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mentre confessa egli stesso la sua lubrica vita, ed il suo trasporto per le danze, compagnia di giovani donzelle. Si ammala, e tocco dalla grazia del Signore, chiede il battesimo, e lo riceve ; quindi si dà intieramente alla pietà, visitando le tombe de' martiri, e nel resto del giorno si dedica allo studio delle sacre scritture, trascrivendo e facendo trascrivere per suo conto, da periti dell' arte i libri più distinti, ed in modo, che durante il suo soggiorno in Roma si procurò un' insigne biblioteca, che gli fu l'oggetto il più caro nel corso della

sua vita.

Dopo 10 anni circa di soggiorno in Roma , parte con Bonoso, tocca Aquileja, il giro delle Gallie, sempre in traccia degli uomini i più celebri, nonchè di codici accreditati. Nell' anno 368 si ritrova in Treveri, ascolta S. Ilario vescovo di quella città, e trascrive il libro del di lui Sinodo, ch'era in estimazione. Al principio dell' anno seguente 369 ritorna in Aquileja, e vi si ferma qualche tempo, trattenuto dalla santità e dottrina di Valerio vescovo di quella TOMO I.

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città, di Nepoziano, di Ruffino, di Eliodoro, di Fiorenzo, di Cromazio, di Giovidi Nicea, di Grisogono, ed altri celebri monaci, coi quali prende e rinnova stretta amicizia, e che nelle sue opere chiama Coro di Angeli. Risolve passare in Oriente, e con dolore si stacca da essi; parte però con Bonoso e Nicea; tocca di volo la patria, i cui costumi depravati egli ci ha tramandati (e). Bramoso di ritirarsi in un eremo, non trova opportuno luogo nel suolo natio, dicendo: monachum in sua patria perfectum esse non posse. Passa nell' Oriente, chiamato dalla fama di que' monaci, scorre la Tracia, il Ponto, la Bitinia, la Gallazia, la Cappadocia, la Cilicia, e come

(e) Nell'epistola a Crescenzio. In patria mea, rusticitatis vernacula Deus venter est, et in diem vivitur; et sanctior est, qui ditior est. Accessit huic patella, juxta tritum populi sermone proverbium, dignum operculum, LUPICINUS SACERDOS

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perforatam navem debitis gubernator regat, et cæcus cæcos ducat in foveam, talis sit rector, quales qui reguntur.

a naufrago gli si presenta fidissimo Siria.

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In questa peregrinazione visita con diligenza ciascun eremo, ascolta que' monaci, e rimane colpito dalla loro austerità e penitenza: varii di questi ne nomina, fra quali uno nella Siria, che per 30 anni chiuso in quel deserto, visse di solo pane di orzo ed acqua sporca, soggiungendo che quelli dell' Egitto lavoravano colle loro mani, non tanto per acquistarsi il vitto necessario, quam propter animæ salutem. Mosso da questi luminosi esempii passa in Antiochia, ascolta con piacere Apolinare di Laodicea, il quale non aveva peranco fatto scisma nella chiesa, e di lui concepisce grande stima. In questa città si unisce in stretta amicizia con Evagrio nobile e ricco prete della Calcide, il quale fu vescovo di Antiochia dopo la morte di S. Paolino. Finalmente nel deserto della Calcide, tra la Siria e l'Arabia, 30 miglia lungi da Antiochia, sceglie un luogo per suo eremo, presso Mironia, nel 372, e va a seppellirsi in quella solitudine co' suoi compagni, prestan

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dosi al lavoro per fuggire l'ozio, e procurarsi il vitto, senza essere di peso ad alcuno com' egli scrive a Marco Celedese prete della detta Calcide. Nihil alicui præripui; nihil otiosus accipio. Manu quotidie, et proprio labore quærimus cibum, scientes ab Apostolo scriptum esse: QUI AUTEM NON OPERATUR NON MANDUCET. Quali poi fossero i lavori, nei quali s'intrattenevano que' romiti, lo indica S. Girolamo nella lettera al monaco Rustico, cioè: tesser fiscelle di giunchi, far canestri di vimini, coltivare l'orticello, innestar alberi, far vasi da pecchie, far reti, e scriver libri, AF

FINCHÈ LA MANO FATICANDO SI GUADAGNI IL CIBO E L'ANIMO NELLA LEZIONE SI SAZJ: e

quale ne fosse il cibo lo indica nell'epistola a Paolino. Sit vilis, et vespertinus cibus. Qui Christum desiderat, et illo pane vescitur, non quærat magnopere, de quam pratiosis cibis stercus conficiat. Quidquid post gulam non sentitur, idem quod, et legumina. Colà scrive la vita di S. Paolo primo eremita, la dedica a Paolo di Con

cordia, e si occupa a tradurre varie opere dal greco.

A fronte però delle meditazioni, delle penitenze, dello studio indefesso, e dei lavori corporali, viene assalito dalle tentazioni; e Roma, secondo l' espressione di un antico autore, gli si affacciò alla mente, non già vittoriosa e trionfante, ma con tutte le delizie della corte e coi più bei volti delle dame, che vi avea vedute. Per distrarsi da tali pensieri, e consolarsi dell' involontario rammarico che provava, radoppia il digiuno, si percuote il petto, si dà alle preghiere, e si dedica a studiare la lingua ebraica con mirabile pazienza e instancabile applicazione, superando tutte le difficoltà, che gli sembravano insormontabili. Pervenne con questi mezzi all'intento d' instruirsi nell' ebraico, e vincere l'incentivo della lascivia. Egli stesso con sentimenti che toccano il cuore, ne rende conto nell'epistola a Rustico (f), ed in quella alla vergine Eustochio (g).

(f) Dum essem juvenis, et solitudinis me deserta

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