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Onde se la storia è la riproduzione ideale di ciò che è fattura nostra nei secoli, tanto più l'opera sua è viva ed efficace quando si tratta di momenti storici o di nature che hanno maggior sostanza e valore spirituale delle altre. È necessaria allora una certa disposizione e quasi assonanza dell'anima di chi ricerca coll' oggetto suo, di un interessamento vivo e quasi d'un amore per questo, che però non diminuisca punto la serena indipendenza dello spirito, condizione suprema di ogni critica scientifica. Senza questo sentimento profondo della cosa, e nello stato di assoluta indifferenza, si può essere espositori diligenti di fatti, ma non si riescirà a penetrare nel fondo del proprio soggetto. Quello che nelle scienze fisiche sarebbe un impedimento, diviene invece condizione vitale nello studio di quei fatti storici che hanno soprattutto un valore morale e religioso decisivo per l'umanità; una speciale disposizione dell'animo, cioè, un sentimento profondo di quello che c'è di perenne, di vivente, di idealmente efficace in quel fatto o in quella persona, di quello che vale veramente quell'opera spirituale nella storia; e, nel caso nostro, di quello che del cristianesimo è divenuto sostanza della coscienza universale. Si potrebbe dire perciò che solo quello che si sente si può conoscere veramente nella storia umana; e potrebbero prendersi come canone di critica storica le parole che Paolo diceva di sè: « io sono greco coi greci, giudeo coi giudei »; le quali in un significato diverso dal primitivo potrebbero integrarsi con quello che Cristo diceva ai suoi apostoli; che solo l'avrebbero compreso coloro che lo avessero amato.

Codesta preparazione d'animo, che è una cosa ben diversa dalla preoccupazione religiosa, era in tutti i quattro biografi, da cui togliamo occasione; i quali, postisi a meditare la figura e l'opera sovranamente rigeneratrice di Gesù, attestano in vario modo d'aver sentito nella propria coscienza come fluire un'onda

fresca di vita, come spirare un alito salutare e purissimo d'idealità. « È per l'azione perenne di Gesù, di questo genio del bene, che Dio opera negli animi nostri,» dice il Delff (XV, s.), ed afferma d'essersi sentito come naturalmente sospinto dalle sue indagini sulla natura della religione, a studiare la religione di Gesù. Come lo storico inglese ha speso, secondo egli dice, << sette anni di continuo e severo lavoro » in un remoto villaggio dell'Inghilterra, interamente isolato da ogni rapporto sociale, alternando il suo studio colle occupazioni del suo ufficio ecclesiastico, e consacrando ogni giorno qualche << ora deliziosa » a questo studio fino quasi a dolersi che l'opera sua fosse compiuta, (Preface, p. XV), così il Bonghi, di mezzo al frastuono assordante della vita politica, augura che <«< come molte sono state le ore serene da lui passate nello scrivere di Cristo, così molte più e a molti più siano quelle, che si passino nel leggere ». Nello stesso modo all' eloquente domenicano francese, scrivendo la vita del Maestro, è sembrato che la sua bellezza, la sua dolcezza, la sua sapienza, la sua carità, la sua santità, la sua divinità raggiassero attraverso le sue parole, i suoi atti ed i suoi dolori ». E come il pastore inglese fa voti perchè l'opera possa, anche in piccola parte, trasfondere in altri la vita di colui che è vita della vita (Preface to the 2 edition), cosi il Padre Didon scrive: io vorrei che qualche cosa di lui, un soffio della sua anima e del suo spirito fosse passato in queste pagine. Io vorrei comunicare a tutti ciò ch' egli m' ha dato (Introd. p. 87) »>. Tutti dunque hanno, in vario modo, gustata l'idealità vivificatrice di questa grande solenne pagina della storia è della figura che ne è la luce, l'anima e la vita. Se fosse lecito usare, con ben diverso significato, una frase del quarto evangelio, si potrebbe dire che lo spirito di lui è passato sulle loro teste.

