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possa averne uno segnalato nella storia delle vicende politiche d'Italia. Ma nella storia della cultura italiana del Rinascimento è personaggio importante per le sue opere, gremite di peregrina erudizione, per le sue lettere nelle quali appare acuto osservatore della realtà e abile negoziatore politico, per le sue relazioni colle maggiori corti dell'alta Italia; personaggio adunque ben degno della buona monografia che gli ha consacrato il Santoro. VITTORIO Rossi.

JULES MARSAN. La pastorale dramatique en France, à la fin du XVI et au commencement du XVIIe siècle, Paris, Hachette, 1905; in 8" p.p. XII-524.

Questo libro è un importante contributo alla storia di ciò che la Francia del decimosesto e decimosettimo secolo deve all'Italia. Nei due primi capitoli dell'opera sua il Marsan ricorda la storia della pastorale nella nostra letteratura valendosi di tutto quello che si è scritto intorno a questo argomento, e singolarmente delle Origini del D'Ancona. Dopo di avere accennato agli elementi classici, che formano per cosí dire lo scheletro della pastorale e dopo di avere mostrato come questi elementi di carattere lirico acquistarono caratteri drammatici sotto il doppio influsso del teatro e del romanzo, il Marsan osserva che la pastorale drammatica trionfa col Tasso e degenera già alquanto col Guarini. Quando poi gli elementi drammatici si svilupparono sempre piú, il carattere primitivo del genere venne alterato a tal segno che, stretta fra la tragedia e la commedia, la pastorale fece posto alla tragi-commedia, che ne conserva ancora qualche lieve ricordo. Ed è pure nella pastorale drammatica che bisogna ricercare la prima origine dell' Opera musicale.

L' Aminta, il Pastor fido e la Filli di Sciro sono per il Marsan i rappresentanti piú spiccati della pastorale drammatica italiana e spiegano bene di quale natura sia stato l'influsso esercitato dalla pastorale italiana sulla francese. L'autore esamina il meccanismo drammatico di queste pastorali e la loro importanza per la storia del genere. Due ritratti morali del Tasso e del Guarini ci fanno capire le profonde modificazioni che, in cosí breve spazio di tempo, subisce la nostra pastorale drammatica.

La storia della pastorale in Ispagna occupa il terzo ed il

quarto capitolo dello studio del Marsan. Egli osserva che l'Egloga drammatica spagnuola cosí fresca ed originale con Juan del Encina e Lucas Fernández non si sviluppa piú dopo di loro. L'autore crede che bisogni andare a cercare la ragione di questo fenomeno negli usi teatrali spagnuoli, nel fatto che il teatro spagnuolo da Lope di Rueda e da Gil Vicente in poi fu sempre essenzialmente popolare, mentre invece la pastorale drammatica si rivolge ad un pubblico aristocratico.

A me pare invece che la pastorale drammatica non si sia sviluppata spontaneamente in Ispagna perché non rispondeva all'indole dell'ingegno spagnuolo, che richiede in tutte le manifestazioni artistiche anzi tutto il realismo. E precisamente questo realismo, o verismo per dir meglio, non è compatibile col genere della pastorale drammatica.

Quando la Spagna conobbe la pastorale italiana direttamente, ed indirettamente per mezzo della Diana enamorada vi fu un periodo d'imitazione sincera. Ma questi imitatori spagnuoli, che pure si chiamavano Cervantes, Lope e Tirso, non riuscirono a capire quale era il fascino della pastorale drammatica italiana, e le loro pastorali sono subito o delle tragi-commedie o dei lavori d'indole burlesca e satirica.

Se la fortuna della pastorale drammatica fu insignificante in Ispagna, grande fu invece quella del romanzo pastorale. Basti ricordare la Diana del Montemayor. Il Marsan ne studia l'influsso profondo sul romanzo spagnuolo e sopratutto sull' Astrea. E giusta è l'osservazione intorno all'invasione dello spirito romanzesco nella pastorale spagnuola, invasione rapidissima e che modificò il carattere intimo e profondo della pastorale, cioè l'analisi dei sentimenti amorosi. L'autore indica con precisione la parte che spetta al vecchio romanzo cavalleresco in questa trasformazione.

