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Anche a me non pare improbabile che Guittone avesse conosciuto i trattati e i modelli epistolari de' dettatori; ma egli non frequentò l'università, fu autodidatta. Ciò spiega perché non di rado le sue poesie sentano alquanto di rinchiuso; e spiega perché la forma delle lettere, capricciosa, bizzarra, ma personale, differisca non poco da quella uniformemente artificiosa, pesantemente stereotipata de' dettatori. Ma giacché il P. ritiene che dei dettatori fu discepolo Guittone, avrebbe dovuto, se non erro, non rimanersene su le generali, istituire qualche confronto. Che poi la prosa di Guittone si riduca spesso « ad un accozzo disordinato e tumultuoso di vocaboli, posti alla rinfusa l' un dopo l'altro, senza alcun rispetto al loro significato, con aperta violazione non pure della chiarezza ma del senso comune », mi stupisco di sentirlo ripetere dal P. Che l'affermasse il Bartoli, uomo d'impressioni, al quale con rincrescimento lo dico, e con tutto il rispetto alla sua memoria - talora mancò la pazienza di sottoporre le impressioni al controllo delle letture metodiche e delle meditazioni severe, passi; ma che lo ripeta sul serio l'accurato autore di un'apposita, ampia, studiata monografia, non me ne so far capace. Si sa, queste lettere non sono il Novellino, richiedono un certo sforzo d'attenzione, e furono dal Bottari seminate di virgole, che materialmente rendono più difficile seguire il pensiero dell' autore; ma, con l'attenzione, quando si è presa un po' di familiarità con quella lingua, con quelle inversioni, con quell' abitudine di presentare sotto piú aspetti l'idea, servendosi d'una stessa parola e de' derivati, s'intendono perfettamente. I passi citati dall' Emiliani-Giudici e quelli citati dal Bartoli, se letti con questi accorgimenti, non presentano alcuna difficoltà. Il passo addotto come nuovo esempio dal P., non è incomprensibile per colpa di Guittone; ma del Bottari, che non lo seppe interpungere, e del P., che lo ha mutilato. Rileggiamolo intero nel testo, con piú sobria e piú accorta interpunzione.

Ricchezza crescere a misero malvagio uomo, è misera malvestà; onde, come piú grand' è, piú misero e piú malvagio. Siccome potenzia discovre e mostra malvagio e misero uomo, mostra e scovre valente.... Poi riccore, a valer, punge ed aita, e picciolezza iscusa uomo se non vale, e, s'el vale, pregial forte; adunque maggio onta e maggio male e meno onore ed amore (ha), quanto persona e podestà ha maggio. Perché, come 'l non saggio, di dispiacere e d'onta, sé difendere non puote già meglio, che per poi operare e poco dire e farsi tener savio tacendo; non può scampare meglio vil debil uomo e fello, che tener basso sé, ché poi non può operare, non pare lo suo

difetto, e pens' alcuno che 'l varria, se in poder fosse; onde in ciò fugge onta e pregio porta. Non dico già che picciolezza iscusi picciolo uomo, s'è malvagio o s'è non buono; ché buono fuggendo male, e amando e seguendo, u' può, valore, vuole Ragion ciascuno. 1

Non nega il P. che nelle Lettere « non si trovi qualche tratto superiore agli altri per nobiltà di sentimenti espressi»; ma non ne riferisce nessuno, e due ne ricorda solo come « eccezioni, che non valgono a smentire la regola ». Or io vorrei far vedere, almeno con un esempio, che quest'unica concessione dell' espressione chiara dà un'idea troppo ristretta e inadeguata della verità. Sceglierò un passo, che il P. reca altrove per non risparmiare a Guittone il rimprovero di appropriarsi talora «sebbene ra- i concetti altrui « senza citare la fonte, dalla quale li trae ». La fonte, in questo caso, è, secondo lui, Ovidio':

ramente »

Pronaque quum spectent animalia cetera terram,

Os homini sublime dedit; coelumque tueri
Iussit, et erectos ad sidera tollere vultus.

Giovi considerare come si appropriasse questo concetto un altro
aretino contemporaneo di Guittone, frate Ristoro; egli pure
pessima abitudine!
senza citare la fonte:

Cum ciò sia cosa che l'omo è più nobile de tutti li animali, degna cosa è ch'elli debbia entendare en piú nobili cose: ché noi vedemo li animali avere revolte le reni e le spalle enverso lo cielo, ch'è la più nobele cosa che noi vedemo, e 'l loro pecto e 'l loro capo pondoroso piegato giú a terra, quasi a domandare lo pasto; e l'omo, encontra tutti li altri animali è ritto su alto, e la sedia de l'anima intellectiva fo su alto en la parte de sopra delongata da la terra e apressata al cielo lo più che potesse essere, a respecto del suo corpo; e l'anima entellettiva seddé (sedette) en la parte de sopra, a ciò ch'ella entendesse le parti del mondo, e specialmente le parti de sopra più nobili, come la mirabele sustantia del cielo, perch'elli è, co' elli è facto e li suoi movimenti e le sue operazioni.

