Slike stranica
PDF
ePub

tesco mette in bocca al Boccaccio alcuni versi in una lingua, che, per quanto ibrida, è essenzialmente italiana.

[ocr errors]

Altre prove e maggiori ci offrono le altre sue opere, nelle quali mostrò d'ispirarsi largamente al poema dell'Alighieri, al Petrarca e al Boccaccio, e dalle quali traspare una sconfinata ammirazione per l'umanesimo italiano, che a lui, non umanista, faceva l'effetto d'una rivelazione magnifica e soverchiante la misura della coltura sua. A noi sembra una confessione preziosa e gradita il passo nel quale egli rende omaggio al genio italiano come a ministro di arte e di bellezza insuperate: «Los Itálicos < (scriveva) prefiero yo..... á los Françeses, solamente, ca las sus << obras se muestran de mas altos engenios, e adornanlas e com<ponenlas de fermosas é pelegrinas estorias », (p. LXXIV n.).

Ma i documenti più certi e quasi a dire tangibili di questo culto per la letteratura nostra, cosí umanistica come volgare, ci vengono dalla sua biblioteca la piú preziosa di quante sieno sorte nella Spagna durante il sec. XV che lo Schiff illustra con larghezza e con cura esemplari. L'abbondanza di manoscritti rappresentanti in essa le due correnti della nostra produzione letteraria si spiega con le relazioni che il Marchese strinse con l'Italia per mezzo di due suoi famigliari, don Nuño de Guzman e Joan de Lucena, che soggiornarono a lungo fra noi; al quale proposito giustamente l' A. (p. LXXXVII) rettifica la notizia data da Vespasiano da Bisticci, che, per un equivoco di non difficile spiegazione, attribuí al Grande Cardinale di Spagna, Pedro Gonzales de Mendoza, figlio del Marchese, un merito eminente nella formazione della biblioteca di Guadalajara. Nonostante questa inesattezza, il ragguaglio fornitoci dal libraio-biografo rimane prezioso, bene osserva l'A. (p. LXXXIX), perché conferma la provenienza fiorentina della maggior parte dei manoscritti italiani entrati nella biblioteca medesima.

Dalla dotta e diligente descrizione che l' A. ce ne porge, dobbiamo qui spigolare solo quanto ha piú diretta attinenza con la nostra letteratura, seguendo l'ordine adottato da lui.

Cominciamo dalle versioni di classici greci e latini, che rappresentano in certo modo un umanesimo di seconda mano, avvertendo che, salvo indicazioni in contrario, i codici si intendono appartenere al secolo XV.

Dell' Iliade incontriamo una traduzione castigliana fatta sulla versione latina di Pietro Candido Decembrio; dell' Etica aristotelica, un volgarizzamento italiano derivato dal lib. VI del Trésors di Brunetto Latini, dovuto a Bono Giamboni; un Polibio, tradotto in italiano dallo stesso Decembrio; i Sermones contra

Anomios di S. Giovanni Crisostomo, voltati in latino da Ambrogio Traversari, insieme con altre traduzioni latine dello stesso autore eseguite egualmente dall'insigne camaldolese, nonché da Gregorio e da Lilio (Giglio) tifernati. Degli autori latini vediamo rappresentati: anzitutto Cicerone (De Officiis, de Amicitia, de Paradoxis, de Senectute, Tusculanae) in volgarizzamenti italiani anonimi, e Giulio Cesare (Commentarii), tradotto in castigliano, da un ignoto, sulla versione italiana di Pier Candido Decembrio, la quale, creduta già smarrita dal Borsa, fu additata dal Morel-Fatio. Dell' Eneide un codice reca un compendio italiano anonimo, corrispondente alla compilazione volgarizzata di Andrea Lancia, nonchè il famoso Libro de la Mascalcia di Giordano (sic, invece di Lorenzo) Ruffo calabrese, tradotto anche in italiano; delle Epistolae e del De Providentia di Seneca abbiamo in un codice del sec. XIV una versione italiana, che l'A. identifica in quella pubblicata l'anno 1717 in Firenze, confermando essere essa derivata da un' anteriore versione francese eseguita in Italia da un italiano, fra il 1305 e il 1310. Delle Tragedie dello stesso Seneca abbiamo un volgarizzamento italiano.

