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troversie, ma pur utili a trattarsi e a risolversi, sono nelle Note toccate e definite e veggasi a pag. 438-40, quel che riguarda la nota questione sulle scritture che veramente spettano al Cavalca. Insomma, questa Storia di un periodo cosí importante della nostra letteratura si ripresenta innanzi agli studiosi rinnovata e migliorata in modo da doverne raccogliere il suffragio. E se continuerà il fervore degli studi trecentistici, fra un altro lustro, all' edificio ormai saldo e in ogni sua parte compiuto, non dovrà l'autore se non portare qualche lieve ritocco e aggiungere qualche fregio.

CRONACA.

.. Il prof. C. PASCAL, dopo aver largamente e utilmente mietuto nel campo delle letterature classiche, volge le sue ricerche in quello ispido e folto della Poesia latina medioevale, raccogliendo in un volume (Catania, Battiato, di pagg VIII-188 in 16° picc.) quattro scritti, che modestamente intitola Saggi e note critiche. Il primo studia le miscellanee poetiche di Il. deberto; il secondo, un epigramma del medio evo, Roma vetus, il terzo enumera i carmi medioevali attribuiti ad Ovidio, l'ultimo raccoglie appunti e testi su l'Antifemminismo medioevale. Ognuno vede che gli argomenti sono importanti insieme e curiosi; e l'autore li ha trattati con copia di informazioni e con drittura di criterio. Con molto acume nel primo saggio si scevera ciò che è autentico da ciò che è attribuito, la materia originale dalla plagiata; nel secondo s'investiga lo spirito che anima le memorie della grandezza di Roma antica; nel successivo, si toglie dal patrimonio poetico di Ovidio quello che vi appose l'ignoranza della critica propria all'età media; l'ultimo raccoglie quanto il misticismo dei padri e l'ineducazione dei volghi inventò e propalò contro le donne; e in ognuno di questi saggi separati si riferiscono testi antichi e varianti, e si indicano copiosamente le fonti speciali di ciascuna materia. Se non che queste indagini, così come ci vengono presentate, conservano forse un po' troppo la forma di appunti e note, qualmente gli uni e le altre furono presi prima di adoperarli come materia al discorso critico. Molti ragguagli che si trovano nel testo, ove interrompono il filo del leggere, starebbero meglio in nota; nè le parti sono sempre collegate fra loro in modo, che ciascuna sia separata e insieme congiunta in un tutto. Certo è difficile dare alla materia puramente erudita un aspetto attraente, ma si può renderne con qualche accorgimento, più piacevole, o almeno men grave la lettura.

.. Il prof. F. PATETTA, noto come dotto giurista, si dimostra non meno valente in storia civile e negli studj d'arte, con tre dissertazioni, delle quali brevemente daremo cenno. L'una tratta Di una tavola della R. Galleria Estense con rappresentazioni tolte dalla Leggenda di S. Giov. Boccadoro (Modena, Soc. tipogr., di pagg. 21 in 4.o, estr. dalle Memorie dell'Accademia di Modena): è una piccola scoperta sul soggetto di questa tavola, finora incerto, e che è reso evidente dalla riproduzione fotografica del dipinto stesso. L'a. parla dottamente della leggenda del Boccadoro, delle sue origini e forme, che furono già illustrate dal prof. D'Ancona, e delle figurazioni, che ebbe specialmente nell'incisione; ed espone acute considerazioni sulle versioni italiane della leggenda, e coglie nel vero opinando che il nome di Schirano, dato in un poemetto popolare al protagonista, altro non è che la conversione in nome proprio di un semplice aggettivo. L'altra Dissertazione tratta Di una Scultura e di due iscrizioni inedite nella facciata meridionale del Duomo di Modena (id. ibid. di pagg. 17, in 4.o); dove è importante la dimostrazione data dall'a. circa il significato della scultura, rappresentante un Veridicus, come lo definisce una delle iscrizioni, che strappa la lingua a una figura mostruosa, designata come la Frode: sicché può dirsi un Contrasto figurato, come se n'ha tanti in prosa o in poesia nella letteratura medievale, cominciando dalla Psychomachia di Prudenzio. La terza dissertazione contiene Note sopra alcune iscrizioni medievali nella regione modenese e sopra i Carmina Mutinensia (id. id. di pagg. 70 in 4.o), dove è per noi rilevante sopratutto ciò che è detto su quest'ultimo argomento, dacché a parer del dotto autore, il famoso canto O tu qui servas apparterrebbe ai soldati destinati alla difesa della fortezza di Verica, edificata al finire del IX secolo e non a quelli posti a guardia della mura di Modena: bensí è da ammettere che le aggiunte posteriori, ai tempi cioè delle discese degli Ungheri, mostrino colla menzione che si fa di S. Gemignano il trapasso di quel canto da un luogo all'altro, da Verica a Modena. In ognuno di questi scritti l'A. dà mostra di vasta dottrina e di acuta critica.

