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SONETTO XIV.

Gli occhi di ch'io parlai sì caldamente,
E le braccia e le mani e i piedi e 'l viso
Che m'avean sì da me stesso diviso,
E fatto singular da l' altra gente;
Le crespe chiome d'or puro lucente,
El lampeggiar de l'angelico riso,
Che solean fare in terra un paradiso,
Poca polvere son che nulla sente.

Ed io pur vivo: onde mi doglio e sdegno,
Rimaso senza 'l Iume ch' amai tanto,
In gran fortuna e 'n disarmato legno.
Or sia qui fine al mio amoroso canto :
Secca è la vena dell'usato ingegno,
E la cetera mia rivolta in pianto.

Il sonetto seguente fu scritto dal Petrarca in occasione del suo ritorno a Valchiusa, ove non dovea più ritrovar Laura :

SONETTO LII.

Sento l'aura mia antica; e i dolci cofli
Veggio apparir onde 'l bel lume nacque

Che tenne gli occhi miei, mentr`al ciel piacque,
Bramosi e lieti; or gli tien tristi e molli.

caduche speranze, o pensier folli!
Vedove l'erbe, e torbide son l'acque;

E vôto e freddo 'l nido in ch'ella giacque,
Nel qual io vivo, e morto giacer volli;
Sperando al fin da le soavi piante,

E da' begli occhi suoi che 'l cor m'hann' arso,
Riposo alcun de le fatiche tante.

Ho servito a signor crudele e scarso,

Ch' arsi quanto 'l mio foco ebbi davante;
Or vo piangendo il suo cenere sparso.

Ma ciò basti in quanto a' sonetti. L'altra forma che diede il Petrarca alle sue composizioni liriche è quella delle canzoni. Benchè la canzone italiana derivi da quella de' Provenzali, nondimeno ne differisce in questo ch'essa non è limitata a cinque strofe e ad una ripresa o commiato, e molto più di rado si vale di que' brevissimi ver etti che danno un così vivo movimento alla poesia provenzale. Ci ha nel Petrarca delle canzoni, le cui strofe sono di venti versi. Un periodo così lungo, la cui armonia non è forse abbastanza sensibile all'orecchio, ha dato un carattere particolare alle canzoni, e ha distinta l'ode romantica dall' ode classica. I poeti moderni, in luogo di seguire la rapida ed appassionata inspirazione del sentimento, si rivolsero assai più che gli antichi sul medesimo concetto, non dirà già per riempiere la loro strofa, chè non è in tal guisa che si conducono i veri poeti, ma per camminar del pari con essa. Essi concedettero molto più alla riflessione che si ripiega sovra sè stessa, allo spirito che analizza ogni cosa, all' immaginativa che pone tutto sotto gli occhi; ma perdettero l'entusiasmo. Una canzone del Petrarca, per quanto eccellentemente tradotta in latino, non potrebbe mai esser confusa con un' ode d' Orazio: vero è che non

si può far di meno che ambedue non si ripongano nel genere lirico; ma, confrontandole, si vede subito che questo genere comprende in sè due specie molto disparate.

Noi daremo qui un saggio di questa maniera di poesia che ha tanto contribuito alla gloria del Petrarca; e per sentirlo una volta in un altro argomento da quello de' suoi amori, sceglieremo alcune strofe dalla canzone O aspettata in ciel beata e bella, in cui egli predicava al suo amico il vescovo di Lombez la crociata per la liberazione di Terra Santa. È questa, per mio avviso, la più splendida e la più entusiastica delle sue composizioni, ed è pur quella che più s' avvicina all' ode antica.

Chiunque alberga tra Garonna e 'l monte,

E 'ntral Rodano e 'l Reno e l'onde salse,
Le 'nsegne cristianissime accompagna:
Ed a cui mai di vero pregio calse,

Dal Pirenéo a l'ultimo orizzonte
Con Aragon lasserà vôta Ispagna:
Inghilterra con l'isole che bagna
L'Oceàno in tra 'l Carro e le Colonne,
Infin là dove sona

Dottrina del santissimo Elicona,

Varie di lingue e d'arme e de le gonne

A l'alta impresa caritate sprona.
Deh! qual amor si licito o sì degno;
Qua' figli mai, quai donne

Furon materia a sì giusto disdegno?

Una parte del mondo è che si giace

Mai sempre in ghiaccio ed in gelate nevi
Tutta lontana dal cammin del sole :

Là sotto i giorni nubilosi e brevi
Nemica naturalmente di pace

Nasce una gente a cui 'l morir non dole.

Questa, se più devota che non sole,

Col tedesco furor la spada cigne,
Turchi, Arabi e Caldei

Con tutti quei che speran ne gli Dei
Di qua dal mar che fa l'onde sanguigne,
Quanto sian da prezzar, conoscer dei:
Popolo ignudo, paventoso e lento,
Che ferro mai non strigne,

Ma tutti i colpi suoi commette al vento.

Pon' mente al temerario ardir di Serse
Che fece per calcar i nostri liti
Di novi ponti oltraggio alla marina;
E vedrai ne la morte de' mariti
Tutte vestite a brun le donne Perse,
E tinto in rosso il mar di Salamina:
E non pur questa misera ruina
Del popolo infelice d'Orïente

Vittoria ten promette;

Ma Maratona e le mortali strette

Che difese il Leon con poca gente,

Ed altre mille ch' hai scoltate e lette :
Perchè inchinar a Dio molto convene
Le ginocchia e la mente,

Che gli anni tuoi riserva a tanto bene.

Quanto a' poemi allegorici che il Petrarca nomina Trionfi, noi saremo più brevi; non già perchè

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

non vi si rinvenga molta fantasia e assai di quel te di dipignere, mercè della quale il poeta gli obbietti davanti agli occhi del lettore; ma chè in sì fatte composizioni il Petrarca avea m festamente preso Dante per modello: di fatto vede lo stesso metro e la stessa divisione in car capitoli di cento cinquanta versi al più; e ser altresì vi s' introducono visioni, nelle quali il P è mezzo testimonio e mezzo attore. Egli assiste cessivamente al trionfo d'Amore, della Castità, Morte, della Fama, del Tempo e della Divin Ma la grande visione di Dante, sostenuta da lungo poema, divien quasi una seconda natura si trova un'azione; non si può non interessarsi suoi personaggi, e si dimentica l'allegoria. Il trarca, al contrario, non lascia mai obbliare il scopo, la morale che vuol predicare; non ci vede altro mai, che due cose: la lezione destin al lettore, e la vanità del poeta ; ma il lettore n si accomoda nè a trarre profitto di così fatta lez ne, nè a lusingare una tal vanità.

Gli scritti latini da' quali sperava il Petrarca sua fama, e che sono dodici o quindici volte p voluminosi de' suoi scritti italiani, non sono le oggidi fuorchè dagli eruditi. Un lungo poema in tolato l'Africa, ch' egli avea composto sopra le v torie del primo Scipione, e ch' era aspettato d suo secolo come un capolavoro degno di pareggian

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