1

Un altro codice ci conserva una versione castigliana del Trattata della cavalleria di Leonardo Aretino e, insieme, del trattatello di Plutarco sulla condizione della nobiltà, versione quest'ultima eseguita sull'italiana, derivante a sua volta dalla latina di Bonaccorso, per opera di Angelo Decembrio, detto << orador ytaliano milanes». Seguono: un Valerio Massimo, nel volgarizzamento ben noto, del secolo XIV, attribuito ad Andrea Lancia, e pubblicato nel 1867, dal De Visiani, in Bologna; un Lucano (Pharsalia) in prosa volgare italiana, che probabilmente corrisponde alla versione contenuta in un codice Riccardiano, del quale, perduto il codice, non rimane se non il ricordo, sufficiente tuttavia a far rettificare il giudizio dato da altri sulla mancanza di traduzioni italiane antiche di Lucano; un Quintiliano (Declamationes), nella versione italiana; un Quinto Curzio voltato in castigliano di sul volgarizzamento italiano di P. C. Decembrio, insieme con la comparazione di Giulio Cesare ed Alessandro Magno, dello stesso umanista milanese; uno Svetonio (Vite de' dodici imperadori) italiano, versione di anonimo.

1 Alle indicazioni bibliografiche date quí (p. 91) dall'A. sarebbe da aggiungere l'edizione che di quest'opera uscí nel 1867 in Bologna, a cura della Commissione poi testi di lingua, coll'originale latino, e la trattazione che nel 2. volume fece di questa materia Pietro Del Prato.

Chiudono la serie dei latini, in relazione con la nostra letteratura, i seguenti: un S. Agostino (La vita cristiana e Le confesioni) nel volgarizzamento italiano; due manoscritti di Paolo Orosio, voltato l'uno in aragonese, l'altro in castigliano, che l' A. dimostra esser derivati da una fonte comune, cioè la versione italiana di Bono Giamboni; infine un Boezio (De consolatione), tradotto in italiano. 1

Come si vede da questi rapidi cenni, è tutto un materiale prezioso che si schiude per la storia futura dei volgarizzamenti italiani da opere greche e latine.

Ancora più importante é la suppellettile di codici contenenti opere originali italiane, e in volgare e in latino.

Tengono il primato quelli di Dante: uno, che reca il testo della Commedia; un altro, del sec. XIV (1354), che contiene il testo del poema, trascritto, a quanto pare, da un genovese, e insieme la versione castigliana di esso, eseguita da don Enrico de Villena, già studiata dallo Schiff in un saggio speciale; un terzo codice, dove si trovano, col Canzoniere, anche le canzoni della Vitu Nuova. Del commento latino di Pietro di Dante abbiamo una traduzione castigliana di anonimo, e cosí pure di quello di Benvenuto da Imola all'Inferno, mentre di quello dell' Imolese al Purgatorio il volgarizzamento appartiene a Martin Gonçales de Lucena.

A questo punto l'A. (pp. 308-319) ci offre un' utile dissertazione sui traduttori e sulle traduzioni della Divina Commedia in Ispagna e sui commenti della medesima, per poi passare ai codici del Petrarca.

Del poeta aretino il Marchese di Villena possedeva un Canzoniere, il De viris illustribus nel volgarizzamento italiano di Donato Albanzani, il De remediis, tradotto in volgar nostro da fra Giovanni da S. Miniato, e il De vita solitaria, frammentario, voltato in castigliano.

Del Boccaccio mancava 0 manca oggi il capolavoro; esistono invece la Fiammetta, nell' originale, il Filostrato e il Corbaccio, la Teseide, il Filocolo; il Ninfale d'Ameto, tradotto in castigliano, è andato perduto, mentre si conserva il de Genealogia,

1 Questo codice, che è di due mani, nella parte del sec. XIV (seconda metà) reca una grande ed elegante miniatura raffigurante un falciatore nel prato fiorito, e nella parte del sec. XV offre 17 versi italiani, che l'A. riproduce (p. 175). Essi formano una stanza di canzone, la quale com "Vassi pensoso il segator dell'erba,.

castigliano. Un codice reca la Vita di Dante, insieme col Canzoniere di Dante, le orazioni di Stefano Porcari e il De Senectute, nella versione italiana; un altro contiene il Liber de montibus ecc. voltato in castigliano. E qui segue un succoso Excursus (pp. 34551) sui traduttori e sulle traduzioni del Boccaccio in Ispagna, dove vediamo annunciato uno studio speciale sull'argomento, cui attende Miss Carolina Bourland.

