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I sonetti di Cecco Angiolieri editi criticamente ed illustrati per cura di ALDO FRANCESCO MASSERA. Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1906; in 8.o, pp. LX-214.

Molti ancora, purtroppo, fra i nostri antichi poeti debbono. invidiare all' Angiolieri la bella fortuna, colla quale il suo nome è modernamente rifiorito. È vero che dopo lo studio magistrale, dedicatogli da Alessandro D'Ancona, sin dal 1874, parve che la sorte si pentisse di aver tanto favorito lo scapigliato senese. Pochi anni dopo, le sue rime, delle quali il D'Ancona aveva offerto larghi saggi, videro la luce colla pubblicazione diplomatica del chig. L. VIII. 305. Ma una riproduzione cosí fatta non è un testo critico; né il chig. contiene tutto intero il patrimonio poetico dell' Angiolieri. E ognuno poi sa che mai nel ms. romano s'incontra il nome di Cecco e che le sue rime sono comprese tra altre dugento quattordici, quasi tutte adespote. A preparare l'edizione critica dei sonetti angioliereschi si era già accinto il Bilancioni, e dopo di lui il Pirandello ed altri; ma tutti poi, per una ragione o per l'altra, ne avevan deposto il pensiero. Ora finalmente Cecco ha ritrovato la sua buona ventura col libro del Massèra, che, affrontando e risolvendo ogni problema, soddisfa un desiderio, anzi un bisogno e un dovere.

Il libro, giova dichiarar fin da ora, si rivela come frutto maturo di lunghe e diligenti ricerche. Molti problemi d'indole particolare l'A. aveva già trattato di mano in mano in varie pubblicazioni; e i risultati di questi studj parziali, accresciuti e modificati dalle ulteriori indagini, confluiscono ora tutti in quest'opera maggiore.

Il M. divide la sua trattazione in tre parti. La prima, introduttiva, si riferisce allo studio della tradizione ms.; la seconda dà il testo, criticamente restituito, dei cento trentotto sonn., che l'A. crede costituiscano la suppellettile poetica dell' Angiolieri; l'ultima parte infine contiene l'apparato critico e le note storiche illustrative. Chiudono il libro un lessico, l'indice dei nomi proprj, l'indice alfabetico dei sonetti e quello degli schemi metrici.

Il primo capitolo dell'introd. si occupa della descrizione dei

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ventotto codd., che il M. ha potuto conoscere. Trattandosi di testi già noti, il M. con savio consiglio è stato in questa parte molto sobrio e si è limitato a quel tanto, che sí riferiva strettamente al suo tema. Ma forse troppo rapida è la rassegna dei codd., che contengono uno o due sonetti dell'Angiolieri, sí che per alcuni il M. dimentica perfin le date; e nel ricordarli non sarebbe stato inopportuno seguire un certo criterio ordinativo. Del resto, piú che della descrizione, il M. si occupa qui delle questioni di autenticità. Il primo luogo spetta naturalmente al cod. chig., che secondo le ricerche del M. conterrebbe dell'Angiolieri cento diciassette sonetti. Per le ragioni di questa diminuzione il M. rimanda a una sua pubblicazione antecedente; ma qui intanto respinge « con piena certezza» l'autenticità del son.: Messer Neri Picchin, se mai m'adeschi, che altrove aveva lasciato in dubbio. Ora ci sembra che forse il prudente riserbo di allora meritava di esser tuttavia mantenuto. L'analisi piú minuziosa del componimento, fatta dal M., non dirada, com' egli confessa, « se non pochissimo la fitta tenebra, che l'involge ». Il messer Neri Picchin è per il M. il fratello e compagno di sventura di Farinata degli Uberti; e l'accenno ai bacialier franceschi e ai tedeschi farebbe riferire il sonetto agli avvenimenti succeduti tra il 1263 e il 1267, quando cioè l'Angiolieri era ancora bambino. Il M. suppone che l'an. poeta, avvicinatosi di fresco al partito imperiale, induca messer Neri a prender le armi; e intanto minaccia alcuni degli avversari guelfi, i figli Alberti, « di rinnovare e sorpassare a loro danno le prodezze di Garin ». Difficoltà gravi d'ordine sintattico e logico e d'altro genere fanno preferire al M. questa interpretazione. Ma osserviamo che neanche a questa si può giungere se non attraversando difficoltà ancor piú gravi. Vediamo: anzitutto, alle parole:

" se mai m'adeschi quella di cui son servo ad ogni prova,,

occorre dare questo significato: « cosí la donna mia si lasci adescar da me, mi porga ascolto ». Ma l'interpretazione non è forse cosí ardita, da cader nell'erroneo? Inoltre, come si spiega in un

1 Non avrebbe dovuto ad es. tacersi la data del Mgl. VII, 1040, cod. di diverse mani di diversi secoli: la parte contenente il son. di Cecco, cioè le ultime 10 cc (48a-57b), è del вес. ХѴ.