Chiarissimo, ma lento, pedestre, prolisso, e- perché dà principio all'introduzione d'un trattato di astronomia ha il difetto di attribuire a cielo il solo senso materiale. Sentiamo Guittone:

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Addirizzatevi al cielo, e sguardate il rinvercio di casa vostra, e nel rinvercio il dritto considerate, non piú stando animale senza ragione; ché Dio fece la bestia chinata inver la terra, e gli occhi e la bocca tenendo in essa sempre; e solo d'essa conoscere l'ammaestrò, mostrando che sopra d'essa non ha che fare. Ma l'uomo fece ritto, la testa, la bocca, gli occhi tenendo al cielo, dandogli intendimento che la sua eredità era lassú, accioché 'n essa dovesse tenere lo cuore e procacciar l'avvenire. È uomo disconoscente e miserissimo tanto, che pur far vuole sè bestia, e con essa la terra partecipare, non calendoli del cielo; che se il corpo gli è fatto ritto, ingobbisce lo spirito e l'intelletto, e tutto il suo pensieri in terra affoga!

Non è meno chiaro, ma tutt'altro che pedestre, tutt'altro che prolisso; sviscera il concetto, e con applicazione nuova, gli conferisce nuovo vigore.

IX. Come diversi rivi, da diverse parti, in un lago; cosí, mezzo il secolo XIII, confluiscono nella cultura della borghesia toscana, dalla scuola, che noi chiameremmo secondaria, la cognizione delle sette arti e de'classici latini; dalla Chiesa quella della Bibbia e de' Padri; dall' Università, direttamente o indirettamente, quella di Aristotile e dell'arte di dettare, dalla corte regia del Mezzogiorno, dai castelli feudali, da' palazzi de' magnati, dalle dimore de' podestà quella della lirica amorosa provenzale e de' romanzi francesi, dalle piazze, quella de' repertorj giullareschi e de' canti religiosi popolari. Di questa cultura varia e ricca, dalla quale sta per sorgere, già sorge la letteratura propriamente toscana e italiana, primo compiuto rappresentante è Guittone. Invece, non dico di essergli grato, ma di riconoscere in lui questo carattere, il P. gli fa i conti addosso, e si figura d'abbassarlo e d'impiccolirlo mostrando negli scritti di lui, « accanto agli influssi della lirica provenzale, quelli di qualche autore pagano, dei libri sacri e dei teologi medievali ». Ma l'effetto mal risponde all'intenzione, perché, se consideriamo le cose piú serenamente, con piú larghi criterj storici e letterarj, da questo stesso libro Guittone ci appare, per la sua multiforme dottrina, e per l'uso, che ne fa, il vero precursore di Dante. Dimostrare « come nemmeno nelle rime religiose e morali, nemmeno nelle lettere, tutte ricolme di fervido ascetismo, egli sapesse rinunziare alle predilette forme provenzali»; che gli scrittori classici latini gli fornirono citazioni varie, e che « da quelli biblici e da quelli sacri medievali e specialmente da S. Agostino, egli tolse il contenuto sostanziale dei suoi scritti dell'età matura, il vero nòcciolo della sua filosofia cristiana», non è creda pure il P. raccogliere nuovi motivi per piú severa sentenza; ma semplicemente precisare un poco piú i contorni della figura dell'aretino e lumeggiarla meglio.

