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196 venir seco al paragone dell' armi. Questo nott combattimento di due amanti che non si conosc è il trionfo del Tasso. Il conflitto stesso è di con una grandezza di poesia inimitabile (C. st. 53-63). Ma quando Clorinda è mortalmente rita dal suo amante, il patetico arriva al colmo mai veruna poesía offerse nulla che più la

DELLA LETTERATURA ITALIANA

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ammorza

Poco quindi lontan, nel sen del monte

Scaturía mormorando un picciol rio;
Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte,
E tornò mesto al grande uffizio e pio.
Tremar senti la man, mentre la fronte
Non conosciuta ancor sciolse e scoprio:
La vide, e la conobbe, e restò senza

E voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già, che sue virtuti accolse

Tutte in quel punto, e in guardia al cor le mise;
E premendo il suo affanno, a dar si volse
Vita con l'acqua a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti' sciolse,
Colei di gioia trasmutossi,,e rise;

E in atto di morir lieto e vivace

Dir parea: s'apre il cielo, io vado in pace.
D' un bel pallore ha il bianco volto asperso,
Come a' gigli sarian miste viole ;

E gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
Sembra per la pietate il cielo e 'l sole.

E la man fredda e nuda alzando verso

Il cavaliero, in vece di parole

Gli dà pegno di pace. In questa forma
Passa la bella donna, e par che dorma.
C. XII, st. 64-69.

La disperazione di Tancredi è così forte, come eccitar la debbe un sì terribile avvenimento; ma il Tasso, fedele alla sensibilità della sua nazione che non vuol mai prolungar pene troppo vive, fedele per avventura alle vere regole della poesía che non dee mai cangiare in tormento reale i piaceri dello

spirito, non permette che i lettori si rimangano assorti in un affanno tanto profondo; e sì, prima che abbandoni Tancredi, gli porge in un sogno alquanto di conforto.

CAPITOLO VI.

Continuazione del Tasso.

Un vivo interesse è forse il principio di tutti i piaceri dello spirito; e se i Critici hanno stabilito altre leggi per conoscere, per giudicare ciò che è bello secondo le regole dell' arte, il Pubblico intiero giudica sempre secondo la sua commozione: una lettura che ti rapisce a sè, che ti scuote l'anima, che ti fa circolare il sangue più rapidamente, che ti turba la respirazione, che s'impadronisce di tutto il tuo cuore, che sostituisce le sue finzioni alla realtà, ha pienamente, conseguito il fine che si proponeva l'autore; ella ha prodotto l'effetto più potente a cui l'arte possa aspirare. E se l'autore d'una tal finzione ha saputo eccitare una commozione sì viva, senza mettere in travaglio il suo lettore, senza far uso de' tormenti piuttosto che de' sentimenti morali, la ricordanza di simile lettura è così dolce e così pura, com'era viva la sua prima impressione; si ammira ancora l'invenzione poetica dopo che la commozione è calmata, e con diletto si ritorna a cercare

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una seconda ed una terza volta un movimento dell'anima che fu gagliardo senz'essere doloroso. Questo merito, che forma l'attrattiva de' romanzi, e nel quale consiste l'incanto delle tragedie, si desidera bene spesso ne' poemi epici. Noi ammiriamo quasi sempre i più celebri, senza che tale ammirazione sia accompagnata da una commozione veramente viva, da un desiderio veramente intenso di vedere il filo e l'esito delle vicende, da un interesse veramente tenero pe' varj personaggi; e l'epopeja è quella tra le nobili finzioni, che fa versar meno lagrime. Ma il Tasso, per questo rispetto, si è mostrato superiore a' suoi rivali; l'interesse romanzesco di Tancredi e Clorinda è portato a quel medesimo termine che si vede ne' romanzi d'amore, i quali non mirano ad altro che a concitare il cuore. Tancredi, il più generoso, il più prode, il più leale de' cavalieri, porta seco un non so che di modestia e di melancolía che si affeziona tutti gli animi. E Clorinda, a mal grado del contrasto fra il suo valo're indomito e crudele, e le dolci virtù che ci aspettiamo da una donna, non tarda a farsi amare colla sua generosità. La catastrofe è la più compassionevole che si sia mai inventata da niun romanziere, o posta in su la scena da niun tragico; e nondimeno, col togliere al generoso Tancredi, infin quasi dalla metà del poema, ogni speranza, ogni scopo per tutta la sua vita, non distrugge l'interesse

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di ciò che dee venir dopo: l'ombra di Clo sembra quind' innanzi accompagnar sempre qu erce; ed egli non comparisce più sulla scena, za scuotere il lettore sino al fondo dell' anima.

La torre mobile colla quale i Cristiani si co davano d'assalire le mura, era stata incendiata Clorinda e da Argante. Ismeno, per impedir ch Crociati ne costruiscano un' altra, dà opera ad a bili incanti, e commette in guardia a demonj sola foresta onde si possano trarre i legnami neces per far macchine da guerra. Lo spavento che spirano que' luoghi formidabili, si comunica al tore nella seguente ottava:

Esce allor de la selva un suon repente
Che par rimbombo di terren che treme;
E 'l mormorar degli austri in lui si sente
El pianto d'onda che fra scogli geme.
Come rugge il leon, fischia il serpente,
Come urla il lupo, e come l'orso fréme
V'odi, e vodi le trombe, e v'odi il tuono;
Tanti e sì fatti suoni esprime un suono.
C. XII, st. 21.

I più valorosi guerrieri tentano invano l'un dop
l'altro di penetrare in questo bosco, intorno al qual
un gran fuoco propaga le fiamme in forma di alte
mura. Solo Tancredi ne viene a capo; ma quest
eroe, nel cui petto non entrò mai nessun timore
è vinto dalla pietà: l'albero ch' egli vuol abbattere
colla sua spada, manda sangue fuor della scorza

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