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COMUNICAZIONI.

LA DATA DELL' IMPOSTORE DI CARLO GOLDONI.

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Se si volesse stare a quello che il Goldoni narra nelle sue Memorie,1 egli avrebbe composto l'Impostore nell'anno in cui, obbligato ad allontanarsi da Venezia per effetto degl' intrighi avuti col Capitano Raguseo, si recò a Bologna, e di lí a Rimini; e quest'anno sarebbe il 1741, secondo asserisce lui, o, giusta la correzione opportunamente proposta per questa data dal Belgrano e dal Loehner, il 1743. Ma già in uno scrittarello, venuto in luce tempo addietro, ebbi occasione di avvertire che il Goldoni è qui caduto in uno de' tanti errori che s'incontrano nella sua autobiografia. Ora mi piace di spiegar meglio la cosa, la quale non è forse del tutto senza importanza: se infatti la commedia fosse stata scritta proprio allora, poco dopo cioè la Donna di garbo, essa sarebbe degna di assai maggiore considerazione, rispetto almeno allo svolgimento e al progresso dell'opera goldoniana, che non se si avesse a riferirne la stesura, com'è mia opinione, a una diecina d'anni più tardi, quando ormai le idee innovatrici del Poeta avevano avuto agio di manifestarsi in un buon numero di composizioni teatrali.

E già è notevole che all' Impostore il Goldoni non accenni nella Premessa al tomo XVII della edizione Pasquali, in cui parla del Raguseo, della partenza da Venezia e de' successivi avvenimenti con maggiore esattezza cronologica che non nelle Memorie. E può inoltre sorprendere alquanto che non l'accogliesse già nella edizione del Bettinelli, fra le altre sue prime commedie, quali la Donna di garbo, I Due Gemelli, l'Uomo Prudente, la Vedova Scaltra, posteriori le tre ultime a quella di cui qui si ragiona; poiché la diede per la prima volta alla luce soltanto pe' tipi del Paperini in Firenze, nel 1754.3 Né si sa che la facesse mai recitare sui pubblici teatri, né allora (forse non sarebbe stato prudente) né poi, né a Venezia né altrove; anzi nella citata stampa fiorentina la presenta al lettore come non ancora sulle Scene rappresentata Non par credibile, in verità, che in quegli anni di

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1 Parte I, Cap. XLV.

2 La Donna di garbo di Carlo Goldoni. Noto, Zammit, 1899, p. 10, n. 3

3 Le Commedie del Dottore C. G. ecc., tomo VII, comm. XXXV. L'Impostore si trova eziandio nel tomo VIII della ediz. bettinelliana, uscito nel 1755; ma è evidentemente una copia della stampa del Paperini.

saggi informi piú che di drammi ben congegnati, trascurasse del tutto una simile commedia, pur non poco diversa da' precedenti abbozzi, per regolarità di forma, vivacità comica e schietta dipintura di personaggi storici e di fatti realmente accaduti. La notizia stessa che ne dà nelle Memorie è assai breve (lui che tanto si diffonde a parlare delle prime prove del suo genio comico) e non molto chiara, e non lascia intendere nemmeno se l'abbia spedita a' Gesuiti e se questi se ne sian giovati per divertimento de' loro alunni. Di piú, nell' Autore a chi legge, che serve di prefazione al primo tomo dell' edizione Bettinelli, dice che alla Donna di garbo seguirono I Due Gemelli Veneziani, l'Uomo Prudente, la Vedova Scaltra, e appresso altre ed altre ancora, ma non nomina punto l'Impostore.' E del pari, nella Lettera allo Stampatore che va avanti ai Due Gemelli, nello stesso primo volume del Bettinelli, dichiara: " Dopo la Commedia della Donna di garbo, tre anni stetti in trattenimento con Bartolo, Baldo, il Farinaccio, il Claro ecc., senza piú addimesticarmi con la Comica Musa Talia. Ma finalmente la lusinghiera ha saputo tirarmi a sé nuovamente, e frutto fu della riaperta pratica nostra la Commedia dei Due Gemelli ..........

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Tutto questo può già destare il sospetto che non sia gran fatto preciso il racconto delle Memorie; al quale poi si oppongono apertamente la dedicatoria e il proemio all' Impostore, pubblicato, ripeto, nel 1754. Nella lettera a Gasparo Gozzi, là dove dà la ragione dell'aver scritta una commedia senza donne, dopo aver menzionato le varie richieste de' Gesuiti perché inviasse loro qualcosa di suo, il Goldoni continua: "Resistei lungo tempo, ma non potei più farlo alle dolcissime insinuazioni del valorosissimo Padre Roberti nostro, che nei Collegi degnissimi di Bologna [nelle Memorie l'invito gli sarebbe venuto da Venezia] insegna con tanto profitto alla gioventú.... Assi· curarmi non posso, che questa tale Opera mia, a tal fine diretta, sia poi degna di essere dagli egregi Convittori rappresentata; ma se averd mancato per ragione della ignoranza mia, avrò almeno manifestato il rispettoso mio desiderio di corrispondere a chi ha per me una parzialità generosa....... Non par chiaro che qui dunque si tratta di una commedia non già fatta da un pezzo, ma distesa, per soddisfare ad una istanza recente, nel tempo che si stampava il volume, e della quale s'ignorava se sarebbe piaciuta? E ancor piú esplicitamente nell' Autore a chi legge, discorre della malattia di Bologna e della piú fiera ricaduta in Modena (ciò avveniva l'anno 1754 appunto),3 quindi del Raguseo, e finalmente: Ora dovrei dir qualche cosa intorno all'ordine della presente Commedia, ma questa volta faccio prima di essa il presente ragionamento, né so qual sia per riuscire. Se verrà bene, sarà l'unico frutto, che avrò ritratto dal mio gentilissimo Signor Colonnello; se mi riuscirà male, sarà un motivo per maledir nuovamente il suo nome. Sono questi i primi giorni, che io scrivo, dopo la malattia sofferta; la testa non

