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Così quei ch'eran stati entr' al consiglio
Rinchiusi alquanto, lieti se n'andaro
A prender cibo ne' diletti alberghi.
L'ordinator delle città del mondo "
Come fu dentro all'onorata stanza,
Spogliossi il ricco manto, e chiamar fece
Il buon Narsete e 'l buon conte d'Isaura ;
E disse ad ambi lor queste parole:
Cari e prudenti miei mastri di guerra,
Non vi sia grave andare insieme al campo,
Ed ordinar le genti in quella piaggia'
Grande che va dalla marina al vallo:
Che dopo pranzo vo' venirvi anch'io
Per dar principio alla futura impresa.
Udito questo, i dui baroni eletti

Si dipartiro, e scesi entr' al cortile,
Disse Narsete al buon conte d'Isaura :
Che vogliam fare, il mio onorato padre?
Volemo andare al nostro alloggiamento
A prender cibo, e poi dopo 'I mangiare
Girsene al campo ad ordinar le schiere?
A cui rispose il vecchio Paulo, e disse:
O buon figliuol del generoso Araspo!
Il tempo ch'insta, è sì fugace e corto "
Ch'a noi non ci bisogna perdern' oncia:
Andiamo al campo, che sarem sul fatto;
E quivi seguirem questi negozi,
E poscia ciberensi, benchè è meglio
Senza cibo restar, che senza onore.

Lib. I, v. 770 e seg.

Nel libro II, egli espone con sazievole erudizione in prima la geografia e la statistica dell' Impero ;

quindi la formazione delle legioni; e il tutto in istile da gazzetta, senz' animare quel migliajo di versi col minimo interesse o colla minima poesia, e senza pur sostituire almeno l'istruzione al diletto; poichè, si vede ogni tratto, di mezzo a tutta questa pompa di cognizioni, ch'egli confuse i tempi ed i costumi. Nella sua mitologia, bizzarramente composta di paganesimo e di cristianesimo, dove invoca Apollo e le Muse perchè favoriscano il trionfo della Fede, si osservano le perfezioni della Divinità che discorrono fra loro. La bassezza del

suo stile, renduto ancor più sgraziato dalla sua gravità, il cattivo gusto col quale egli fa parlare i suoi personaggi, e la profonda noja dell'azion principale, fanno di quest' opera, sì lungamente aspettata,, sì celebre avanti che uscisse a luce, sì conosciuta di nome anche oggigiorno, uno de' peggiori poemi che sieno mai comparsi in veruna lingua.

Ma frattanto che i più famosi scrittori dell'Italia davano in nulla volendosi mettere alla gigantesca impresa di comporre un poema epico, un giovinetto di ventun' anno, appena conosciuto per un poema romantico intitolato Rinaldo, incominciava nel 1565 (alla Corte di Ferrara ov'era stato allora chiamato), quella Gerusalemme liberata che mette il suo autore appresso ad Omero e a Virgilio, e che per avventura lo innalza sopra tutti i Moderni. Io parlo del figlio di Bernardo Tasso, del gran Torquato,

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

le cui sventure vanno del pari colla sua gloria

spese sedici anni intorno alla composizione de poema: nel medesimo anno 1581 se ne sette edizioni, quasi tutte a mal grado dell' au

Il primo merito del Tasso è d'aver trasce più bel soggetto che potesse infiammare il d'un poeta moderno. Presentasi nell' istori esempio unico d'una gran lotta fra i popoli che veano portare la specie umana al suo maggiore vilimento, e quelli che doveano ridurla al più servaggio; voglio dir le crociate. Non è già nel momento che i Latini le intrapresero, non sero ancor gli Arabi altamente superiori nelle l re, nelle arti ed anche nelle virtù, a' Crociati andavano ad assalirli; ma essi aveano già sorpas la cima della lor gloria; i vizj così della loro ione come del loro governo, e la barbarie de' T chi gli strascinavano rapidamente verso quello sta d'avvilimento in che li vediamo oggidì. Parime i Crociati, non ostante la loro ferocia, la loro ign ranza e la loro superstizione, avevano in sè ste i germi delle grandi cose. La possanza del pensie e del sentire dovea sviluppar quel perfezioname to che s'incominciò a manifestare appresso a' L tini nel secolo XI, e che ha renduta l'Europa su periore al resto del mondo. Se i Crociati fo sero stati vincitori nella loro sanguinosa tenzon cogli Orientali, avrebbe l'Asia ricevuto le nostr

leggi, i nostri costumi, i nostri usi; ella sarebbe oggidì popolata, florida, abitata da genti felici e libere; le arti, per le quali ella è fatta, sarebbero ivi pervenute a quell'alto grado di perfezione che i Greci aveano conosciuto, e che si ritrovava nella cospicua Seleucia e nella felice Antiochia. Milioni di agricoltori renderebbono ancor fertili le rive del Giordano ; e le eccelse mura di Gerusalemme non sorgerebbono isolate in mezzo alle sabbie del deserto ed alle rupi spoglie d'ogni verdura. Le ubertose pianure della Siria, le valli deliziose del Libano, or sarebbero il soggiorno della pace e della felicità, ed ora il teatro delle più splendide azioni. Il Turco orgoglioso ed abbietto, il Druso feroce, od il selvaggio Beduino, non opprimerebbono il misero erede del popolo più antico della terra. Per l'opposito, se ai Musulmani fosse riuscito di recare ad effetto i loro disegni di conquista, se l'invasione dell'Europa, cominciata nel medesimo tempo dal Levante, dall'Occidente e dal Mezzodi, fosse stata consumata, lo spirito umano sarebbe rimasto. soffocato dal dispotismo; niuna delle qualità che rendono singolare l'Europeo dagli altri popoli, si sarebbe potuta in esso sviluppare; egli sarebbe vigliacco, ignorante e perfido, come il Greco, il Siriaco, ed il Fellah d'Egitto; ed il suo paese, men favorito dalla natura, giacerebbe sepolto sotto tetre foreste, o sarebbe coperto da paludi, come le parti rimote della Romanía. La

lotta si terminò, senza che l'una o l'altra potenza ne uscisse vittoriosa; ed i Musulmani ed i Franchi sussistono ancora per pigliar esempio gli uni dagli altri, ed affinchè questi ultimi conoscano dopo sette secoli l'obbligo immenso che hanno al valore de' loro antenati.

Queste due stirpi d' uomini, allorchè si combattettero a vicenda, già è sette secoli, non poteano preveder l'avvenire, nè saper tutte le conseguenze che la Provvidenza annodava a' loro sforzi. Ma un motivo non manco nobile, non manco disinteressato, e inoltre più poetico, dirigeva le loro armi. Una credenza religiosa facea dipendere la loro sa

lute dal loro valore. Gli uni si credevano chiamati a far trionfare l'islamismo intorno a tutto il globo ; gli altri a liberare i luoghi santi ov' era perito il Capo della religione, ed ove si erano adempiuti i misteri della redenzione. Non è già teologicamente che vuolsi esaminare se le crociate erano conformi allo spirito del cristianesimo. Forse oggidì ne parrebbe che al concilio di Clermonte i cavalieri dovessero gridare non già Dio lo vuole, ma lo vuol l'onore, lo vuol la patria, lo vuole l'umanità: non importa la religione, in quel secolo, era diventata tulta guerresca, ed era per un sentimento profondo, disinteressato, entusiastico, che i nostri padri abbandonavano le loro mogli ed i loro figli, per affrontar mille morti sotto un cielo straniero. Un tal

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