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Illmo Signor Padrone Colendissimo.

Dall'acclusa lettera del sig. Abate Casti, che originalmente accompagno a V. S. Ill.ma, rileverà le sue premure, e i gravi, e giusti motivi che adduce, acciò venga impedita la pubblicazione del suo Poema Tartaro che suppone stamparsi clandestinamente in codesta città Per secondare dunque questa sua rimostranza ho creduto di non potermi meglio indirizzare che a V. S. Ill.ma, pregandola a volere colla di lei autorità proibire la stampa di un'opera, contro di cui l'autore reclama, e che non solamente potrebbe apportargli grandissimo pregiudizio, ma sarebbe altresì contraria all'attuale sistema politico, conforme Ella meglio rileverà dalla medesima sua Lettera. Nel raccomandarle frattanto nuovamente un tale affare colla maggiore stima mi protesto

Di V. S. Ill.ma

Firenze, li 18 Mag. 1790.

Sig. And, GIUSEPPE PIERALLINI

Livorno.

Dev.mo ed obbl.mo Servo
LORENZO CORSINI.

Ed ecco adesso la Lettera dell'abate Casti che segue a questa, ed è tutta autografa nella filza citata:

Eccellenza.

Milano, li 14 Maggio 1790.

Oh questa volta poi sí che ho bisogno di V. E. ed ecco per qual motivo. Mi si suppone che a Livorno si stampi clandestinamente il mio Poema Tartaro. Oh caspita! questa non è bagattella da non curarsi. Ella sa circumcirca sopra che si aggira questo Poema, sa che riguarda i principali Sovrani e Ministri d'Europa, e quello sopratutto che più d'altri s'offenderebbe di non esser trattato col linguaggio universale dell' adulazione. La cosa è molto più importante di quello possa apparire agli occhi d'un ignorante o mal'onesto Editore, che non, hà in mira che il proprio interesse, e che per un vil' guadagno sacrificherebbe Cristo a esser' crocifisso per la seconda volta. Non parlando del grandissimo rischio a cui può espormi la pubblicazione di tal opera: Ella è contraria al presente sistema politico, e alle attuali circostanze della nostra politica situazione, e conseguentemente alla ragione di Stato; E non meno che al defunto monarca se vivesse ancora, Ella si accrebbe1 sommamente al presente. Siccome e l'uno, e l'altro se né sono meco spiegati inculcandomi ad usare la piú gelosa circospezione per prevenirne, ed impedirne la detta pubblicazione: se il Sovrano fosse stato costà, io avrei

1 Cosi proprio sta scritto nella lettera autografa.

umiliato direttamente a Lui la mia rimostranza, e se anche presentemente sapessi chi è ora costà a cui spetti l'inspezione di tali cose a Lui egualmente mi sarei diretto. Avea pensato d'indirizzarmi a quel Governatore Montauti, ma poi ho riflettuto, che più efficacemente avrei potuto implorare la valevole interposizione di V. E., che più autorevolmente avrebbe potuto far valere questa mia giustissima rimostranza presso Chi de jure, acciò la detta pubblicazione sia dalla legittima e competente autorità impedita. Spero che V. E. non vorrà negarmi quest'officio di patrocinio per il grave, e sí giusto titolo. Oltre al Poema mi si suppone, che in Toscana, e forse in Livorno stesso si faccia un'Edizione delle mie Novelle, cosí scorrette e sfigurate, come esse corrono attorno, fra le quali hanno frammischiate delle apocrife, e non assolutamente mie, e detti sconci, ed indecenti espressioni ripiene, per le quali ragioni io le dovetti degavour (sic), quando in Venezia fu fatta altra parimente furtiva, e clandestina Edizione, con una mia protesta in versi inserita ne' fogli pubblici, e della quale le ne compiego un esemplare. Di ciò non mi prendo in fondo gran pena, perché l'affare è di molta minore conseguenza, che quello del Poema: ma siccome c'hanno, come dissi, intruse delle altre novelle a me non appartenenti, perciò ho creduto anche in questa occasione di fare inserire ne' pubblici fogli un'altra protesta, ma in prosa, che ho inviato in cotesto stesso Ordinario al Lucchi acciò la faccia inserire in cotesta Gazzetta, suggerendoli, che se incontrasse qualche difficoltà per farvela inserire, ricorra alla potente interposizione di V. E.

Se tutte le novelle non mie che mi si attribuiscono, fossero come la Campana di S. Antonio, io non solo non me ne rammaricherei, ma me ne farei pregio, perché troppo ne stimo l'A., e troppo Egli merita d'essere stimato. Ma Gesú caro! delle scorrettezze, e delle scioccherie? Che ne dice, basta finiamo, mi rassegno di V. E.

Umil.mo e dev.mo servo
ABATE CASTI.