1 Così pure nell' ediz. Paperini, tomo I, pp. 16-17.

2 Questa Premessa si legge anche, con qualche modificazione, nel tomo IX dell' ediz. Paperini, pag. 93.

8 V. Memorie, Parte II, Cap. XXII.

è ancor tanto fortificata che basti, né posso lungamente applicare. Buon per me, che ora mi trovo in Modena....

Con ciò si ha insieme la soluzione de' quesiti che più su si son messi innanzi; e la cosa è detta in modo tale, che esclude anche il dubbio che il Goldoni scrivesse proprio nel 1743 l'Impostore, ma in parte soltanto, e poi, nel 1754, lo distendesse per intiero, riducendolo a miglior forma, come per esempio fece dell' Uomo di Mondo, del Prodigo e della Bancarotta.

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D'altro canto è facilmente spiegabile l'inesattezza in cui incorse il nostro autore. Siccome nell' Impostore egli volle ad ogni modo sfogare alquanto il suo dispetto, è naturale che, nelle Memorie, al ricordo del Signor Colonnello, facesse seguire il cenno a questa specie di vendetta che ne prese, dimentico affatto della cronologia. E vi poté essere spinto pure da una certa analogia delle cose occorsegli negli anni 1743 e 1754. Tutte e due le volte infatti egli partiva da Venezia; la prima, per le avventure replicatamente summentovate, delle quali era stato gran parte il fratello; la seconda, per guarire di certi umori, cagionati probabilmente, oltre che dalla stanchezza pe 'l soverchiante lavoro, anche dall' arrivo da Roma dello stesso fratello e de' figli di lui dopo dodici anni di completo silenzio: e si fermava dapprima a Bologna; donde, nel 1743, era sul punto di muovere verso Modena, e nel 1754 effettivamente vi si recava e vi cadeva malato.

Però mi pare si possa conchiudere, che non a Bologna e nel 1743, come vorrebbero le Memorie, fu scritto l'Impostore, ma a Modena e nel 1754, secondo ci dicono più credibili testimonianze.

ROSARIO BONFANTI.

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.

G. VOLPI. Rime di trecentisti minori con illustrazioni e facsimile. renze, Sansoni, 1907, di pag. VIII-269 in 16.o picc.

- Fi

Dopo il volumetto diamante messo insieme dal Carducci nel 1862, nel quale alle Rime di messer Cino seguivano quelle di altri del sec. XIV, e che fu la prima buona raccolta di poeti minori del Trecento, e dopo la copiosa scelta di Lirica italiana antica per opera della signorina E. Levi con illustrazioni artistiche e musicali, e che si estende fino al sec. XV (v. Ras-segna, XIII, 92), ecco questo elegante volumetto di Rime di trecentisti, curato dal prof. Volpi. Ma dal '62 ad ora molto si è studiato il Trecento, molti nomi nuovi, molti componimenti ignoti hanno arricchito la produzione poetica di cotesta età, e procedendo a una nuova scelta, che di quelle riferisse il meglio e ne illustrasse i diversi aspetti, non v'è più da lagnarsi di penuria, ma piuttosto di abbondanza. La lezione di molte poesie è più sicura, come anche l'attribuzione, spesso contestata o erronea di esse. V'era adunque adesso

il modo di far una nuova e buona collezione, e infatti il professor Volpi, con larga notizia della materia e costanza di criterj può ora offrirci il fiore della poesia del trecento, tolto da una quarantina di autori e rappresentato da quasi duecento componimenti, pur omettendo, per ragioni diverse, i canzonieri di Cino, del Boccaccio, dell' Angiolieri, del Bonichi. Forse taluno di cotesti antichi può lagnarsi di esser stato dimenticato, come ad esempio il lucchese Faitinelli e il trivigiano Niccolò de' Rossi ed altri : ma in una nuova edizione, il volume può crescer di mole, senza perdere il suo carattere, né diventare farraginoso.

Come che sia, in questo florilegio troviamo rappresentate, e ben rappresentate, la poesia erotica, la politica, l'ascetica, la forma aulica e la popolareggiante, e pur prevalendo di gran lunga i toscani, non mancano rimatori di varie parti d'Italia.

