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terna, deve prima seminarla, « car qui vol cuillir avena, Primieiramen la semena »; Guittone rivolge ad un « om de Bologna » entrato da poco nel campo (della poesia ?) per seminarvi, la raccomandazione di badar bene a non prendere la sementa buona per la cattiva. È sentenza antica che, di due mali, bisogna scegliere il minore o, come scrive il rimatore, « de doi mal sempre al minor tenere »; da essa naturalmente, logicamente, scaturisce il corollario che, di due beni, si deve chiedere il maggiore: ma no, Guittone non poteva far da sé questo semplicissimo ragionamento; ebbe bisogno di andare a scuola dal solito Arnaut, il quale, a farlo a posta, tocca della scelta tra il male e il bene in genere, non tra due mali o due beni. I primi otto versi del sonetto Pare che voglia dicere « non sono che la traduzione un po' libera > d'un passo d' Aristotile: sia pure, 1 ma la nozione scientifica contenuta nel passo è fatta servire a dar rilievo a un concetto religioso. Se tutta la lettera XXXIX è « una manifesta e confessata imitazione di Boezio, è imitazione molto libera, con aggiunte notevoli. Perché tacerlo? In un altro sonetto Guittone dice che Dio fece buone tutte le creature

e om megliore;

ma fel di sé signore,

ché servo animal tal convenia nente;

E non male ni ben merteria fiore

non fusse 'n su valore,

e, non mertando, aver, fora non gente.

Per il P. la fonte di questi versi è senza dubbio da ricercare in un passo di S. Agostino. E perché non piuttosto in uno di Boezio?? Ma chi sa quanti, dopo S. Agostino e Boezio, avevano ripetuto questa teoria, entrata nel corpo delle dottrine della Chiesa! Cosí,

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1 Si tratta del vapore, che la virtú del sole leva in alto, e che il freddo converte in acqua. Al P. "non pare azzardato supporre che dei versi di Guittone si ricordasse l'Alighieri, nel V del Purgatorio e nella canz. Amor tu vedi. Ma Dante aveva letto Aristotile e Alberto Magno e il Tesoro di ser Brune to; secondo il Moore, aveva anche letto Ristoro, che scrisse come Guittone: levando lo sole li vapori in alto e: convertesi in acqua e piove „. 2 Frustra enim bonis malisque praemia poenaeve proponuntur que nullus meruit liber ac voluntarius motus animorum. Idque omnium videbitur iniquissimum quod nunc aequissimum iudicatur vel puniri improbos vel remunerari probos quod ad alterutrum non propria mittit voluntas, Philos. Consol. V, 2. Di qui si vede chiaro che essere in suo valore significa esser padrone di sé, libero, e che il P. non parafrasa bene: "se non consistesse nella sua virlú l'averli„. L'affinità poi, che egli vede tra gl'inconditi versi del frate aretino e il c. XVI del Purgatorio, si spiega al modo stesso dell'affinità tra que' versi e il passo di S. Agostino.

secondo il nostro interprete, quando Guittone, discorrendo del « vero amore », esclama:

Ah! che dolce piacere

seria nel mondo, Amor dolce, da poi

tu ben fussi tra noi:

no già valle di pianto,

ma di gioia e di canto

e Paradiso il secol sembreria;

traduce o interpreta le parole di S. Agostino: stans in terra, in coelo es, si diligas Deum. Sennonché il santo allude all'amore dell'uomo per Dio, che solleva l'uomo dalla terra al cielo con la mente; il frate intende che se l'amore, la carità, che regna in cielo, discendesse su la terra, questa sarebbe un Paradiso. Non vi può esser dubbio, perché nel primo commiato Guittone prega il << bono amore » di andare a Pisa a legare i cuori di Guido Boccio e di Guido frate, con i quali egli vorrebbe esser terzo; nel secondo, esprime il desiderio d'esser « congiunto in tanto amore > con i conti Bandino e Gualtieri.

Finisco. Il P. non mi ha convertito a stimare fra Guittone meno che non facessi quindici anni addietro; anzi mi ha offerto l'occasione di mostrare come, per studj posteriori, la mia stima si sia accresciuta e rinsaldata. Di ciò lo ringrazio. Sono poi lieto d'essermi imbattuto in un cosí valente e cortese avversario; e, pensando che questo suo libro non è se non la sua tesi di laurea, non trovo lodi, che mi paiano sufficienti, per il suo ingegno, per le sue felici attitudini e per la scuola, dalla quale è uscito.