Nel suo quinto capitolo il Marsan torna a parlare dell'influsso antico, dell'italianismo e dell'ispanismo nel secolo decimo sesto, occupandosi piú a lungo delle traduzioni francesi dell' Arcadia, dell' Aminta, di altre opere di minore importanza e delle versioni della Diana. Finalmente l'autore parla anche dell' Astrea e della sua grande efficacia.

La storia della formazione della pastorale francese occupa il sesto capitolo. Il settimo poi è dedicato ai grandi influssi francesi, ad Alessandro Hardy ed al D'Urfé. Il capitolo intitolato : Du premier livre de « l'Astrée » aux « Bergeries » de Racan ci mostra come a poco a poco la pastorale diventi puramente francese acquistando caratteri nazionali ed individuali.

Nei due ultimi capitoli del suo libro il Marsan ci spiega come la pastorale drammatica francese, che trionfa fra il 1624 ed il 1631, esercitò un non dispregevole influsso sulla commedia e sulla tragedia del teatro classico. In Francia come in Italia, e nello stesso modo, la pastorale drammatica dette origine alla tragi-commedia ed all'Opera.

Nonostante l'abbondante materiale elaborato dal Marsan nel suo libro, egli aggiunge ancora all'opera sua varie appendici curiose e pregevoli. In un' estesa nota che riguarda l' Astrea, l'autore ci presenta un indice di quel famoso romanzo, enumerandone metodicamente gli episodj e gl'intrighi. Quelle pagine sono utilissime. Esse permettono a tutti di orientarsi facilmente nell'opera un po' confusa del d'Urfé.

Un'altra nota ci permette di comparare fra di loro la Sylvanire del d'Urfé, quella del Mairet e l'episodio della quarta parte dell' Astrea, del quale appunto Sylvanire è la protagonista.

Quindici riproduzioni di titoli e di illustrazioni aiutano il lettore a capire quello che dovevano essere le rappresentazioni pastorali.

Troviamo poi la bibliografia di ogni singolo capitolo del libro, bibliografia ove sono indicate soltanto le opere piú importanti. Una lista delle traduzioni francesi di opere italiane che interessano la storia della pastorale drammatica, un'altra lista delle traduzioni francesi di opere spagnuole ed un elenco delle pastorali drammatiche francesi completano la ricca documentazione del libro.

Questa sommaria indicazione di ciò che contiene l'opera del Marsan basterà a far capire quale ne sia l'importanza per la storia della letteratura francese. Forse potrebbesi rimproverare all'autore di essere stato talvolta un poco prolisso. Ma tale quale è, l'opera del Marsan merita di essere studiata con gratitudine da tutti coloro che sanno quanto siano faticose le ricerche di questo genere. La storia della pastorale drammatica in Francia è ormai fatta e fatta bene.

MARIO SCHIFF.

LUIGI FASSÒ.

Giambattista Bazzoni (1803-1850), Contributo alla storia del romanzo storico italiano, con lettere e documenti inediti, Città di Castello, Lapi, 1906 (8 gr. pp. 232).

G. B. Bazzoni non potrebbe certamente dolersi di poca fortuna presso i contemporanei e presso i posteri: quelli l'hanno lodato e gustato tanto da anteporlo, qualche volta, persino al Manzoni; questi di lui hanno raccolto le reliquie e rinfrescata la memoria con notevole premura ed anche di solito - con molta benevolenza. Del Bazzoni, mentre fu vivo e poi che fu morto, s'è scritto ormai parecchio; e non so davvero eccettuati i massimi quanti siano gli scrittori dell' ottocento (che n'ebbe pur tanti, anche fra i meno rinomati, intrinsecamente migliori e maggiori del Bazzoni) a cui sia toccata la ventura di porgere materia ad uno studio cosí accurato e cosí ampio come quello offertoci dal dott. Fassò. Pregevole come contributo alla storia generale del nostro romanzo storico, nutrito di vasta dottrina speciale acquistata dall' A. con le diligenti ricerche e le molte letture, che ci lasciano da lui sperare quella compiuta e precisa storia del romanzo storico italiano, alla quale s'è già fortemente preparato, il lavoro del F. è esauriente come saggio monografico; ed ormai per discorrere e giudicare del Bazzoni non sarà quasi più necessario di rintracciarne l'opere e d'affrontare la non lieve fatica di leggerle: l'amplissimo esame fattone dal F. e i copiosi saggi che egli ne reca bastano a farsene un chiaro concetto, anche indipendentemente dai giudizj ch'egli su di esse esprime.

