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COMUNICAZIONI.

AUZIAS MARCH ERA IN NAPOLI NEL 1444 ?

Un buon gruzzolo di documenti, pubblicati anni sono da Amedeo Pagès,1 non solo ci dette alcuni dati sicuri della biografia di colui che può dirsi il maggior poeta catalano del quattrocento, ma valse a rischiararci alcuni tratti della sua fisonomia che non riesce a rivelarci la sua poesia impersonale. A quei documenti se ne son venuti aggiungendo altri, più o meno importanti, pubblicati dallo stesso Pagès, dal Paz y Mélia e da altri; e non è molto un erudito spagnuolo, J. Pijoan, ha fatto conoscere un nuovo documento che non manca d'importanza se si considera che dal 1439 al 1457 corre un periodo di diciotto anni durante il quale mancano notizie sicure del poeta valenziano. Se si dovesse prestar fede all'erudito spagnuolo dal documento risulterebbe che Auzias March era in Napoli nel 1444 al servizio della Corte aragonese; ma chi lo prende in esame, anche fugacemente, si accorge subito che la congettura del Pijoan è meramente immaginaria. In omaggio alla sua brevità, ci sia concesso riferirlo qui per intero:

Eiusdem

Nos, Alfonso, etc. Al amat e feel conseller e Maestre Racional de dita cort en lo Regne de Valencia, mossen Guillem de Vich, cavaller, o an Bernart Stellers, Regent lo dit offici per absencia d'aquell, o altre qualsevol del amat conseller nostre mossen Berenguer Mercader, cavaller, batlle general del dit Regne, compte hoydor, Salut e gratia. Com lo dit batle general de les pecunies

1 Documents inédits à la vie d'Auzias March, in Romania, vol. XVII (1888), p. 186 segg. Da essi sappiamo che il poeta nacque probabilmente circa il 1395 e mori il 3 marzo 1459 e che, per conseguenza, non poté essere l'ispiratore ma l'imitatore del Petrarca. Intorno a ciò e intorno alle relazioni della poesia del poeta catalano con quella del Petrarca e di Dante, vedi le due dotte e geniali memorie di A. FARINELLI, Sulla fortuna del Petrarca in Ispagna nel Quattrocento [estr. dal Giorn, stor., vol. XLIV]. Torino, Loescher, 1904, p. 45 segg.; e Appunti su Dante in Ispagna nell'età media [estr. dal Giorn. stor., Supp., n. 8]. Torino, Loescher, 1905, p. 36 segg. Vedi pure B. SANVISENTI, I primi influssi di Dante, del Petrarca, del Boccaccio sulla lett. spagn. Milano, 1902, p, 371 segg.

Auzias March l'any 1444 era a Napols, in Revista de bibliografia catalana, a. III, n. 6 gennaio-dicembre 1903, p. 39 segg.

de son offici de batlia, haia donats e pagats an Adam Lopiz, falconer, e an Jacme Dezpla, scriva, de la galera grossa de mercaderia patronejada per lo amat nostre en Galceran Mercader, donzell, cinch cents cinquanta sols reyals de Valencia, ço es, al dit Adam Lopiz vint florins o per aquell CCXX sols de la dita moneda per acorriment de viatge que aquell ha fet portant a nos dos falcons e hun ca gruers, los quals lo amat nostre mossen Ausias March, cavaller, en dies passats havia afaytats per obs e servey nostre. E al dit en Jacme Dezpla, trecents trenta sols de regals per nolit, axi dels dits dos falcons e ca com del dit Nadam Lopiz, per provisio de aquell. E com la dita despesa feta por lo dit batle, segons dit es, sia a nos molt aceptable. Por tal a vos dehim e manam expresament e de certa sciencia que en lo temps del retiment dels compts del dit batle, aquell posant en data les dessus dites quantitats per aquell donades e pagades, segons es dit, e restituhint apoques opportunes e la present, aquelles en los dits comptes e admetats tots dupte e contradictio cessants. Dada en lo Castell nou de la nostra ciutat de Napols a VIII dies de Maio del any de la nativitat de nostre senyor Mil CCCCXXXXIIII. Rex Alfonsus. Dominus Rex mandavit mihi Iohani Olzina.

