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vediamo le cose come un tutto vivente, è nata dapprima in quel vasto risveglio dello spirito storico che si era operato sul declinare del secolo scorso, il secolo più antistorico che sia stato mai, specialmente in Germania, col risorgere della letteratura nazionale, e via via si è venuta svolgendo e determinando, nella prima metà del secolo, collo studio storico delle grandi letterature antiche, del diritto romano e germanico, della archeologia classica, col sorgere della linguistica e della mitologia comparata, e sotto l'impulso potente anche di dottrine filosofiche come l'idealismo assoluto, che, considerando lo spirito come storia, cooperava a rendere più piena e larga la comprensione della vita storica e delle sue leggi razionali.

Cosi dalle scienze storiche e sociali quest' abito. mentale si propagò via via nella prima metà del secolo alle scienze della natura, le quali al contatto di questa tendenza storica sempre più chiara nelle scienze dello spirito, divennero, secondo l'idea dell' Haeckel, una storia della natura. Onde il secolo nostro, che sembra così fidente nell' avvenire, e a cui le scienze fisiche aprono d'ora in ora in distese immense nuove regioni da percorrere, ha un invincibile sentimento che le nuove formino un tutto continuo con quelle già percorse; abbracciando tutto quasi in una vasta veduta storica delle cose, nella quale l'universo gli appare come un'immensa storia che cominciando dagli atomi primigenii termina nella storia dell'uomo.

Ma in questo avere le scienze morali la loro condizione intima nella vita storica, e nell' essere quindi l'opera ideale in esse non una conquista progressiva d'un vero esterno come nelle scienze fisiche, ma quasi un rifare intimo e riflesso di ciò che è opera nostra nei secoli, sta la ragione della profonda efficacia loro

1 Cfr. la prolusione citata, p. 12 ss.

sui metodi e le tendenze delle scienze della natura; e nella stessa indagine storica trova un valido appoggio quella assidua e severa revisione critica dei dati e dei processi delle scienze, da cui, come disse l'Helmholtz, la scienza non si sottrae impunemente, e che condusse un altro grande naturalista il Du Bois Reymond a riconoscere invece e determinare i limiti nella conoscenza nostra della natura.

Ora a questa tendenza critica e storica, che è la fisonomia originale della cultura scientifica moderna, non si sottrae nemmeno quell'ordine di fatti che sembrano i più ribelli ad ogni analisi critica, i fatti della vita religiosa. La scienza comparata e la storia delle religioni, da cui solo può uscire oggi una psicologia della coscienza religiosa o una filosofia della religione, è, si può dire, sorta ai dì nostri per un mirabile concorso di condizioni storiche; i rapidi progressi della filologia orientale e le grandi scoperte dell' archeologia egizio-asiatica da un lato, e il penetrare sempre più audace dello spirito critico e storico nei fatti della vita religiosa dall' altro; per un concorso, dunque, di nuovi fatti e di nuove idee. Ma poichè con nobile ardimento e con pari autorità ne discorse, or sono pochi anni, in questa stessa occasione solenne, un nostro chiaro collega, non è proposito mio tenervene parola. Io sarò pago se, prendendo a delinearvi in pochi tratti il fenomeno del Millenarismo nella storia della chiesa, riescirò a mostrarvi con un esempio particolare in qual modo la critica storica applica anche ai fenomeni religiosi il metodo scientifico; e indurrò in voi questa mia persuasione, che prova del vero rispetto

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Kerbaker, La Scienza delle Religioni, (Discorso inaugurale della R. Università di Napoli) 1882. Sui principî e sul metodo scientifico della scienza delle religioni cfr. anche Réville, Prolė. gomènes de l' hist. des Religions, 4 ed. 1886. Thiele, Manuel d'hist. des Religions, 3 ed. 1885.

verso la religione è lo studiarla colla libertà della scienza; la quale non odia nè adora, ma studia e spiega.

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Non tutti i popoli nella storia, sebbene ciascuno si voglia sollevare sull' altro e si attribuisca il privilegio di essere il popolo eletto, hanno virtù di trasmettere l'eredità della loro vita all' avvenire; ma solo quelli che hanno il possesso di un tesoro ideale, sia questo la religione, o l'arte, o la scienza, o il diritto. Nell'antichità due popoli principalmente poterono vantar questa loro prevalenza; quello che portava, come prodotto suo, la forma più pura dell' intuizione religiosa, l'altro che svolgeva la virtù creatrice del suo genio in una ricca e originale forma di cultura; il popolo giudaico, e il popolo greco. Due piccoli popoli, nei quali il ricco tesoro ideale che portavano in sè stessi generava il profondo sentimento della propria grandezza. Ambedue si difendono con gelosa cura da ogni elemento straniero, sebbene nel popolo d'Israele questa sia una tendenza primitiva, mentre il popolo ellenico, che dapprima in ogni forma della sua vita ideale aveva aperte le vie ai contatti della cultura orientale, come oggi si va sempre più riconoscendo, solo a poco a poco collo svolgersi della sua vita storica andò rilevando più chiara questa coscienza della sua egemonia sui barbari. Ma in questo loro isolamento produ cono qualche cosa che è destinato a varcare gli angusti confini della loro nazionalità; l'arte e la cultura da un lato, la religione dall'altro; due tesori destinati a divenir patrimonio di tutto il genere umano, a cui lo trasmettono per una specie di fecondazione ideale che