L'editore ha posto special cura alla lezione, e il più delle volte è ricorso a codici autorevoli, citati volta per volta. Non ha però voluto "aggravare il libro di facile erudizione, e si è pensatamente astenuto da ragguagli biografici e bibliografici, stimandoli soverchi per gli studiosi, mentre per gli altri anche il poco sarebbe sempre stato troppo. Sia pure; e visto anche il formato del volume, i lunghi commenti non sarebbero stati a lor luogo. Tuttavia qualche laconica postilla, in aggiunta alle poche stimate necessarie a confortar la lezione o a somministrar qualche schiarimento storico, avrebbe fatto piacere e comodo ad ogni sorta di lettori. Assai spesso, ad esempio nelle citazioni di raccolte a stampa, se ne riproduce il titolo, ma non se ne ricorda l'autore: perché non dire che il Saggio di Rime di IV poeti del sec. XIV è del Tommaseo, che le rime di Vannozzo edite nell' Arch. Storico lo furono dal Sagredo, che la Ballata sulla rotta di Montecatini fu messa a luce dal Giudici, e, meglio, dal Teza, e così via? Anche ci sarebbe parso opportuno accennare almeno, senza entrare in disquisizioni critiche che la Canzone alla Morte di Jacopo Cecchi fu da molti tenuta come di Dante; che quella contro la povertà fu dal Trucchi e poi dal Carducci prodotta col nome di Giotto; che il sonetto della Formica, relegato fra le poesie adespote, viene da tutti i codici attribuito ad Antonio Pucci. Tutte piccole notiziole, che oltre rendere, in certi casi, unicuique suum, possono riuscir utili, e in complesso non portavano se non poche righe di piú.

Ma queste inezie non tolgono nulla al merito del compilatore e al pregio dell'opera sua, alla quale auguriamo la fortuna che merita, e il raggiungi. mento del fine cui tende: di rendere, cioè, piú grata e piú nota la poesia dei nostri vecchi rimatori.

A. D'ANCONA.

MONTAIGNE.

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Journal de Voyage publié par L. Lautrey. 1906, di pag. 575, in 16.°

Paris, Hachette,

Quando nel 1889 io ristampavo coi tipi del Lapi di Città di Castello il giornale del Viaggio in Italia di Michele di Montaigne, mezzo francese e mezzo italiano, mezzo scritto dal suo segretario mezzo da lui stesso, pieno di belle osservazioni e ricco di notizie ma lasciato dall'autore allo stato di ricordi e appunti, ebbi in animo di illustrare con questo documento le condizioni della Penisola, e sopratutto il costume nella seconda metà del Cinquecento, come apparisce dal titolo che gli apposi: L'Italia alla fine del secolo XVI. Le mie note furono abbondanti e lunghe, e contentandomi di qualche accenno rapido ma al possibile sicuro quando si trattasse di fatti e personaggi francesi, raccolsi d'ogni parte ragguagli che illustrassero casi ed uomini italiani, formando come un commento perpetuo al testo. Rispetto al quale, seguii, con qualche emenda, quello del De Querlon, pur correggendo senz'altro, alcuni evidenti errori della parte italiana. Volli insomma porgere un contributo alla storia italiana di quel tempo, e credo di non esser andato troppo lontano da siffatto intento.

Una nuova edizione, con altre note e con accrescimenti nella Bibliografia dei viaggi di stranieri in Italia, si andava da me maturando, quando ecco apparire questa a cura del sig. Lautrey, destinata piú specialmente ai lettori francesi, ai quali presenta il lavoro del loro grande scrittore nella miglior forma, e con tutte quelle cure che si danno all'opera di un autore classico. Il manoscritto del Journal è perduto, e le cinque stampe fatte nel 1774 e '75 riproducono, certamente non bene, una lezione, che in parte è di mano di un cameriere, cui il Montaigne dettava, in parte è del Montaigne stesso, che confessava la propria fretta ed inesattezza ortografica; cosicché conveniva, come il nuovo editore ha fatto, scegliere il meglio nelle varianti di coteste edizioni, rettificare gli evidenti errori, e cosí ravvicinarsi alla forma piú comune del tempo e a quella più costante dello scrittore. Questa ricostruzione faticosa è stata compiuta dal sig. Lautrey adoperandovi attorno molto acume e molta diligenza; ponendo nel testo la lezione preferibile, e riferendo l'errata a pié di pagina; ma quando la correzione fosse dubbia, proponendola in nota. Notisi anche che essendo spesso infida la traduzione della parte italiana fatta dal Prunis, e stonando assolutamente col rimanente, essa è stata tradotta di nuovo dal sig. Lautrey, conformandosi al possibile allo stile dell'autore. Una Tavola finale non breve, raccoglie le varianti dell'antiche stampe. Salvo dunque il caso che si rinvenga il manoscritto originale, può dirsi che il testo del Journal è stabilmente fermato.

Per quello poi che spetta al Commento, indispensabile a qualsiasi edizione del testo, il nuovo editore ed illustratore, ha, per la parte italiana, riassunto le mie note, serbandone quanto può esser utile al lettore francese,

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