Cur. Can. Neap. II, Arxiu Real d'Aragó [Reg. 2901, fol. CXXIII verso].

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La suddetta lettera si legge tra molte altre inviate dal Re a Berenguer Mercader, batlle, del Regno di Valenza, sia per dargli ordini di pagamenti a favore di valenziani e di castigliani, sia per chiedergli drappi e gioie e oggetti di caccia il Re gli dà ordine di far pagare duecentoventi soldi reali di Valenza ad Adam Lopiz, falconer, per spese di viaggio da costui fatte per portare due falconi e un cane, “i quali prosegue l'amato mossen Ausias March, cavaliere, nei giorni passati aveva addomesticati per utile e servigio nostro,; e trecentotrenta soldi reali a Jacme Dezpla, "scriva ", per noleggio cosí dei due falconi e del cane come del suddetto Adam Lopiz. Su che basa, dunque, il Pijoan l'asserzione che Auzias March nel 1444 era in Napoli? Forse sarà stato tratto in inganno dall' espressione en dies passats, che avrà ritenuta come accenno a fatto recentemente accaduto e non lontano da chi scriveva la lettera. Ma un insigne Maestro, il prof. Emilio Teza, al quale abbiamo voluto sottoporre il documento, dopo averci scritto ch'è d'accordo con noi nel ritenere che Auzias March non era in Napoli quando fu scritta la lettera del Re, soggiunge acutamente che l' en dies passats, non risponde a dianzi ma bensi a tempo fa: certo il cortigiano aveva dovuto preparare i falchi con lunghe cure, perché non doveva essere facile e breve l'addestrarli.

La breve lettera di Re Alfonso può, dunque, provarci che il valerós cavaller y elegantissim poeta, colui che il marchese di Santillana nel suo Proemio esaltava come grand trovador è ome de assaz elevado espiritu,, amava i divertimenti della caccia e si dilettava ad addomesticar falchi per mandarli al suo re; ma non ci prova punto, come congettura fantasticamente

l'erudito spagnuolo, che quando il Magnanimo era già entrato trionfalmente in Napoli, il poeta faceva parte del seguito godendosi le delizie della pace e addestrando falchi e cani per le feste di quella Corte.'

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.*

EUGENIO MEle.

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GIOVANNI SFORZA. Contributo alla vita di Giovanni Fantoni (Labindo). Genova, tip. della Gioventú, 1907 (pp. 177 in 16.o con ritratto).

Il lavoro è intitolato Contributo, forse perché l'autore augurava che il Carducci, al quale è dedicato, potesse portare a compimento quella vita di Labindo, della quale aveva dato notevoli e promettenti saggi. Altrimenti ha voluto il destino, ma intanto, mercé le ricerche e le cure dello Sforza, sappiamo quanto è necessario, o almeno quanto è stato possibile raccogliere, intorno alle vicende del poeta fivizzanese, del quale si celebrò in patria il centesimo anniversario della nascita: né solo è detto dei casi, varj e fortunosi, della sua vita, ma delle opere e della condizione dei tempi, che ebbero tanta efficacia e trovano luminoso riflesso nei suoi versi. E veramente, il Fantoni nelle sue vicissitudini come nell'ispirazione delle sue odi e negli argomenti che queste trattano, è figura dell'uomo italiano del finire del sec. XVIII, improvvisamente scosso dal grido di libertà, che suonava sulle bocche dei soldati francesi irrompenti dalle Alpi, e entusiasticamente volto di subito al culto della nuova Dea. Egli fu mescolato a tutte quelle manifestazioni di libera vita, in Lunigiana, a Reggio, a Torino, a Milano, portandovi l'ardore del credente e l'impeto del poeta; e fedele sempre all'amore della patria