Discorrendone con tanta ampiezza, il F. non si è proposto di ingrandire il suo autore, e ha procurato di non lasciarsi « sorprendere da quella classica malattia, che conduce ogni critico novellino a far la più calda apologia del personaggio di cui si occupa (p. 51, n. 2); anzi fin dalle prime linee volle presentarcelo come scrittore mediocre in tutto il senso della parola » (p. 7); benché altrove conceda che sia arrivato un pochino al di là del mediocre » (p. 39) e s'ingegni poi in piú luoghi ad attenuare la severità (secondo me non ingiusta) della prima sommaria sentenza da lui profferita.

Effettivamente, come vedremo meglio in seguito, l'importanza del Bazzoni non dipende dal valore della sua arte, ma dal posto

che gli compete nella storia del genere a cui piú specialmente si volse. Io credo che il F. abbia piena ragione di rivendicargli il primato cronologico tra i nostri cultori del romanzo storico (pp. 120 segg), perchè è bensí vero che Cesare Balbo dal '16 in poi disegnò diversi romanzi di tal genere, rimasti incompiuti, e che il Manzoni s'accinse ai Promessi Sposi fin dal '21; è vero che la Storia di Clarice Visconti di Giovanni Agrati uscí nel '17; che la Diodata Saluzzo incominciò a pubblicare fin dal '16 qualcuna delle sue novelle storiche e nel '19 dié fuori quella che piú s'accosta forse ai modi e alle forme del romanzo storico vero e proprio (Il Castello di Binasco); che il romanzo storico di David Bertolotti, La calata degli Ungheri, è del '22; che un altro sedicente romanzo storico anonimo (Emilia) usciva a Pavia nel '23, e che fino dal '25 Defendente Sacchi aveva pronti per la stampa (cosí egli assicura) I Lambertazzi e i Geremei, lasciati passare dalla censura austriaca poi solo nel '30; è vero, se si vuole anche, che erano già usciti altri romanzi parecchi, come Le ultime lettere di Iacopo Ortis, la Saffo e l'Erostrato del Verri, il Platone del Cuoco, I viaggi del Petrarca del Levati che vennero considerati da qualcuno 1 in relazione con le origini del romanzo storico, o come passi, or più or meno lunghi, fatti sulla strada che ad esso menava; è vero finalmente che della storia è facile trovarne in romanzi e novelle di tutti i tempi; ma è pur anche verissimo che se il romanzo storico propriamente detto incomincia con lo Scott e da esso procede, il primo che in Italia chiaramente accenni a mettersi per le vie tracciate da quello che subito fu chiamato l'Omero del romanzo storico, è il Bazzoni. Del Castello di Trezzo infatti un capitolo uscí nel Nuovo Ricoglitore del maggio 1826, prima che venissero a luce i romanzi della Palli, del Lancetti, del Varese e degli altri che seguirono.

Tra lo Scott e il Bazzoni c'è senza dubbio un abisso; ma nella grande disparità del valore, delle facoltà, degli spiriti, della tecnica è pur evidente la dipendenza dell' uno dall'altro; saltano agli occhi nell'opera del Bazzoni cento esteriori somiglianze e cento reminiscenze; e dove queste direttamente non appaiono, appare sempre benché oscurato dalla debole esecuzione concetto scottiano di ridurre i romanzi, anche nelle parti imaginarie, a grandi quadri storici, in cui si atteggino in piena luce non soli pochi personaggi illustri, ma molti altri personaggi mi

il

1 Cfr. G. AGNOLI, Gli albori del romanzo storico in Italia e i primi imitatori di Walter Scott, Piacenza, stab. d'arti grafiche G. Favari, 1896, p. 20 sgg.

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