L'Auditore del Buon Governo in Livorno, Giuseppe Francesco Pierallini, si dette ogni cura per impedire la stampa del Poema Tartaro, e per corrispondere alle calde raccomandazioni fatte in proposito dal marchese Lorenzo Corsini, il quale, grato di queste premure che approdarono a buon risultato, glie ne esprimeva con lettera del 25 di maggio la piú sincera e viva riconoscenza.

PIETRO VIGO.

1 Il Conte Federigo Barbolani da Montauto, nobile aretino che fu governatore di Livorno dal 1782 al 1788. Ma veramente quando scriveva questa lettera il Barbolani non era piú a capo di questa città dov'era stato mandato il Cav. Francesco Seratti, generale e consiglier di Stato: la qual cosa verosimilmente o non seppe o non si ricorda il Casti.

2 Archivio Storico cittadino di Livorno, Filza cit. Lettere civili, anno 1790, S. A.

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.

E. ZANIBONI.

L'Italia alla fine del secolo XVII nel " Viaggio, e nelle altre opere di J. W. Goethe (con la scorta dei principali viaggiatori stranieri). Il Trentino. Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1907 (8.° pagine 43).

È questo un nuovo saggio delle felici indagini con le quali l'A. ha iniziato da tempo un'ampia illustrazione comparativa del Viaggio goethiano in Italia, servendosi sovrattutto delle relazioni di altri viaggiatori contemporanei e del Tagebuch, nonché delle altre opere dello stesso poeta tedesco. L'opuscolo, ricco di recondita e ben digesta erudizione, comprende la prima parte del Viaggio, quella dal Brennero a Verona, cioè il Trentino, e consiste nel testo relativo della Italienische Reise, garbatamente tradotto e in una serie continua di note illustrative minute, diligenti, spesso curiose, talvolta anche esuberanti. Certi riscontri felici pongono, meglio di qualsiasi osservazione, in rilievo ciò che v'é di nuovo e di caratteristico nelle pagine del Goethe, alcuni giudizj del quale potrebbero essere scritti a lettere d'oro in una storia retrospettiva della italianità di quelle regioni poste nel lembo estremo della penisola. Alludo in particolare al passo del Viaggio, dove il poeta del Faust, tre giorni prima del suo arrivo a Trento, scriveva: "Ed ora attendo che il mattino sorga a rischiarare questa gola di rupi (il Brènnero), in cui mi sento prigioniero al confine fra il Mezzogiorno e il Settentrione, (pp. 7-8 n.). Dunque anche pel Goethe al Brènnero finiva i Settentrione tedesco e incominciava il Mezzogiorno italiano! E contro questa verità incontrastabile lasciamo pure strillare e spropositare i Fischer d'oltre Alpe! Si direbbe che il maggior poeta tedesco, come doveva rivelare un sentimento meraviglioso dell'arte classica, cosí acquistasse ben presto, grazie al suo felice spirito d'osservazione, un senso acuto della vita, della natura, dell'anima italiana. E in ciò egli recava una consapevolezza che accresce l'attrattiva della sua rapida conquista spirituale del mondo nostro. Quel che per ora sta a cuore a me, é d'arricchirmi di quelle impressioni dello spirito che non dànno né i libri, né i quadri. Per me l'importante " è di prendere ancora interesse a ciò che si agita nel mondo, di mettere alla prova il mio spirito d'osservazione, d'esaminare fino a qual punto arrivino la mia scienza e la mia cultura, d' esser sicuro che il mio occhio " è lucido, limpido e puro...... Cosí scriveva il Goethe (p. 12), e con quanta ragione, viene dimostrando egregiamente lo Z.; il quale, allorquando avrà compiuta l'ardua impresa cui s'é accinto con degna preparazione, potrà dire d'avere tributato il migliore omaggio al glorioso ospite dell'Italia e insieme reso un bel servizio agli studiosi e alla patria italiana.

"

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V. CIAN.

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L'alliterazione nel dramma Shakespeariano e nella
Roma, Società editrice laziale 1906 (pp. 77 in 16.o).