Un ultimo gruppo italiano comprende certi scrittori secondarj dei secoli XIV e XV: Armannino Giudice, la cui Fiorita, nel testo italiano, é in un codice scritto fra il Tre e il Quattrocento; Cecco d'Ascoli (Acerba) e Matteo Palmieri (Libro della vita civile), pure nel testo originale. Di Leonardo Bruni (De bello italico adversus Gothos) abbiamo due codici, l'uno col testo latino, l'altro col volgarizzamento castigliano, e, infine, di Giannozzo Manetti, incontriamo l'orazione a Sigismondo Pandolfo Malatesta ecc., tradotta dall'italiano per opera di Nuño de Guzman.

"

Delle appendici finali richiamano in particolar modo l'attenzione nostra la 1.a, consacrata appunto a questo Nuño de Guzman, che viaggiò e soggiornò in Italia, dove strinse amicizia con parecchi insigni umanisti, quali Giannozzo Manetti, Leonardo Bruni, P. C. Decembrio, Vespasiano da Bisticci ed altri; e la 4.o, contenente un Eulogium in distici latini e un Epitaphium, nello stesso metro, in morte di don Iñigo, il primo di P. C. Decembrio, il secondo di Tommaso da Rieti, tratti da un Codice dell' Ambrosiana.

Ho voluto riferire, sia pure in forma di indice di nomi, queste aride notizie bibliografiche, perché esse, meglio di qualsiasi mio commento, potessero dare agli studiosi un'idea adeguata dell'importanza e novità singolari di questo ricco e sostanzioso volume, col quale anche l'Italia sembra avere pagato un antico debito di gratitudine verso il nobile marchese di Santillana, l'entusiasta ammiratore delle sue glorie letterarie.

VITTORIO CIAN.

Prose di Giuseppe Baretti scelte e annotate da L. PICCIONI. Torino, Paravia, 1907, pp. XVI-464.

Utilissimo volume, lo dico súbito. È la piú copiosa e varia antologia barettiana apparsa finora. Il Piccioni, già noto pe' suoi Studi e ricerche intorno a G. B. (dei quali scrisse in questa Rassegna, VIII, 65, T. Ortolani), ha saputo trascegliere le pagine piú caratteristiche, piú vivaci, meglio adatte a far conoscere l'ingegno, l'anima, lo stile del bizzarro Piemontese.

Del quale rileggiamo qui anzitutto alcuni scritti polemici: la terza delle tre Lettere sopra un certo fatto del dott. B. Schiavo da Este, la quale ci dà un'idea delle beghe e polemiche tra letterati assai frequenti nel Settecento, e insieme ci rivela il carattere del futuro Aristarco; delle lettere premesse alle Tragedie di Pier Cornelio tradotte (il piú significativo antecedente della Frusta) quella che mira a distruggere la falsa opinione di quei critici italiani che giudicavano il teatro italiano superiore al francese; il primo cicalamento sopra le cinque lettere di G. Bartoli intorno al Dittico Quiriniano, che ci fa conoscere l'avversione del Baretti per l'antiquaria e i suoi cultori, ch'egli non si pèrita di chiamare perdigiornate. Seguono una scelta delle Letterc familiari; le pagine migliori, o sembrate tali al Piccioni della Frusta letteraria; e finalmente una scelta della Scelta di lettere familiari fatta per uso degli studiosi di lingua italiana; degna e audace continuazione della Frusta letteraria: della quale Scelta, sia detto di passata, si desidera un'edizione compiuta, che al Piccioni sarebbe facile far degnamente. Il testo è stato sempre. raffrontato con la prima edizione di ciascun'opera e riprodotto integralmente. Precedono le singole parti succose note, ricche di notizie biografiche, d'indicazioni bibliografiche, di meditati giudizj.

Il commento è diligente, anche troppo: voglio dire che, talvolta, può sembrare minuzioso e ingombrante. Il Piccioni se la prende nella prefazione con « quelli che gridano contro le troppe e troppo erudite note di testi scolastici ». Io sono tra quelli, e mi rincresce di doverci restare anche questa volta. Troppe note! C'è bisogno di venirci a dire, come si fa a pag. 40, che cosa è il Lazio, o, come si fa a pag. 229, dov'è nato Virgilio? Troppe note, e troppo (leggi: inutilmente) erudite! Com'è stiracchiata

« PrethodnaNastavi »