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.. Il generale UGO PEDRAZZOLI, nel suo nuovo scritto dantesco (La Scienza in quattro passi della D. C. Roma, Casa editr. 1906, pagg. 46, in 8.o), dopo aver difesa, contro un giudizio del Barbi, in un capitolo che intitola: Prefazione e Scherma e dettato invero, in qualche punto, piú con impeto di schermitore che con posata serenità di critico l'interpretazione da lui data, in un precedente opuscolo, ai primi versi del XV del "Purgatorio studia, in questa Terza ricreazione dantesca, altri quattro passi incerti della * Divina Commedia,, e precisamente: La similitudine delle colombe (Inf. c. V 82-84), il vento impetuoso e il messo celeste del IX, Inf. (67 sgg.), il freddo animale del IX, Purg. (5-6) e i quattro cerchi con tre croci del I, Parad. (v. 39). Il sig. Pedrazzoli respinge la lezione: “Con l'ali aperte e ferme, al dolce nido | Volan, giacché inappellabilmente, egli dice, quella diplomatica è l'altra: Con l'ali alzate e ferme, al dolce nido | Vegnon,; melte punto e virgola dopo l'aere,, come già il Muzzi ed il Giusti, e sostiene che le colombe non sono portate né dalle ali, né dal desiderio, né dalla volontà, bensí dalla naturale gravitazione, che le accelera come strali cadenti, (p. 23). Il volere poi è, per lui quello divino; gli amanti sono portati dalla prima

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volontà, cioè da Dio. Conclude, l'A., che in quanto alla deplorata, comecché non rara né importante pausa di mezzo il verso (col punto e virgola dopo aere,) egli pensa che convenga rimettersi in Dante e nel Giusti, che di versi s'intendevano un pochino, (p. 25). Ecco: ci pare che per poter concludere così, bisognerebbe che fosse dimostrato, proprio inappellabilmente, quello appunto che il sig. Pedrazzoli vuole dimostrare. - Nella seconda nota, l'A. tenta rimettere in onore la lezione porta i fiori, invece che porta fuori,, servendosi anche di un passo del Tesoro di Brunetto Latini. Da questo accostamento egli vuol dedurre che intenzione di Dante era di presentarci una di quelle furiose libecciate, che anche oggi, come allora, portano il tepido sereno, (p. 29). Francamente, ci sembra che qui l'autore lavori un po' di fantasia; e forse se ne accorge lui stesso quando ammette di non poter certo affermare che sia cosí, e per adattare all'azione la similitudine, cambia (il che è arbitrario) l'ordine delle parole (p. 29). Egli rivendica i diritti dell'estetica; ma l'estetica è una cosa molto delicata e di assai dubbio valore probativo; e vi può essere chi, per esempio, proprio anche per ragioni d'estetica, preferisca la lezione porta fuori,, che meglio armonizza col colore cupo, pauroso, violento quasi, non solo del verso ma di tutta la similitudine. Nel messo del cielo l'A. vede, col Fornaciari e col Federzoni lo stesso Gesú umanato. Due sole obiezioni, senza addentrarci, ché troppo ci vorrebbe, nella vexata quaestio: la prima che, trattandosi del Messia, troppo, troppo poche, per ogni ragione, sarebbero le dimostrazioni di reverenza suggerite da Virgilio a Dante (" e qui fe'segno | Ch'io stessi cheto ed inchinassi ad esso e Virgilio non si sarebbe mosso, benché pagano?); la seconda, che ci par difficile volesse qui il Poeta designare proprio Cristo col semplice appellativo di messo del cielo,. Ci per

