il centro di quello sviluppamento di principj aeriformi che l'autore suppone cagione esclusiva di quel funesto avvenimento. E ad altra conseguenza invero non conduce il lungo passo di Giovan Pietro Frank, dall' A. citato nella pag. 55 e seg., nel quale si indicano le materie che si trovano in seno ai vulcani, si descrivono i loro effetti, e si dice che il tremuoto « non è fenomeno diverso da quello che >> molte volte vedemmo fracassare, e far saltare in >> aria i laboratorj de' chimici ».

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Proponendo così modestamente i nostri dubbj su questo punto, non intendiamo di detrarre al merito del dott. Longo, che ci ha dato una descrizione di quel tremuoto tanto compita, quanto dar si poteva in un paese che manca interamente di stromenti fisici e meteorologici. Egli ha chiuso la sua relazione con una lista dei paesi danneggiati, della loro popolazione, e del numero de' morti e de' feriti, dalla quale risulta, che i morti ascesero al numero di 72, i feriti a quello di 97.

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Continuazione delle Osservazioni naturali fatte al promontorio Argentaro ed all' isola del Giglio. Lettere del sig. BROCCHI al sig. conte BARDI, direttore del reale Museo di storia naturale in Firenze.

LETTERA III ED ULTIMA.

L'isola del Giglio è divisa dal promontorio Ar

gentaro da un tramite di mare largo dodici miglia, e sciogliendo da porto S. Stefano, che rimane alquanto più lungi, vi si approda in men di tre ore se il vento spiri propizio. La sua maggiore lunghezza dalla punta di Capo-rosso a quella del Fenajo si può computare essere di sette miglia, la larghezza tolta dal Lazzaretto fino al luogo denominato il Franco è di cinque, e il suo perimetro di diciotto picciola isola invero, alla quale adatterei il paragone di cui si vale Callimaco parlando di quella di Delo, che l'assomiglia ad una foglia gettata in mezzo al mare, se non temessi che un sì fatto paragone, quantunque usato da un classico poeta, non sembrasse troppo sproporzionato al soggetto.

Il suolo di quest' isola, che era nota agli antichi sotto il nome di Icilium, è ovunque montuoso, in guisa che altro di pianura non rimane se non che quelle comprese nelle vallette dei monti. Facendo vela dal promontorio Argentaro otto di questi monti, o vogliam dire otto cime principali offronsi in prospettiva, i cui nomi sono Terneti, Acqua Santa, Pagana, Castellucci, Chiusa, Giglio, Vaccareccie e le Serre. Su quella del Giglio è situato il paese che porta la medesima denominazione, e che è l'unico che sia in tutta l'isola, tranne alcune poche abitazioni d'intorno al porto. Onde giungere colassù è

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