FRANCESCO TORRACA.

CARLO LAGOMAGGIORE.

L'« Istoria viniziana » di M. Pietro Bembo. Saggio critico con Appendice di documenti inediti, Venezia, Tip. Visentini, 1905 (estr. dal N. Archivio Veneto, N. S., t. VIII-IX), 8°, pp. 232.

Negli otto capitoli che formano questo volume, l'A., dopo accennato, con brevità soverchia, lo svolgimento della storiografia officiale in Venezia, prima del Bembo, illustra le vicende esterne della Historia bembesca, cosí nel testo latino originario, come nel volgarizzamento, dovuto indubbiamente allo stesso umanista veneziano; tocca della materia di essa, ne esamina il valore letterario, le fonti, principalissima, i Diari di Marin Sanudo, e il valore storico, concludendo con alcuni ragguagli sulla sorte del testo. L'Appendice finale reca alcuni documenti, la piú parte inediti e tutti notevoli, primo di essi, il decreto del 30 gennaio del 1515. Con questo il Consiglio dei Dieci eleggeva storiografo officiale Andrea Navagero, intorno alla cui Storia veneziana il S. annuncia una monografia della dott. signorina Maria Fanoli, che ebbe la buona ventura di rintracciarne la parte superstite in un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana.

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Questo lavoro di un giovine egregio giunge assai opportuno, oggi che gli studiosi hanno salutato da poco compiuta gloriosamente la pubblicazione dei Diarj sanudiani; e tanto piú esso merita incoraggiamento e lode, dacché l'A., lungi dal pretendere di avere esaurito il suo tema, presenta modestamente il volume come « un tenue contributo », come un saggio di studio critico dell'opera storica del Bembo ».

Ora, appunto per ciò, e perché niun altro è meglio di lui preparato a darci il lavoro definitivo in questa materia, stimo utile e insieme doveroso il fargli quelle schiette osservazioni e il suggerirgli quelle aggiunte che potranno spianargli il cammino per giungere piú sicuramente alla mèta.

In generale, il S. è riuscito a fare opera alquanto « tendenziosa », certo senza accorgersene, aggravando, oltre i termini dell'equità, i giudizj tradizionali che si davano della Historia bembesca, e considerata in se medesima, come documento letterario e come documento storico, e in attinenza alle sue fonti. Nuove e piú larghe indagini, una piú obbiettiva considerazione delle fonti stesse, nonchè della produzione storiografica, di carattere umanistico, immediatamente anteriore e contemporanea al Bembo, nonché delle condizioni e delle ragioni nelle quali e per le quali sorse la Historia del cardinale veneziano, permetteranno, io credo,

al valente studioso di corroborare, modificandoli, i proprj giudizj, e d'arrivare a conclusioni piú soddisfacenti.

Alle fonti da lui additate e in parte illustrate gli gioverà, ad esempio, aggiungerne una tutt'altro che trascurabile, della quale poteva trarre indizio sicuro dallo stesso epistolario a stampa del suo storiografo, voglio dire le famose Lettere storiche di Luigi da Porto, vicentino, col quale e con la cui famiglia il Bembo era legato da affettuosa amicizia. Della morte precoce del suo amico dilettissimo, avvenuta nel maggio del '29, il letterato veneziano era rimasto profondamente afflitto, come appare da un suo sonetto e, piú ancora, da una lettera sua, scritta al fratello del defunto, Bernardino. Circa due anni più tardi, e precisamente il 18 febbraio del '31, egli cosí scriveva al fratello superstite: «Non scrissi per M. Agostino Angiolello a V. S. pre<< gandovi foste contento mandarmi per lui i libri del buon M. Luigi vostro fratello, estimando voi doveste a lui credere. Ora << che credo che non gli avete voluto dar fede, vi spiego assai << assai, vi piaccia mandarmi i detti libri per lui, a'quali averò << quella cura, che all' amore, che io ho al suo autore portato, << si ricerca. E renderovvegli ad ogni piacer vostro. Né essi tut« tavia in questo mezzo perderanno nelle mie mani ».1 Non bisogna dimenticare che, allorquando scriveva questa lettera, il Bembo erasi accinto da poco, con grande zelo, a scrivere la sua Historia, o, per essere esatti, a raccogliere i materiali onde comporla. Orbene; quantunque a Giacomo Milan le cui Notizie intorno alla vita e agli scritti di Luigi da Porto furono dal Bressan pubblicate in testa all'edizione lemonnieriana delle Lettere storiche sia sfuggita l'importanza dell'accenno contenuto nella lettera testé citata, possiamo esser certi che i libri del Da Porto richiesti con tanto calore dal Bembo erano appunto le Lettere storiche, riguardanti in massima parte, com'è noto, la guerra cambraica, una delle quali, la 59, la più interessante di tutte dal lato autobiografico, l'autore aveva immaginato di indirizzarla all'amico Pietro Bembo, in data del 15 luglio 1511.