sonetto tutto d'odio politico questo accenno amoroso? E che l'amore c'entri per qualche cosa, conferma il v. 13: amore e guerra: mescolanza di sentimenti, della quale il M. non sa darci una spiegazione soddisfacente. E, se la cornacchia si riferisce a uno de'figli Alberti, come il M. spiega letteralmente e sintatticamente i due ultimi vv. del son.? L'errore del M., credo, dipende dall'aver dato al son. un'interpretazione letterale; forse sarebbe piú opportuno riconoscergli un'intonazione burlesca, alla quale mi sembra richiami la menzione ridevolmente iperbolica di Garin, forse quel Garin di Montglane, « capostipite degli eroi celebrati nel ciclo di Guglielmo d'Orange» (p. XIII n. 1). Si avrebbe qui insomma un Morgante in miniatura; e la concezione sarebbe tutt'altro che disdicevole all'ingegno e allo spirito di Cecco. Né è da trascurare che in un son., sicuramente dell' Angiolieri, è preso di mira un Neri piccolino, che non sarebbe per il M., e con ragione, il Neri degli Uberti, ma un popolano qualunque. Come ce lo dipinge Cecco? « Era un povero spiantato, che, andato in Francia, vi è tornato con qualche soldo. Ora si dà ai bagordi, fa il bello e il grande; oh ma tra poco tornerà a chieder l'elemosina »! Ora, se ai vv. se mai m'adeschi diamo il significato naturale, l'esta biscia bova e la cornacchia si riferirebbero a M. Neri e, come le due specificazioni sarebbero incomprensibili per l'Uberti, andrebbero invece a pennello al Neri balordo, che, fresco fresco de' suoi fiorini, faceva il vagheggino e si pompeggiava, come la cornacchia della favola, di penne che presto avrebbe perduto. Anche cosí restano alcune difficoltà; ma una volta dato al son. un senso burlesco satirico, molti nodi si disciolgon da sé. Concludo quindi che, lasciando pur da parte lo stile, che non conforterebbe il parere del M., ma che per lui e per me ha un valore insignificante in simili casi, non è possibile ancora penetrar addentro al senso e alle allusioni del sonetto e, mancando quindi la possibilità di qualsiasi riferimento storico sicuro, il componimento merita di esser tenuto ancora fra gli incerti dell'Angiolieri.

Qualche dubbio avrebbe il M. anche sui sonn. 339, 340, 341, 491, 492 per la situazione eccentrica, ch'essi hanno nel cod. rispetto alle altre poesie sicure dell' Angiolieri ». Ma il caso, come osserva il M., non è nuovo; e sarebbe stato opportuno osservare che i nu. 339, 340 hanno almeno piú probabilità degli altri di essere autentici, perché contengono allusioni non contradittorie a personaggi di altri sonn.

Non abbastanza fondata ci sembra la risolutezza, colla quale il M. esclude dalla serie dei sonn. angioliereschi il son.: I buon

parenti dica chi dir vuole, mentre con troppa facilità, sulle semplici probabilità stilistiche, si fa posto al son.: Io son si altamente inamorato, che la tradizione ms. reca anonimo. Il M. è tanto sicuro che il primo son. é spurio, che la conferma della sua opinione relega in una umile nota. « Era sfuggito al D'Ancona e al Novati com'esso [son.] si trovasse anche ascritto a Niccolò Malpigli nel notissimo ms. 1739 c. 234 b dell' Universitaria di Bologna in una redazione un poco diversa dalla comuue» (p. XXX). Il Frati lo attribuiva risolutamente al tardo petrarchista bolognese; il M. è in dubbio, ma esclude che il son. possa essere di Cecco. Il son. intanto è diffusissimo e sempre anon.; ma non è canone di buona critica che, appena venga fuori un'attribuzione qualsiasi, il desiderio di sciogliere i nostri dubbj tormentosi si appaghi di quella. Si noti poi che il cod. bolognese reca una lez. diversa dalla comune; e questa diversità avrebbe dovuto porre in guardia il M., il quale proprio poche pagine innanzi ci aveva parlato di un probabile plagio di un son. angiolieresco, commesso da Pietro da Siena. Forse al Malpigli sarà da porre sulla coscienza un peccato di simil genere e, per suo minor disdoro, sarà da mettere tra i plagiatori meno sfacciati, tra quelli cioè che legittimavano il furto con qualche loro modificazione. E, poiché siamo su questo argomento, avremmo desiderato che il M. si fosse guardato con piú cautela da affermazioni troppo recise, che purtroppo in questo genere di studj sono da bandirsi quasi di regola. Come si fa ad affermare che sono tutti tardi i codd. che contengono il nostro son., se noi siamo ancora ben lontani dal possedere un repertorio compiuto di tutta la nostra lirica antica, e dall' avere i cataloghi esatti di tutti quanti i fondi mss. delle nostre biblioteche? Di fatto, neanche a farlo apposta, apriamo un lacerto di rime antiche, poco noto agli studiosi, contenuto nel mgl. VII 1034. Il cod., benché senza data, rivela particolarità paleogra

1 Ecco del son, una bibliografia più ampia di quella dataci dal M.: Mgl. VII 1034 c. 57b (an); Mgl. II II 40 c. 164 (an); Mgl. Conv. Soppr. B. 3. 268 c. 9b (an); Laur. Conv. Soppr. 122 c. 17b (an); Laur. Gadd. 198 c. 111 (an); Laur. Acq. 137 c 41 (an); Rice. 1717 c. 16 b (an); Bol. Univ. 1754 e 1739 c. 234 b (au); Marc. ital. IX 209 e IX 200 c. 85 b (an).