Il Garlanda avea già finito di stampare il primo capitolo di questo libro in cui studia l'alliterazione' nel dramma dello Shakespeare e si disponeva a pubblicarlo come studio a sé, quando sentendosi tornare alla memoria alcuni versi di Dante, s'accorse del ricorrere frequente in essi dei casi di alliterazione. E allora riandando altri versi del poema dantesco e di altre opere poetiche italiane, si convinse che il fenomeno dell' alliterazione non è nei nostri poeti cosí scarso come s'è fin qui affermato. Perciò sospesa la pubblicazione del suo studio shakesperiano, si mise a studiar l'alliterazione nella poesia italiana di cui pochissimi inesattamente e ad ogni modo incompiutamente s'erano occupati. Cosí nacque la seconda parte del libro, della quale vogliamo qui informare i lettori. Il Garlanda tra quelli che studiarono l'alliterazione prima di lui, ricorda il Kriete e il Carneri; ma altri devono aggiungersi a questi due: il Raab che ne discorse studiando la tecnica poetica del Petrarca, il Densusianu che, considerando il fenomeno in tutte le lingue neolatine, tocca anche, naturalmente, dei casi italiani, Francesco Cipolla che ha fatto osservazioni anch'egli sulle alliterazioni nella Divina Commedia e finalmente più recente e meglio di tutti il Taylor il cui libro fu già segnalato a suo tempo in questa Rassegna. Ma cosí il Kriete e il Carneri come gli altri che abbiamo ricordato, non hanno fatto veramente oggetto precipuo delle loro indagini l'alliterazione come elemento artistico del verso, nè hanno rilevato l'importanza e la frequenza del fenomeno nella poesia, come ora ha fatto il Garlanda nel suo libro che è un capitolo nuovo e interessante della metrica italiana. Egli anzitutto studia la natura dell' alliterazione, e nota che nelle lingue germaniche le lettere che la costituiscono sono iniziali, nelle neolatine trovansi nel principio e nel corpo delle parole. Ma questa è una differenza tutta apparente, perché studiato bene il fatto, si vede che l'alliterazione avviene fra le lettere iniziali delle sillabe accentate, fra le lettere che accompagnano l'accento della parola. Ora sic

1 Il Garlanda in una nota a p. 4 rigetta la forma ortografica allitterazione data dai vocabolari e adotta invece alliterazione, perché come "per le leggi fonetiche della nostra lingua da legge abbiamo legittimo (non leggittimo),, così da alliteratio si deve fare alliterazione. Legittimo è veramente regolare riflesso di legitimus; ma l'ortografia della parola italiana preferita dal Garlanda credo sia la giusta, perché la parola latina (latina però del rinascimento, la prima volta fu usata dal Pontano) essendo affatto letteraria nel suo riflesso romanzo non obbedisce alle regole della fonetica popolare, secondo la quale dovremmo avere allitterazione.

2 VIII, 269. Per gli studi che si hanno intorno all'alliterazione si veda la importante recensione del libro del Taylor in Giorn. Stor. d. lett. ital., XXXIX, 366 dovuta a C. SALVIONI.

come le lingue germaniche tendono a portare l'accento verso il principio della parola e il latino e le neolatine verso la fine, avviene che nelle prime l'alliterazione ricorre nelle sillabe iniziali delle parole e nelle seconde cosí nelle iniziali come nel corpo di esse. Anche il Taylor avea già osservato fra le condizioni dell' alliterazione quella per cui essa dovesse coincidere con la tonica, e in quei casi in cui non appariva verificarsi esattamente questa condizione, ricorreva per conciliarli colla sua teoria, al rilievo di un accento secondario, rendendo cosí possibile, p. es., l' alliterazione fra cólli e càmpágna. Ma il Salvioni pur riconoscendo che il confluire dell' accento e dell'alliterazione renda questa assai più efficace,, non crede che la coincidenza sia il requisito necessario di una alliterazione efficace, come dimostrano molti casi, p. es. módo e maniéra. E soggiunge: "La sola condizione accentuale a cui è legata l'allitterazione parmi sia questa: che di due sillabe allitteranti, di cui una “abbia l'accento e l'altra no, l'accentata abbia il primo posto,. Il Garlanda, pur non conoscendo l'osservazione del Salvioni, ha prevenuto l'obbiezione. Anch' egli ha notato come, p. es. nel verso seguente

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si forte fu l'affettuoso grido

pur essendovi nelle sillabe sottolineate alliterazione, nella terza non si verifica la condizione dell'accento; lo stesso avviene nel verso

confortate di pianto è forse il sonno

e in quest'altro

o tosco che per la città del foco

In questi versi non si può negare che noi sentiamo una rispondenza alliterativa fra sillaba atona e tonica o addirittura fra sillaba atona e sillaba atona: simili rispondenze il Garlanda le chiama sub-alliterazioni che meno importanti per sé stesse, vengono ad avere uno speciale effetto musicale quando si accompagnano ad alliterazioni vere e proprie, e per cosí dire, le intensificano e le sottolineano e sono rispetto alle vere e proprie alliterazioni come note di raccordo o di accompagno,.

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Ma oltre le rispondenze già notate che costituiscono le alliterazioni o sub-alliterazioni, ce ne sono nel verso altre costituite da vocali interne della parola, non iniziali di sillabe, come nei versi

E dopo il pasto ha più fame che pria.

Caron dimonio con occhi di bragia.

Il Brunetière che nella Grande Encyclopedie discorre dell'Alliteration, vorrebbe includere in questa anche i casi esemplificati nei due versi sopra citati, ma il Garlanda, giustamente mi pare, si mostra contrario osservando che in questo modo si verrebbe talmente ad allargare il campo dell' alliterazione che non si saprebbe più dove finisca, né dove cominci,. Egli perciò

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