Non solo; ma possiamo affermare che lo storiografo ottenne in prestito le Lettere desiderate fonte storica della più alta importanza e se ne serví con tutto suo agio per la compo

2

1 Lettere di m. P. Bembo, ed. de' Classici ital. vol III, lib. VI, n. 27.

2 Il primo a intuire l'eccezionale valore storico di queste Lettere fu il Tommaseo, le cui acute osservazioni ebbero piena conferma dalle indagini più recenti. Basti dire che il compianto MORSOLIN ebbe a intitolare alcune sue notevoli comunicazioni documentate sul suo concittadino del Cinquecento, Luigi da Porto storico della Lega di Cambrai ecc. (în Archivio Veneto, N.S., t. XXXVIII, 1889, pp. 97 sgg.). Vedasi anche il saggio del BROGNOLIGO negli Studj di storia letter., Roma-Milano, Soc. ed. D. A., 1904, p. 108, il quale giustamente osserva che l'importanza delle Lettere è assai diminuita dopo la pubblicazione dei Diari sanudiani.

sizione della Historia, in parecchi passi della quale risplende la bella figura cavalleresca del valoroso vicentino.

La prova di tutto ciò si desume da una lettera che il Bembo, già cardinale, scriveva da Roma, l'8 luglio del '40, al suo Cola Bruno allora in Padova. In essa è il passo seguente, che ha una singolare importanza per l'indagine nostra, nonchè pel giudizio in esso contenuto delle Lettere storiche del Da Porto: <.... Quanto < all'amico (M. Bernardino da Porto), che richiede quei libri, << scrivetegli, che io non presi i libri di suo fratello meno < per emendargli in quanto alla lingua e adornargli, che perché io m'avessi a valer di loro per le mie istorie. « È vero, che per ancora non ho avuto tempo di satisfare a que<< sto mio pensiero, essendo stato e tuttavia essendo nelle occu<pazioni, che io sono; ma poi che esso gli vuole, che molto vo< lentieri glieli rimanderò per lo primo fidato messo, che in là < venga. Ed averò cura che vengano bene, e sicuri. Esso ne farà < poi quello che gli piacerà di farne. Tuttavia dicetegli, che io < gli fo intendere, che essi hanno grandissimo bisogno d'uno a<< morevole occhio, che gli vegga; perciocché mandati fuora nella << maniera nella quale stanno, sono per dargli poco onore. Io « l'amai vivo, ed amolo e sempre amerò ancora morto. Salutatelo <a nome mio....». 1

Lasciando i commenti che questa lettera potrebbe suggerire, e la ricerca che essa, nonostante le dichiarazioni del Bembo, suggerisce circa l'uso da lui fatto di quei libri, rileverò un'altra notizia riguardante la storia esterna dell'opera bembiana. L'A. a un certo punto (p. 38), citati alcuni accenni alla composizione di essa, durante il 1531, avverte che mancano altri sicuri indizj cronologici a questo riguardo, ma crede di potere arguire che il Bembo dovesse procedere nella narrazione con « maggiore dif<<ficoltà e quindi con minore speditezza, fino all'ottobre di quel<< l'anno, e assai piú lestamente da quel mese in poi avendo po« tuto allora cominciare a giovarsi delle cronache del Sanedo ». Nell'epistolario a stampa dell'umanista veneziano c'è una lettera del 26 dicembre '31, scritta da Padova al Generale di S. Agostino, nella quale, fra l'altro, si legge: « ... Ho fornito il primo << libro della mia Istoria, alla quale tuttavia non ho posto mano << se non da pochi giorni in qua, che tutto questo tempo ho speso << in raccogliere le cose che da scrivere ho ». Come si vede, la congettura dell' A. riceve una bella conferma da questo documento.

1 Lettere, ed. vol. cit. lib. XI, n. 24.

2 Lettere, ed. cit. vol. I, lib. XII, n. 14.

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