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suade di più l'interpretazione del terzo passo. Nel freddo animale che con la coda percote la gente, l'autore sostiene esser da vedere la costellazione dei Pesci; ribatte, con buoni argomenti ci sembra, le obiezioni degli oppositori, spiegando la percossa dell'animale, oggetto di tanti dubbj e di tante discussioni, col freddo dell'inverno che sormonta la gente della quarta abitabile, solamente quando il sole si trova in Capricorno, Aquario e Pesci,. Piú precisamente, il Pesce, che segna la fine della stagione invernale (Marzo), percoterebbe la gente con la coda del verno (p. 38). — I famosi cerchi con tre croci sarebbero secondo l' A., che accompagna la sua dimostrazione con un disegno, il piano del parallelo, del circolo equinoziale, del circolo orario, del circolo solare, e la croce del circolo equinoziale con quello orario, dell'equinoziale ancora del solare, del circolo orario. La foce privilegiata, origine dei piani, si troverebbe sull' equatore del ciclo solare. È una soluzione ingegnosa certamente, ma che lascia sempre luogo a forti dubbj se, come il Pedrazzoli pel primo riconosce, bisogna, in conclusione, ridurre a tre i quattro cerchi di cui Dante espressamente parla (G. B,).

.. Il dotto padre G. BOFFITO nella sua Memoria, tratta dalle pubblicazioni dell' Accad. delle Scienze di Torino, ci offre un Saggio d'edizione critica e di commento dell' Epistola di Dante a Cangrande della Scala (di pagg. 39 in 4.0), rifacendo la storia delle controversie sulla sua autenticità, dandone un testo critico e illustrandola parte per parte. Non si può in un rapido

cenno di cronaca dar un giudizio su una questione, che da una parte e dall'altra, è confortata da nomi di valorosi campioni: possiamo dire soltanto, che questo lavoro del p. Boffito è un contributo di molto peso in siffatta questione, che allegrerà i sostenitori dell' apocrificità e darà da pensare a quelli dell'autenticità. Veramente il dotto autore non dice apertamente e solennemente qual'è la sua conclusione, ma essa appare chiaramente contraria. Utile corredo alla dissertazione è uno specchio dei passi dell' Epistola, che si trovano riprodotti negli antichi commenti di Guido da Pisa, del Lana, di Pietro di Dante, del Boccaccio e del Da Buti.

.. Ben venticinque edizioni si son fatte fino ai tempi nostri, della Vita di Dante scritta dal Boccaccio. Oggi possediamo, per le sagaci fatiche di GIUSEPPE GIGLI, la ventiseesima: Il trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio (Livorno, Giusti, di pp. XIV-135in 16.o). Precede il testo una breve ma succosa introduzione, nella quale è rifatta la storia dell'operetta boccaccesca e delle discussioni calorose che questa suscitò fra gli studiosi. Rispetto all'attribuzione della redazione del Trattatello, che va sotto il nome di Compendio, il Gigli esclude il nome del Boccaccio, giudicando definitive le conclusioni del Macrí-Leone. Ma egli non ricorda che il Rostagno s'industriò di dimostrare legittima l'attribuzione al Boccaccio con argomenti che anche di recente sono stati accolti dal Barbi (Prefaz. all' Ediz. crit. della Vita Nova, p. CLXXV) e dal Parodi (Marzocco, 8 dic. 1907). Vero è che il Barbi discorda dal Rostagno e dal Parodi in quanto crede la discussa redazione posteriore al Trattatello e rifacimento di esso. Il testo del Trattatello è accompagnato da un apparecchio diligente e dovizioso di annotazioni letterarie, storiche, filologiche, tutte assennate ed elette; è seguito, per opportuna agevolezza di ricerca, da un copioso indice delle parole e dei modi illustrati nelle note. Cosí questa nuova edizione dell'operetta boccaccesca potrà essere usata non pure dagli studenti delle scuole secondarie, ma anche utilmente, da quanti amino lo studio delle lettere, e da quanti di esso studio facciano lor professione.

.. Un imitatore di Dante nel settecento, del quale ci informa la dott. G. CENZATTI (Montebello vicentino, di pagg. 19 in 16.o) è un ignoto e dimenticato Bernardo Bucci, il cui poema la Vita umana in 109 canti in terzine non afferma ch'ei fosse nato poeta, e ben lo dimostrano i brani di esso qui riprodotti, ma che merita di esser ricordato nella storia letteraria di quel secolo, perché, con altri del tempo, infelice cultore dell'arte dantesca; onde si spiega la reazione del Bettinelli, che come quasi tutte le reazioni, andò oltre il segno. È merito della autrice di questa memoria l'aver scoperto quest'astro di minima grandezza. Del poema non è ad essa riuscito ritrovare se non tre canti iniziali e tre finali, dai quali si ricava che era diviso in tre parti, come la Commedia, e che la guida datasi dal povero imitatore era Dante stesso !

