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persona da cantare ne' suoi versi. Egli ciò fece con una purezza degna del Petrarca, e che non sempre conservò negli altri suoi amori. Ma Lorenzo de' Medici non si ristrinse al genere lirico; egli volle provarsi in tutti, e in tutti mostrò la pieghevolezza del suo ingegno e la ricchezza della sua fantasia. Il suo poema intitolato l'Ambra, destinato a celebrare i deliziosi giardini ch' egli avea piantati in un'isola in mezzo dell' Ombrone, e che furono portati via dal fiume, è steso in ottave assai graziose; la Nencia da Barberino, scritta nel dialetto de' contadini della Toscana, celebra in ottave piene di naturalezza, di grazia e di brio, la belà d'una forosetta; l'Altercazione è un poema filosofico e morale, in cui le verità più rilevanti di Platone sono esposte con chiarezza insieme e nobiltà. Lorenzo de' Medici lasciò ne' Beoni una satira ingegnosa e pungente contro l'ubbriachezza; ne' canti carnascialeschi, molte strofe lepide e vivacissime, le quali si cantavano nelle feste trionfali ch' egli dava al popolo, ed a cui partecipava con esso; nelle sue ballate, altre strofetté che cantava egli medesimo in mezzo alle danze a cui prendeva parte sulla pubblica piazza; finalmente nelle sue orazioni, varj inni sacri che appartengono al genere lirico più elevato.

Tale era la fervida immaginativa, tale la grazia e la pieghevolezza d'ingegno d'un uomo, per cui la poesia non fu mai che un passatempo, ond' altri

appena si poteva accorgere, nella sua luminosa carriera politica; d'un uomo il quale, concentrando in sè solo tutti i poteri d'una repubblica, non lasciò mai che il suo popolo s'avvedesse d'aver cessato di esser sovrano; d'un uomo, che, mediante la superiorità del suo carattere e de' suoi talenti, governò tutta l'Italia, sì come governava Firenze; che la mantenne in pace; e che ritardò, mentré visse, le calamità ond' ella fu tanto afflitta due anni dopo la sua morte; d' un uomo che era a un tratto il sostegno della filosofia platonica, il promotore, il collaboratore di tutti i buoni studi, l'amico di tutti i filosofi, il protettore di tutti gli artisti; d'un uomo in somma che sviluppò e infiammò il bel genio di Michelangelo.

CAPITOLO IV.

Poliziano. Pulci. Bojardo. Ariosto.

Il secolo che dopo la morte del Petrarca era stato consecrato dagl' Italiani allo studio dell'Antichità, quel secolo, durante il quale le lettere non fecero alcun passo, e si vide la lingua stessa retrogradare, non fu tuttavia perduto per l'arti d'immaginativa. La poesia, al primo spiegar del suo volo, non avea ricevuto bastevole nutrimento; il capitale di cognizioni, d'idee, d'immagini ch' ella poteva impiegare, era troppo ristretto; i tre grand' uomini del secolo

XIV che abbiamo presentati pei primi all' osservazione del lettore, si erano colla sola forza del loro ingegno sollevati ad un'erudizione e ad un'altezza di concetti, ond'era ancora lontano il loro secolo; ma quelle si erano ricchezze proprie di loro soli; e tutti gli altri poeti italiani, al pari che i poeti provenzali, erano stati ridotti dalla loro stessa povertà a quei continui giuochi di spirito, a quel barbaglio d'idee inintelligibili e d'immagini incoerenti, che rendono sì nojevole la loro lettura. Tutto il secolo XV fu impiegato ad estendere per ogni verso le cognizioni ed i corredi di tutti gli amici delle muse; l'Antichità fu loro svelata, e quindi con essa i suoi sublimi caratteri, le sue leggi austere, le sue energiche virtù, la sua mitologia tutta graziosa e ridente, la sua filosofia sottile e profonda, la sua efficace eloquenza, la sua poesia piena d'incanto e d'attrattive. Cento anni ci vollero a rimpastare l'argilla che formar doveva i grandi uomini. Alla fine del secolo, un raggio divino penetrò la statua inanimata, si accesero gli spiriti, e ricominciò la vita.

Egli è nella società di Lorenzo de' Medici, fra' suoi amici e fra' suoi creati, che si videro svilupparsi alcuni di quegli uomini di genio che nel secolo XVI fecero brillare l'Italia d'un sì grande splendore. Tra essi conviene assegnare il primo posto al Poliziano, che il primo aperse a' poeti italiani la carriera epica e la carriera drammatica.

De Sismondi, vol. I.

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

Angelo Poliziano, nato il 24 di luglio 145 Montepulciano (Mons Politianus), castello ond prese il nome in cambio di quello d' Ambrogini portava suo padre, erasi applicato con ardore a gli studi d'erudizione, dietro a cui lasciavasi c re il genio del secolo XV. Alcuni epigrammi 1 e greci, ch'egli diede fuori gli uni a tredici a

gli altri a diciassette, destarono la meraviglia suoi maestri e de' suoi colleghi; ma l'opera ch fece conoscere a Lorenzo de' Medici, e che e maggiore influenza sopra il suo secolo, fu un p ma sopra una giostra in cui Giuliano de' Me era rimasto vincitore l'anno 1468. Lorenzo acc allora il Poliziano, lo alloggiò nel suo palazzo lo fece assiduo compagno de' suoi lavori e de' s studi, provvide a tutti i bisogni di esso, e qui gli affidò l'educazione de' suoi figli. Il Poliziar giusta l'invito del suo protettore, attese a lavori serj sulla filosofia platonica, sull'antichità, sul di to; ma il suo poema in onore della giostra di G liano de' Medici è sempre stato tenuto per uno più onorevoli monumenti della poesia italiana secolo XV.

Questo celebre frammento comincia come un' of ra di grande estensione; di fatto, quando bene Poliziano avesse avuto in animo di cantar soltan la giostra in cui Giuliano riportò la palma, gli maneva ancor molto da fare per ridurre a termi

il suo poema, giacchè in cento cinquanta stanze che formano un libro e mezzo, egli arriva solo ai primi apparecchi di quella giostra. Ma io vorrei supporre in esso un disegno più vasto e manco indegno d'una Musa epica: egli pensava forse, dopo la morte di Giuliano (a che allude nel secondo libro), di unire insieme per mezzo d' un'azione romanzesca tutto ciò che poteva affezionar gli animi al giovine Principe di cui narrava gli amori. A ogni modo, il Poliziano s'accorse ben tosta di non aver fatto scelta d'un eroe che potesse accendere la sua ammirazione o quella del suo lettore; egli vedea che gli veniano meno gli avvenimenti e l'azione ; e fu questo senza dubbio il motivo pel quale abbandonò il suo lavoro fin quasi dal suo principio. Ma questa sola introduzione di un lungo poema è degna d'essere paragonata a' componimenti de' più grandi maestri; nè il Tasso nè l'Ariosto non vincono il Poliziano nell'arte di maneggiar l'ottava rima, di narrare con fuoco, di dipignere con grazia e con una vivacità di colorito inimitabile, d'unir sempre un' armonia che ti rapisce, alle immagini più grandi e più variate. Il poeta rappresenta Giuliano nel primo fiore della sua gioventù; egli non è occupato che a segnalarsi negli esercizi del corpo; aspira alla gloria, e disprezza l'amore.

Nel vago tempo di sua verde etate,

Spargendo ancor pel volto il primo fiore,

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