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2 Il codice mgl. VII, 1034 (Strozz. in fol. 1299) cartac. legato in mezza pergamena, oblungo, è composto di due codd, diversi d'età. La prima parte, del secolo XVI, di mm. 290 X 112, reca sul recto della prima c. il titolo: "Poesie Toscane di Diuersi Autori | Antichi Le prime due cc. sono vuote e non numerate, cosí è anche per la c. 21 b le due segg. e la c. 29 b. Questa prima parte, scritta da diverse mani, contiene la "Gigantea di Girolamo Amelonghi,, (c, 2 a-21 a): "La caccia di bel fiore,, (c. 2. a-26 a); "La palla al chalcio,, (c. 26 b-29 a); "Lhorto di Luigi Tonsello,, (c. 30 a-36 b); canzoni del Poliziano e sonetti di Lorenzo di Pier Francesco, del Bellincione, di Giovanni Ridolfi (c. 37 a-46b). Da c. 47 a comincia il lacerto, che a noi interessa. È di 14 cc. di mm. 286 e 283 X 113. La prima c. è riparata modernamente. In alto si legge un "quando,, e sotto quattro versi del

fiche tali, da rendere impossibile una datazione, che varchi il sec. XIV. Ora in questo lacerto, a c. 57b, incontriamo appunto il son.: I buom parenti dicha chidir uuole. Le ragioni cronologiche dunque escludono il Malpigli; e, se pur nessuna conferma viene per Cecco, il son. doveva mettersi tra gli incerti, non mai espungerlo da un'edizione, che, a detta del M., non vuol tralasciar nulla di ciò che con qualche probabilità può ritenersi dell'Angiolieri (p. XXXI).

Escluderei invece senza esitazione il son.: Amor m'a fatto vistir d'un tal pano, recato ad. dal perug. C. 43, che, secondo il M.,non insensibilmente ritiene del fare di Cecco ». Della fallacia del criterio stilistico già fu detto. L'esclusione mi sembra invece da adottarsi e per certe forme dialettali in rima, e per lo schema metrico delle terzine (CDD; CEE), che mai appare in Cecco.

Piú felice mi sembra il M., quando identifica l'archetipo dei mss. casan. 433, bol. 1289, Galvani-Manzoni con un cod. della Vaticana, oggi smarrito, cui già attinse Celso Cittadini.

Ma, prima di lasciar questo primo capitolo, è da avvertire che il mgl. VII, 1145 non è dei primissimi del sec. XV, né tanto meno degli ultimi del XIV, perché contiene dopo la c. 70b diciannove sonetti del Burchiello, e a c. 64b una « morale che racconta la rotta di niccolo piccinino »; e che il son.: Da vinti anni in qua son castigato», pubbl. dal Battistella come di Cecco, non può dirsi, per il solo schema metrico, di un rimatore quattrocentista, perché esempj di sonn. caudati, e abbondanti, abbiamo anche nella poesia anteriore. Aggiungiamo che il mgl. VII, 1034 contiene a c. 53a il son.: Io sento o sentiro may quel d amore, e che il ricc. 1166 reca a c. 130a il son.: Dante Alighier, s' io son buon begolardo.

Il cap. II dell'introduzione è dedicato a spiegar le cause dell'anonimia e della dispersione delle poesie di Cecco per entro ai mss. Il M., movendo dal carattere personale e soggettivo di

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noto sonetto di Butto Giovannini: "Sonetto injo diffem... pero che ffemjna echon... | femina djna tva per piu... | femjmina dognireo incho... |,, Sotto si legge: Questo qva dernvocjo edj gujdo | djnjcholo dibartoloço dj messere | alamanno dj mess. bochacejo | adimarj in firençe pp.,,; e sotto: "chinascie in questo mondo | poco dura e perofa chonore | vincha pavra a me per nostro Segue una soscrizione d'altra mano: "domenicho d'antonj djforese,, e dopo altre parole insignificanti ("la bibolano bella?,,) la soscrizione del figlio di Guido: "Jo nichollo di ghuido,,. Questo lacerto, che arriva fino a c. 60 b, di righe 42-44 per c., contiene circa sessantanove sonn. non tutti scritti da una stessa mano. La maggior parte di questi sonn. è an.; alcuni sono scritti a mo' di prosa. Sono frequenti qua e là scarabocchi a penna e figure rozzissime di animali. Da c. 61a a c. 64b una mano diversa da tutte le altre, con molta eleganza, trascrisse alcune rime di poeti quattrocentisti. Del cod. si occuperà presto colla nota competenza il dott, S. Debenedetti.

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