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infrequente ai nostri giorni, ed anzi spinta di troppo verso i ministri dell'altare dalla generale miscredenza. Basterà che noi siamo conscii in noi medesimi di purezza, e giustificati presso a Dio, per non far conto de' soghigni, delle macchinazioni, e della loquacità di qualche perverso.

Guai però se nel sacerdote o pastore in luogo di sognate calunnie, si avessero a scorgere reprobi fatti, e dannevol condotta!

CAPITOLO III.

MITRATI.

Scorrendo questo capitolo ci fermere

mo sopra i caratteri principali, e coglieremo brevemente quanto di più istruttivo ci si presenta.

In Gennaro da Pola patriarca di Aquileja, riscontriamo la bella ammonizione data allo stesso dal pontefice S. Leone, il quale gli fa osservare che le colpe degl' inferiori a nessuno sono più riferibili, che ai negligenti pastori: quia inferiorum ordinum culpæ ad nullos magis referendæ sunt, quam ad negligentes Rectores.

Quanto puote sulla pubblica opinione la scienza e la purità de' costumi, ci dimostra Cristoforo da Pola patriarca di Grado, il quale, essendo in discordia i tribu

ni della veneta repubblica, ridotta in angustie dai corsari, e dai longobardi, ed in pericolo di sfacello e rovina, bastò a salvarla il credito del patriarca Cristoforo, coll'eloquente parlata che fece in piena assemblea, per cui a voce generale, e con applauso universale, accettata la proposizione di abolire il governo tribunizio, e riporvi un capo col nome di duca, fu eletto Paolo Lucio Anafesto in primo doge di Venezia; sistema che salvò quella repubblica, e la sostenne gloriosa per dieci secoli posteriori, sino alla caduta seguìta ai nostri tempi.

Giovanni da Trieste pure patriarca di Grado c'istruirà che coi potenti perversi conviene usare somma prudenza, mentre a Giovanni costò la vita l' aver rinfacciato ai dogi Giovanni Galbajo padre, e Maurizio figlio le loro iniquità.

Il pacifico governo di una sede episcopale deve essere la principal cura di ogni

pastore, che prender non deve brighe e faccende nei politici affari de' governi, delle corti de' principi, per non essere il bersaglio di sinistre e disgustose vicende, come verificossi nel patriarca di Grado Fortunato da Trieste, il quale più volte scacciato dalla sede , passato in Francia alla corte di Carlo Magno, e di Lodovico Pio, non ha potuto che col favore del primo ricuperare la sede, temperare il disgusto dell' imperatore d'Oriente, e la dissapprovazione calmare della Santa Sede; e che finalmente esule in estera terra finì i suoi giorni a Roano di Francia.

Ci sarà utile a ponderare quanto sui

doveri e pesi dell' episcopato scrisse il pontefice Leone III a questo patriarca. Officium sacerdotis assumere, si interiori vigilantia perpendimus, plus est oneris quam honoris... ·Hoc itaque frater charissime considera, et locum quem adeptus es non ad requiem, sed ad laborem te suscepisse cognosse ;

e che l'esempio del pastore deve essere la guida del gregge, e la vita irreprensibile il preliminare della predicazione, lo stesso pontefice gli scrive con queste memorabili parole, e degne di essere sempre presenti alla mente di ogni prelato: Prædicationem tuam vita commendet, ipsa eis instructio, ipsa magistra sit, ad desiderium æternæ vitæ docente tuo viventes exemplo. . . . in his igitur studium adhibe, in hoc tota mentis intentione persiste quatenus dum tua prædicatione, atque imitatione hæc fuerint consecuta, tanto majora a Deo nostro recipias. Ed essendo esule in Francia il patriarca Fortunato, protetto da Carlo Magno, il detto pontefice gli scrisse, che come detto principe aveva cura dell' onore temporale del patriarca, così cura aver dovesse eziandio dell'anima sua, sua, affinchè per timore di quel Monarca meglio adempir ne dovesse il ministero. Et hoc vestro serenitati intim are curavi

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