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vaneggiar senza scopo è più conforme all' essenza della poesia, la quale non dee mai essere un mezzo, ma che sì bene è oggetto principale a sè stessa.

Vero è che il mondo cavalleresco non è creazione dell' Ariosto; la scena dell' Orlando furioso e quella dell' Orlando innamorato è precisamente la stessa, ed entrambi i poeti, appoggiandosi alla favolosa autorità dell' arcivescovo Turpino, si sono grandemente approfittati delle splendide invenzioni de' trovatori francesi, i quali, nel secolo XIII, composero di molti romanzi sopra il regno di Carlomagno; romanzi che certi poeti da taverna cantavano per via, dopo l'averli tradotti in pessime strofe italiane. Tuttavia, se il talento d'idealizzare gli antichi costumi e lo spirito de' tempi passati fu l'opera successiva di parecchi poeti, l' Ariosto fu quegli che diede l'ultimo perfezionamento a questo elegante e ingegnoso edifizio. La cavalleria ha toccato nel suo poema la più alta meta così di nobiltà e di delicatezza, come di grazia; il più energico sentimento d'onore, di protezione pe' deboli, di rispetto per le donne, di scrupolosa lealtà nell'adempimento delle promesse, è divenuto lo spirito del secolo in che siamo da lui traportati; tutti pensano, tutti sentono a un modo, e la fantastica generazione de' cavalieri ha da lui ricevuto la vita e l'essere.

La magia e la fattucchieria, che hanno così gran parte nell' Ariosto, e che sono divenute in certo

modo il maraviglioso consecrato da' poeti cristiani, sono tolte quasi al tutto dalle Novelle arabe, ed era no state trasmesse a' Latini per mezzo della loro mescolanza cogli Orientali. I guerrieri cristiani avevano bene di per sè stessi alcune goffe superstizioni; credevano agli amuleti che poteano renderli invulnerabili, credevano al potere delle cattive parole e delle malie che li privavano delle lor forze; continuamente occupati alle loro armi, erano disposti a credere che quelle dell' acciajo più fino, della tempra più sperimentata, avessero in sè qualche cosa di maraviglioso ma la loro superstizione portava in generale un carattere più tetro ; i preti aveano loro inspirato mille terrori che si confacevano ad una religione, resa dai medesimi persecutrice; gli spiriti maligni e le ombre de' trapassati turbavano continuamente la loro immaginazione; e quegli stessi guerrieri che affrontavano mille morti ne' combattimenti, si bagnavano di un sudor freddo attraversando di notte un cimitero. Questa superstizione, effetto delle spaventevoli pitture del purgatorio e dell'inferno, e che si trovano ogni tratto ne' poeti tedeschi, è assolutamente straniera all'Ariosto ed a' romanzieri cavallereschi ch' egli avea studiati in ispagnuolo ed in francese, come quegli che perfettamente era pratico di queste due lingue. Il soprannaturale che impiega l'Ariosto, è spogliato d'ogni terrore; è uno splendido ingrandimento del potere

dell' uomo, che dà corpo a' sogni della fantasía; sono le passioni della vita sviluppate, e non la perversità de' morti messa in iscena. I Genj dell' Orien

te, quelli che nelle favole più antiche si suppongono ridotti in servitù dall' anello di Salomone, sono gli alleati delle Fate; il loro potere si esercita, come nelle Novelle arabe, per mezzo di splendide creazioni, per mezzo del gusto delle arti e de' godimenti: Alcina finalmente, il vecchio Atlante, l' anello d'Angelica, l'Ippogrifo, sono creazioni dell'islamismo; laddove il cattivo Spirito della montagna, lo Spettro del castello che cammina facendo risonare le sue catene, e che turba il sonno con orribili visioni, sono superstizioni europee le quali si annodano così al cristianesimo, come alla mitologia degli Scandinavi e de' Germani.

Ma se l'Ariosto non fu l'inventore della sua mitologia, nè degli eroi che introdusse in iscena, e del loro carattere, non cessa per questo ch'egli non abbia spiegato nel suo poema la più brillante immaginativa, lo spirito più fertile d'invenzione. Ciascuno de' suoi guerrieri ha il suo piccolo romanzo; e ciascuno di questi romanzi è un tessuto di belle avventure che risvegliano la curiosità, e che eccitano sovente il più vivo interesse. Parecchie di queste avventure hanno somministrato eccellenti soggetti di tragedia o di dramma a poeti posteriori; e gli amori d'Angelica e di Medoro, quelli di Bradamante

e di Ruggiero, e quelli di Ginevra di Scozia e d'Ariodante, sono divenuti come una seconda istoria poetica, non meno fertile che quella de' Greci.

È d'uopo nondimeno convenire in questo che il talento drammatico dell'Ariosto non pareggia il suo talento pittoresco, e ch' egli ha molto più l'arte d'inventare avvenimenti, che caratteri. Egli annoda un fatto nel modo più nuovo e più curioso; l'interesse è destato infin dal principio, e va crescendo in un coll'imbarazzo delle situazioni; tutti gli avvenimenti sono inaspettati, e quai sempre di grande effetto; il quadro de' luoghi, quello dell' azione, è dipinto con colori sì vivi, che l' hai tutto intiero sott' occhio: ma quando finalmente il poeta fa parlare il personaggio ch' egli ha posto nella situazione più miseranda, alcune volte raffredda tutto a un tratto l'uditore, facendogli vedere che la sua fantasia soltanto, e non il suo cuore, en riva nella composizione. Così nel canto X, Bireno, l'amante e lo sposo d'Olimpia, arriva seco lei in un'isola deserta; già sazio di essa, egli medita d'abbandonarla senza che Olimpia abbia il benchè minimo presentimento della perfidia di lui; il picciolo golfo dov' essi vengono a sbarcare, il luogo ridente ove spiegano il loro padiglione, la serenità, la confidenza d'Olimpia, son tutte cose mirabilmente dipinte. Mentr' ella dorme, Bireno fugge, e la maniera con cui, allo spuntar dell' aurora, Olimpia, tra il sonno e la

veglia, cerca il suo sposo nel letto ch'egli ha lasciato deserto, la maniera con cui lo cerca nella tenda ch' egli ha abbandonata, la maniera con cui lo cerca sul lido, e finalmente dall' alto d' una rupe il vede, che, salito sopra il suo vascello, solca i mari per involarsi; tutto questo è dipinto con una dilicatezza, con un' armonia melancolica che intenerisce e commove profondamente il cuore: ma Olimpia parla, esprime in sette stanze i suoi rammarichi e i suoi timori, ed all'istante fa cessare la nostra commozione; poichè, di tanti versi, non ce n' ha un solo che parta dal cuore o che gli risponda. Una conseguenza del medesimo difetto, senza dubbio, toglie pure a tutti i personaggi dell'Ariosto una fisonomia individuale: l'eroe medesimo onde s'intitola il poema, Orlando, non è molto differente da Rinaldo, suo cugino, da Ruggiero, da Griffone, o da' più bravi cavalieri saracini. In quanto al valore ed alla forza corporale, siccome eccedono tutti i limiti del possibile, non v' ha modo di far divario tra essi; e in quanto al carattere, non ve n' ha propriamente che due a' quali si riferiscono tutti gli altri. Una metà de' cavalieri, così cristiani come pagani, è dolce, generosa, benefica; gli altri sono selvaggi, arroganti e crudeli. I caratteri di donne non sono meglio abbozzati; quello d'Angelica lascia appena una rimembranza che possa cor rere all' animo; tutti gli altri si confondono, ad De Sismondi, vol. I.

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