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III.

Mirasi qui fra lascivette ancelle
Favoleggiar con la conocchia Alcide:
Se l'Inferno espugnò, resse le stelle,
Or torce il fuso; Amor sel guarda e ride .
Mirasi Jole colla destra imbelle,

Per ischerno trattar l'arme omicide:
E'ndosso ha'l cuojo del leon, che sembra
Ruvido troppo a belle e dolci membra.

IV.

D'incontra è un mare, e di canuto flutto
Vedi spumanti i suoi cerulei campi,

E l'un ordine e l'altro in mezzo instrutto,
Con navi, ed arme, e uscir dall'arme i lampi.
D'oro fiammeggia l'onda, e par che tutto
D'incendio marzial Leucate avvampi.
Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi
Trae l'Oriente, Egizj, Assiri, ed Indi.

V.

Svelte nuotar le Cicladi diresti

Per l'onde, e i monti co'gran monti urtarsi:
Tanto impeto sospinge e quelli, e questi
Ne' torreggianti legni ad incontrarsi.
Già volar faci, e colpi agri e funesti
Vedi, e di negro sangue i mari sparsi:
Ecco (nè punto ancor la pugna inchina)
Ecco fuggir la barbara Regina.

VI.

E fugge Antonio, e lasciar può la speme
Dell' imperio del mondo, ov'egli aspira.
Non fugge no, non teme no, non teme;
Ma segue lei, che fugge, e seco il tira.
Vedresti lui, simile ad uom, che freme
D'amore a un tempo, e di vergogna, e d'ira,
Mirar, volgendo gli occhi, or la crudele
E dubbia guerra, or le fugaci vele.

si:

VII.

Nelle latebre poi del Nilo accolto
Attender pare in grembo a lei la morte;
E nel piacer d'un bel leggiadro volto
Sembra, ch'il duro fato egli conforte .
Di cotai segni variato e scolto

Era il metallo delle regie porte.

I duo guerrier, poichè dal vago obbietto
Rivolser gli occhi, entrár nel dubbio tetto.

VIII.

Qual Meandro fra rive obblique e incerte
Scherza, e con dubbio corso or scende, or monta:
Queste acque a'fonti, e quelle al mar converte;
E mentre ei vien, sè, che ritorna, affronta :
Tali e più inestricabili, e men'erte
Son queste vie, ma'l libro in sè l'impronta,
Il libro, don del veglio, e 'n breve modo
Degli errori dispiega e solve il nodo.

IX.

Poichè lasciar gli avviluppati calli,
In lieto aspetto il bel giardin s'aperse.
Acque stagnanti, mobili cristalli,
Gigli, rose, e viole, e bianche, e perse.
Prati erbosi, alti colli, apriche valli,
Selve, e spelunche in una vista offerse :
L'arte, che'l bello e 'l caro accresce all'opre,
L'arte, che tutto fa, nulla si

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scopre.

Stiman negletto in parte il dolce loco,
E che Natura sia, ch'ivi dipinga.
Di Natura arte sembra, e quasi un gioco,
Che la sua imitatrice assembri, e finga.
Ma l'aura, che d'amore inspira il foco,
L'aura, ch' al dolce mormorar lusinga,
L'aura, che sempre vola, e sempre è vaga,
Opra è d'incanto, e di mal'arte maga.

XI.

Vezzosi augelli infra le verdi fronde
Temprano a prova pur lascive note.
Mormora l'aura, e fa le foglie e l' onde
Dolce garrir, mentre l'increspa e scuote .
Quando taccion gli augelli, alto risponde,
Quando cantan gli augei, leggier percuote .
Non di più colpo, che soave vento,
Ond'accresca dolcezza al bel concento.

XII.

Musica è l'aura, e'l fonte, e'l rivo, e'l bosco,
E mastre d'armonia le fronde, i rami,
Scuola d'Amor quel seggio ombroso, e fosco,
Ove ei Febo, e le Muse inviti, e chiami,
Mentre vi sparge, e miete il dolce tosco
E mille tende intorno, e reti, ed ami,
E vi son di lacciuol forme si care,

Che ventura il cadervi, e gloria appare.