Guittone, egli avverte, tolse dalla poesia occitanica il plazer e l'enueg. Che c'è di strano? Egli stesso ricorda che questi erano due fra i generi occitanici più noti ». Il Gaspary aveva bene veduto che, ne' piaceri di Guittone, « rimase solo la forma esterna del genere preferito; lo spirito, che vi esprime, è tutto diverso >: - egli sostiene che, tra gli uni e gli altri, sono anche affinità e somiglianze non trascurabili, di contenuto; ma è costretto a finire col riconoscere che Guittone « sostituisce il piú severo contenuto morale agli scherzi e alle frivolezze dei trovatori ». Dunque!... Se Guittone avesse conosciuto il plazer del Pateg, e di lí avesse preso qualche cosina, che ci sarebbe stato di male? Certo il liber de taediis del notaro cremonese ebbe larga diffusione, fu imitato nel secolo XIII da Salimbene, nel XIV dal fiorentino Autonio Pucci; certo, intorno al 1260, altre composizioni dell'Italia settentrionale, per esempio quelle di U. da Lodi, penetrarono in Toscana: se Guittone avesse adoperato il plazer del Pateg, ci si rivelerebbe come l'antesignano di quel gran movimento intellettuale, per cui la Toscana divenne piú tardi il crogiuolo, nel quale si fusero e purificarono gl'informi prodotti letterari delle altre parti d'Italia. Ma i due o tre riscontri trovati dal P. non mi paiono convincenti. Quanto al planh per la morte di ser Giacomo da Leona, egli non indica alcun modello determinato, ed io ritengo che al buon Guittone non fu suggerita l'idea di comporlo se non dalla perdita dell'amico bono e grande manto». Mentre i pianti provenzali e italiani sogliono, con l'elogio del defunto, mescolare i rimproveri alla morte e l'augurio che all'anima benedetta si aprano le porte del cielo, Guittone non nomina affatto la morte, non accenna punto al cielo; si trattiene per due strofe a svolgere il concetto che la vera nobiltà consiste nella virtú, per turar la bocca a chi gli rammentasse l'umile nascita di ser Giacomo. Sono novità degne d'attenzione; né possiamo, perciò, assegnare con certezza questo componimento al tempo, in cui tutt'i pensieri dell'autore parlavano dell'altra vita e di Dio. Al P. sembra probabile che Guittone « abbia tolto dal diffusissimo ensenhumen d'Arnaut (de Mareuil) oltre qualche concetto, anche l'idea generale delle sua canzone» su l'onore. E perché non dall'Ensenhumen d'onor di Sordello? Ma i concetti raccolti nella non lunga canzone erano, da un secolo e piú,

1 Il fiero canto guerresco di B. di Born Bem platz, che il P., seguendo il Gaspary, attribuisce a G. de Saint Gregori, fu imitato da Percivalle Doria nel 1258 o poco dopo.

2 Si confrontino i primi e gli ultimi versi della canzone, che alla mente del P. hanno richiamato due passi di Arnaut, con i versi 13-18, 39-52 di Sordel lo.

patrimonio comune della classe sociale piú alta, cosí di là come di qua dalle Alpi; e già era venuta ad offrir loro una solida base filosofica l'Etica di Aristotile.' Gli accenni di Guittone alla passione di Gesú, alla Vergine, alla malvagità del secolo, alle virtú, ai vizj, hanno riscontro nella poesia provenzale; ma quando il P. pretende che da questa traggano l'origine, vuol dimenticare l'osservazione fatta proprio da lui, che i Provenzali attingevano agl' inni latini e ai libri sacri. Or non lesse Guittone, che sapeva di latino, quegl' inni e que' libri? C'è di piú: le sue poesie religiose, le invocazioni e le lodi della Vergine, le lodi di S. Francesco d'Assisi ecc. furono precedute in Toscana, in Arezzo, dalle laude composte per il popolo e dal popolo cantate; aretino o quasi era Garzo, il piú antico autore di laude. I metri di Garzo e, in genere, delle laude, son quelli delle ballate; ballate d'argomento religioso compose Guittone, nelle quali la maggiore semplicità del tono e vivezza dell' espressione mi paiono buoni indizj dell'influsso delle laude popolari. Anche questo vanto gli spetta, di aver dato ai poeti della scuola fiorentina l'esempio << d'improntare del proprio suggello la materia, che il popolo loro offriva innanzi nella sua schietta ingenuità e senza ornamenti fittizj ».3

Nella ricerca delle fonti classiche e medievali della produzione religiosa e morale di Guittone », il P., seguendo il suo costume, s'è fermato alle somiglianze, che, spesso sono apparenti, non reali. A suo parere, Guittone, se chiama malizioso, sleale, ingannatore il secolo, lo fa « con frase prettamente provenzale »; quasi che allora non fosse, e prima non fosse stato comunissima tra gli scrittori ecclesiastici, a cominciare da Tertulliano. Se raccomanda a un amico:

.... se grano aver t'è piacente,

mira ben se gran sementi o chee:

e se sementi gioglio com' nescente,

e gran ricoglier credi, ahi che van see;

ripete un concetto e un'imagine di P. Cardinal. Ma questi, a dire il vero, si restringe ad accennare: Chi vuole la salute e

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Cfr. Etica, I, 5; S. TOMMASO, Somma teologica, II-II, 103; LATINI, Tesoro, II, I, 41; COLONNA, Reggim. de' Principi, I, II, 24.

2 Credo autore delle Lande, de'Proverbj in rima e della S. Cate, ina d'Alessandria Garzo dell'Ancisa, il bisnonno del Petrarca, vissuto 104 anni, morto verso il 1280.

3 D'ANCONA, La poesia popolare italiana; Livorno, Giusti, p. 36.

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