1 Le linee che precedono furono da noi mandate alla Rassegna sin dal mese di novembre del '906. Frattanto è comparso nel fascicolo d'aprile di quest'anno della Romania (vol. XXXVI, 216) un pregevole studio di A. PAGÈS sulla cronologia delle poesie d'Auzias March, che ci dà nuovi ragguagli sulla vita del poeta e sui suoi rapporti con Alfonso il Magnanimo. Auzias March dev'essere annoverato tra i numerosi poeti che celebrarono non solo i meriti di Re ma anche e sopratutto la purità dei costumi di Lucrezia d'Alagno. Nella poesia Mon bon senyor, puys que parlar en prosa si rivolge ad Alfonso per chiedergli un falco; gli dice che non già nella Spagna ma a Napoli troverà la donna perfetta che l'amerà d'un amore puramente intellettuale; e supplica pure questa donna, che ha conquistato interamente il cuore del Re, perché gli faccia ottenere il falco desiderato. Non senza ragione rivolgeva al Re la sua richiesta, perché come risulta da documenti che il Pagès promette di pubblicare fra breve, egli era stato suo gran falconiere. Dal 1426 dirigeva a Vatenza un ufficio reale di falconeria, addestrando falchi che mandava poscia a Napoli, il piú delle volte per Barcellona; e si direbbe, scrive il Pagès, a giudicare dalla lettera pubblicata dal Pijoan, che nel 1444 esercitasse ancora lo stesso ufficio.

*Stretti fra il desiderio di ragguagliare i nostri lettori di molte pubblicazioni importanti di quest'anno, e l'impossibilità, per mancanza di spazio, di darne adeguata notizia, ne diamo almeno sommaria indicazione, senza vietarci tuttavia di ritornare con più ampio discorso su taluna di esse. A. D'A.

e della sua indipendenza, si adoprò colla parola e cogli scritti perché l'Italia non fosse mancipio e appendice di Francia. Tutto ciò è illustrato largamente, e accuratamente dallo Sforza, e poco, e di poca utilità, potrà aggiungersi oltre quello ch'egli ha raccolto e coordinato. Aggiungasi a questo vol. il Discorso dello Sforza stesso, recitato in Fivizzano, e col titolo Labindo pubblicato nella Rass. Naz. del 16 ottobre, e da essa estratto (di pagg. 15 in 16.o), ove è tratteggiata efficacemente la vita civile del poeta.

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Il titolo, a prima vista un po'enigmatico, ma che è tolto da una caccia di Franco Sacchetti, serve a indicare una raccolta di scritti varj, in numero di diciassette, piú una breve Nota finale, dove è confinata la parte erudita. Tutti questi scritti sono essenzialmente l'ultimo resultato di ricerche e studj su argomenti diversi, i più dei quali alieni assai dai tempi e dal costume moderno, ma la forma è facile e senza ingombro di fastidiosa dottrina, che interrompa o turbi il discorso dell'autore e l'attenzione del leggitore; sono scritti, come suol dirsi, di divulgazione, dedicati ad una gentil signora, e accessibili ad ogni persona culta. Taluni, con piacevole esposizione, narrano leggende fantastiche dell'età media, altri illustrano episodj della vita di artisti e poeti gli ultimi due, sono dedicati, con affettuoso pensiero, l'uno ad Alessandro D'Ancona, maestro dell'autore, nella ricorrenza del suo giubileo universitario, e l'altro a Gaston Paris, il compianto maestro di quanti non in Francia soltanto si sono dedicati allo studio delle letterature romanze. La parola sempre perspicua e colorita dello scrittore è ravvivata ancor più dal corredo di appropriate illustrazioni assai bene scelte e ottimamente eseguite, in numero di quarantasei: monumenti, vedute di luoghi, riproduzioni da miniature, pitture e ritratti. Un volume insomma nel quale vanno amicamente d'accordo la sodezza della dottrina e l'amenità dell' esposizione, e che dovrebbe trovare lettori ed ammiratori. Se non che la ricolta, non può essere compiuta: altri scritti ommessi potevano entrarvi a buon dritto, e l'operosità del Novati è tale, che a questo volume potrà dare altri compagni e successori.

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GEMMA GIOVANNINI MAGONIO. nale.

Italiane benemerite del Risorgimento NazioMilano, Cogliati, 1905, di (pagg. XV-464, in 16.o).