XIII.

Vola fra gli altri augei con piume sparte
Di color varj un, ch'ha
purpureo il rostro,
E larga lingua, ond' ei distingue, e parte
Il suo parlar, che più simiglia il nostro :
Questi ivi allor con sì mirabile arte
S'udi cantar, che parve un raro mostro:
Tacquero gli altri, ad ascoltare intenti,
E fermaro i susurri in aria i venti.

XIV.

Deh mira (egli cantò) spuntar la rosa
Dal verde suo, modesta, e verginella,
Che mezza aperta ancora, e mezza ascosa,
Quanto si mostra men, tanto è più bella :
Ecco poi lieta il seno, e baldanzosa
Dispiega, ecco poi langue, e non par quella
Quella non par, che desiata avanti

Fu da varie donzelle, e varj amanti .

XV.

XVI.

.

Così trapassa al trapassar d'un giorno,

Della vita mortale il fiore, e'l verde.
Nè perchè faccia indietro April ritorno,
Si rinfiora ella mai, nè si rinverde.
Cogliam la rosa in sul mattino adorno
Di questo di, che tosto il seren perde.
Cogliam d'amor la rosa . Amiamo or quando

s'ama, e riama, in dolci modi amando. Tacque ; e di vaghi augelli il lieto coro,

Quasi approvando, il canto indi ripiglia.
Raddoppian le colombe i baci loro;
Ogni animal d'amar si riconsiglia.
Par che la dura quercia, e'l casto alloro,
E tutta la frondosa ampia famiglia ,
Par che la terra, e l'acqua e formi, e spiri

Dolcissimi d'amor sensi, e sospiri.
Fra melodia sì molle, e fra cotante

Vaghezze allettatrici e lusinghiere,
Gía quella coppia rigida, e costante
A’vezzi dell'inganno, e del piacere.
Ecco vedea su nel mirare avante,
Tra fronda e fronda, o le parea

vedere: Vedea pur certo il vago,

e la diletta, Ch'egli è in grembo alla donna, essa all'erbetta, Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,

E’l crin sparge negletta al vento estivo :
Langue per vezzo, e l'infiammato viso
È rugiadoso, e vezzosetto, e schivo.
Qual raggio in onda, le scintilla un riso
Negli umidi occhi tremulo, e lascivo.
Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle
Le
posa

il

capo, e'l viso al viso attolle.

XVII.

e

XVIII

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XIX.

e

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XX.

E i famelici sguardi avidamente

In lei pascendo si consuma e strugge.
S'inchina, e i dolci baci ella sovente
Liba or dagli occhi , e dalle labbra or sugge:
Ed in quel punto sospirar si sente
Profondo si, che pensi, or l'alma fugge,
E’n lei trapassa peregrina : ascosi

Mirano i due guerrier gli atti amorosi.
E veggion lei , che le stellanti ciglia

Da lui non torce, e placida il vagheggia;
Ma nel sembiante Venere simiglia,
Che d’Amor (com'è fama) arde e fiammeggia.
La sua gonna or cerulea , ed or vermiglia
Diresti, ed or s'indora , ed or verdeggia;
Sicch’uom sempre diversa a sé lei vede,

Quantunque volte a riguardarla riede.
Così piuma talor, che di gentile

Amorosa colomba il collo cinge,
Mai non si mostra a se stessa simile,
Ma'n diversi colori al Sol si tinge:
Or d'accesi rubin sembra un monile,
Or di verdi smeraldi il lume finge,
Ora insieme gli mesce; e varia e vaga

In cento modi occhi bramosi appaga.
Dal fianco dell'amante, estranio arnese,

Un cristallo perdea lucido e netto:
Sorse; e quel fra le mani a lei sospese,
Ne'misterj d’Amor ministro eletto.
Con luci ella ridenti , ei con accese,
Mirano in varj oggetti un solo obbietto:
Ella del vetro a se fa specchio, ed egli
Gli occhi di lei si fa lucenti spegli.

XXI.

XXII.

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