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E. Curtius, Die Hellenen und das Volk Israel, in Altherthum und Gegenwart, II, 1886, p. 3 ss.

non succede per l'uno e per l'altro se non quando la vena potente della loro vita politica nazionale va a perdersi nella grande corrente cosmopolitica, creata dalla conquista macedonica prima, e dalla conquista romana poi; quando il popolo greco entra in contatto colla civiltà romana da un lato e coll'oriente dall'altro, e quando il popolo giudaico s'incontra colla cultura occidentale in Alessandria. Muoiono politicamente, attratti in un'orbita più vasta, ma muoiono generando, vittime dalla loro grandezza, e lasciando eredità immortale.

Se non che nell'uno tutte le forze dello spirito, con una specie di concentrazione fanatica, s'appuntano ad una idea centrale, l' idea monoteistica; l'altro svolge pienamente tutte le potenze umane, attua in sè l'ideale della umanità. Schiller cantando da die Götter menschlicher noch waren, waren menschen göttlicher, ha detto una verità profonda. L'idea del divino in Israele è l'idea di trascendenza, nemica implacabile d'ogni forma estetica, d'ogni concretezza plastica, e l'uomo innanzi al divino incommensurabile, inaccessibile, non ha liberi moti, nè può affermare sè stesso, svolgendo armonicamente le virtù della sua natura; nell' altro il divino essendo vicino all'umano, tanto più l'umano si accosta al divino, quasi formassero, come canta Pindaro, una sola famiglia.

Ma quello che più profondamente distingue i due popoli eletti, è quella specie di prospettiva storica in cui essi vedono la loro vita nazionale, e collegata con questa la storia della umanità; la quale per l'uno ha il suo punto luminoso nel passato (l'età dell'oro) e dà origine a quella tendenza genealogica, che si rivela nella letteratura teogonica da Esiodo fino agli ultimi orfici, come nei primi sistemi filosofici che sono cosmogonie; per l'altro invece l'ha tutto in un punto dell'avvenire, che è la venuta messianica.

L'idea del Messia era un portato esclusivo di quello che direi il ritmo profetico-religioso della coscienza giudaica, la quale quasi consapevole della sua missione umana, porta il centro delle sue forze religiose dal passato in un avvenire che lo conduce come al di fuori di sè stesso, e le memorie cangia in speranze; che tanto più s' accendono quanto più il presente sembra via via smentire i vaticinii profetici. La forma in cui si esprime questa visione del futuro è la profezia; e dal Profetismo antico d' Israele era uscita, segno di tutte le speranze nazionali come la colonna di fuoco nel deserto, l'idea messianica. Un popolo, che dopo i giorni memorandi dell' esilio, aveva provato il duro servaggio persiano, poi quello dei Tolomei e dei Seleucidi, doveva naturalmente esser disposto a rivolgere le sue speranze in un avvenire, dove sarebbe stata restaurata la gloria dei tempi di David, e di Salomone, e Israele sarebbe stato ricollocato nell'antica grandezza. Estranea interamente all' Exateuco e ai libri storici del vecchio Testamento, l'idea messianica, comincia a disegnarsi appena in vaghi contorni in alcuni di quei Salmi (p. e. XXII, CII), che succedono alla decadenza politica d'Israele dopo la grande monarchia. La sventura desta sempre nelle anime grandi, delicati e generosi presentimenti. Ond'è che nella poesia dei grandi profeti, sorti tutti quasi sul decadere della grandezza giudaica, le idee messianiche si presentano già in una luce più viva e a contorni più determinati che nei Salmi. Fra i grandi profeti, Isaia aveva promesso ai figli d'Israele un liberatore, rampollo della stirpe di Iesse, che rialzerà il trono di David, ed inaugurerà un' era di gloria e di pace. Questo giorno del Signore si era creduto dapprima im

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1 Psalm. II., 2. XXVIII., 8. LXXXIV., 10. CXXXI., 17. CXXXII., 17.

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