Sono trenta biografie, e non spiacerà sapere quali sono: Eleonora Curlo Rufini, Massimina Fantastici Rosellini, Costanza Alfieri D'Azeglio, Virginia Menotti Pio, Bianca de' Simoni Rebizzo, Costanza Trotti Arconati, Amalia Sarteschi Caluni Carletti, Caterina Franceschi Ferrucci, Giuditta Ballerio Si

doli, Anna Zannini Tinelli, Adelaide Bono Cairoli, Cristina Trivulzio Belgiujoso, Isabella Rossi Gabardi, Gesualda Malenchini Pozzolini, Giuseppina Perlasca Bonizzoni Pedavilla, Luisa Amalia Paladini, Luigia Gritti Sani, Ismenia Sormani Castelli, Giulia Molino Colombini, Maria Teresa Serego Alighieri Gozzadini, Caterina Percoto, Laura Solera Mantegazza, Eleonora Rinuccini Corsini, Clara Carrara Spinelli Maffei, Rosa Martinelli Braccini, Laura Beatrice Oliva Mancini, Colomba Antonietti Ponzi, Emilia Toscanelli Peruzzi, Giannina Milli Cassone, Erminia Fuà Fusinato. Sono come si scorge da questa enumerazione, patrizie e popolane, scrittrici e cospiratrici, madri e spose, di varie regioni, ma tutte insieme unite del culto della patria e della libertà, tutte egualmente cooperatrici al risorgimento d'Italia, e per diverso modo benemerite. Va perciò lodata la signora G. M. dell'idea di raccoglierne le memorie ad esempio ed ammaestramento. Certo i tempi sono cambiati, e le donne mirano ad altro; ma non perciò deve meno esser glorificata l'opera loro in un memorando periodo storico. Né solo dell'idea va lodata l'autrice, ma generalimente anche, del modo come l' ha attuata. Forse però, scritte una dopo l'altra e poi raccolte in un volume, queste biografie avrebber bisogno di esser una ad una riviste con amorevoli cure, per toglierne certe uniformità, per condensarne lo stile, per correggerne certe improprietà di forma. Il libro, destinato secondo noi, a vivere durevolmente merita queste nuove materne carezze. Ogni biografia è accompagnata da ritratti delle protagoniste, ma ahime! forse perché tolti da cattivi originali, né sempre ben riprodotti, non aggiungono vero pregio al libro. Perché ad es. darci il ritratto della Belgiojoso vecchia, quando si poteva offrirlo nello splendore della gioventú e della bellezza? Certo non tutte queste donne dovettero alle virtú dell'animo e al valore dell' ingegno accompagnare la venustà delle forme, ma qui quasi tutte, salvo poche eccezioni, parrebbero prive d'ogni pregio esteriore. Anche l'iconografia dunque meriterebbe nuove cure. E dobbiamo notare come questo libro d'oro delle donne italiane possa esser riaperto a segnarvi i nomi d'altre insigni, specialmente native d'altre Provincie oltre le superiori e le mediane. Due sole d'oltre il Tronto: l'abruzzese Milli e la napoletana Oliva Mancini; ma ad es., poteva anche ricordarsi la Lucia de Thomasis, della quale scrissero il Ranieri, il Tommaseo e di recente il Santoro; né v' ha alcuna siciliana, e a buon dritto lo meritava la Turrisi Colonna, cui la patria fu somma ispiratrice al verso.

GIOVANNI PASCOLI.

Pensieri e Discorsi (MDCCCCXCV-MCMVI), Bologna, Zanichelli (pp. 414 in 16.o).

Sono, raccolti in bello e nitido volume, sedici scritti, di vario argomento, letterario e politico, tutti però compenetrati da un medesimo spirito, animati da uno stesso affetto; gettati tutti in una forma originale e scultoria. Un immenso amore dell'uomo, una intensa compassione della sua miseria, una calda ammirazione di tutto ciò che è grande, una serena amorevole visione del bene futuro, avvivano ognuno di questi scritti e conciliano allo scrittore

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