.. Il noto passo del Purg. XI, 137 u' ben s' impingna se non si vaneggia ha tentato anche il dott. P. CARLI a trovarne la soluzione (Pisa, Mariotti, pagg. 7 in 16.), che sarebbe questa, e ci par plausibile, riferita colle sue stesse parole: Vedrai, onde, da che parte, viene scemata per le scheggie che se ne traggono, la pianta: cioè, in che senso vien limitata, per la restrizione che

si soggiunge, l'affermazione generale: e vedrai che cosa significhi la correzione, che segue all'asserto u' ben s'impingua, nella frase u'ben s'impingua se non si vaneggia,.

.. Alla dimanda che molti si sono fatta circa La beatificazione di Roberto Guiscardo nel c. XVIII del Parad., risponde M. CATALANO TIRRITO in un opuscolo di cotesto titolo (Termini Imerese, pagg. 13 in 16.0); facendo notare come la gloria di campione della fede e conquistatore della Sicilia sui musulmani, per la quale sta con altri nel cielo di Marte, e spetta secondo la realtà storica al fratello conte Ruggero, sia unanimemente dagli scrittori, che Dante poteva consultare, a lui, immeritamente, attribuita ; sicché Dante altro non fece che seguire l'opinione tenuta per vera.

.. Un nuovo metodo interpretativo è esposto dal sig. G. PISANI nella dissertazione: L'ordinamento morale del Purgatorio dantesco per le sette stelle o virtù (Lucca, Baroni, di pagg. 19 in 18.°), che è frutto di molta e acuta meditazione sul secondo regno in genere, e su ogni sua parte. Ma per la novità della interpretazione generale e di quelle speciali si dovrebbe fare di quest'opuscolo un esame critico più ampio e analitico, che non possiamo far ora, ma che non ci vietiamo di compiere quandochessia.

.. Più volte ci è accaduto di dover umilmente affermare la nostra incompetenza rispetto a studj di astronomia dantesca; e lo faremo anche adesso e di nuovo, annunziando una recente pubblicazione del prof. G. RızZACASA D'ORSOGNA (Quattro studj d'astr. dant., Palermo, Vena, di pagg, 63 in 16.), contentandoci di indicare quali sono gli argomenti in essa trattati: Le sette stelle dell' altro polo La concubina di Titone Le giornate del mistico viaggio I quattro cerchi e le tre croci; e ognun vede come meritino l'attenzione dei dantisti in genere, e degli scienziati in particolare. .. Lo scritto del prof. F. P. LUISO, Le Chiose, di Dante e Benvenuto da Imola (estr. dal Giorn. dantesco, di pagg. 22 in 4.) è una nuova dimostrazione ch'egli vuol fare dell'anteriorità e autenticità delle "Chiose di Dante le quali fece il figliuolo con le sue mani,; se non che la dimostrazione non ci pare aver raggiunto tal grado di evidenza da provocare un generale assenso, e l'egregio dantista ha sentito il bisogno di una informazione suppletoria. Nella quale rispetto alle relazioni fra i due commenti sono senza dubbio additate cose notevoli, qual piú e qual meno probanti l'assunto: ma che, per es. per illustrare il paragone della Garisenda, due bolognesi di patria o di dimora, il Lana e Benvenuto, dovesser proprio ricorrere alle Chiose non ci par dimostrato, e certa somiglianza di parole può anche spiegarsi colla natura del fenomeno che dovea illustrarsi.

.. Colla sola lettera F., iniziale del cognome, si manifesta l'autore di uno studio su L'incontro di Dante con Beatrice sulla cima del Purgatorio (Sarzana, tip. lunense, di pagg. 102 in 16.o). L'A. muove dall'assunto che nel poema Beatrice sia rappresentata sempre nella sua duplice figura di donna e di simbolo, e di qui partendo, si dimanda qual sia la forma allegorica che essa riveste nel dialogo con Dante, là sulla vetta del sacro monte: e conclude che Beatrice bambina o giovinetta, rappresenta la religione insegnata ai bimbi e al popolo,, sicché la seconda età, ch'essa di sé ricorda, sia "lo stadio in cui la scienza divina abbandona le forme sensibili di cui deve

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