E così, in vario modo, consentono nel riconoscere la perenne efficacia dell'ideale primitivo di Gesù anche nel nostro tempo, e il bisogno di ricondurre la coscienza delle nazioni moderne ai principii del cristianesimo e a quella fonte viva di vita interiore che è la persona del suo fondatore. Nei primi giorni della Chiesa nascente lo spirito della nuova fede, di cui egli era stato il principio ed era sempre l'anima, riempiva la coscienza cristiana così che non si sentisse il bisogno di rappresentarsi la persona storica del Cristo: bastava il sentirne l'efficacia. Le lettere di Paolo, che sono i più antichi documenti della letteratura cristiana, non contengono che pochi accenni alla persona e alla vita di lui, e lo stesso è in generale della primitiva letteratura della chiesa. 1 Anche nelle Catacombe la figura di lui si nasconde nei simboli dell' agnello, della colomba, della vite, del buon pastore, della fontana d'acqua viva. E così per tutto il Medio evo non apparisce l'idea d'una vita di Gesù al di fuori dell'evangelio. Le stesse sacre rappresentazioni erano svolgimenti drammatici della narrazione evangelica, che mantenevano viva la fede, ma non eran dirette ad appagare un desiderio che vi fosse nei fedeli di conoscere da vicino la persona storica di Gesù. Oggi a destare e a eccitare quel desiderio concorrono lo spirito storico dei nostri tempi, e il bisogno di ravvivare le fonti più pure d'idealità morale che in mezzo a questa universale demolizione religiosa, si fa sentire, sebbene in modo naturalmente diverso, a tutte quelle menti elette che credono e sperano nelle aspirazioni veramente umane e più indelebili della coscienza e della società civile. Ond'è

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Una certa indipendenza dagli elementi biografici di Gesù, checchè ne dica ora il Barth, trasparisce dal luogo della II Corinti 5, 16. Pure questi elementi biografici nella lettera di Paolo sono stati diligentemente ricercati dal DRESCHER, Das Leben Jesu bei Paulus, Giessen 1900, e del Burton in The Biblical World, Jan. 1900.

che un razionalista come il Delff può affermare (p. XV), che la voce di Gesù risuona anche oggi viva nella coscienza e vi opera il suo spirito, e il Padre Didon scrivere, che il Cristo è lo spirito della Chiesa, la salute dei popoli moderni e dell'umanità: « che ricollegare a lui la coscienza d'un paese e 'd'un secolo, tentarlo soltanto, è un portare a questo secolo e a questo paese il più grande dei benefici» (Intr. p. 85).

Ora questo, a chi ben guardi, dimostra che una tale efficacia non deriva tanto da un concetto dogmatico di Gesù, quanto da un elemento universale e perenne che tutti riconoscono in lui; dall'essere egli, come Paolo lo chiamava (I. Cor. 15, 21) l'uomo della rigenerazione, o il capo d'ogni uomo. (Ib. 11, 3). I quattro evangelisti odierni, se mi si passa la parola, consentono nel riconoscere divina e la figura e l'opera di Gesù di Nazareth; ma ciascuno di essi ha, in un modo suo particolare e più o men consapevolmente obbedito, o fatte delle tacite concessioni alle esigenze scientifiche della critica storica, ai principii e ai metodi di essa; in quanto si applicano allo studio della vita religiosa nella storia. Il che non fa meraviglia. poichè la divinità dogmatica di Gesù è cosa di fede, non di scienza nè di storia. Questa non considera che la umanità di lui nei fatti della sua vita, nelle leggi naturali e umane delle manifestazioni sue. Anche chi crede all'origine soprannaturale di lui, e che in lui il verbo « sia divenuto carne », deve e può concedere che colla carne ei dovè prendere i limiti, le leggi, i modi della natura umana, e segnatamente muoversi nel giro delle idee del suo tempo e del suo popolo. Ora questo solo è soggetto di scienza, e senza un tal presupposto è impossibile ogni ricerca scientifica e ogni opera di critica storica. La scienza storica, come la scienza in generale, non è, di per sè, nè credente nè miscredente, nè apologetica nè polemica, ma obiettiva e libera; non adora nè

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odia, ma studia e spiega; indipendente da ogni presupposto dogmatico, come da ogni proposito di negazione. È avvenuto così che il Delff il quale, sebbene estraneo alle scuole teologiche, serba la libertà del razionalismo tedesco, e considerà Gesù « come un genio, come un eroe religioso e morale », aggiunge anche che quest'uomo geniale è « uno con Dio »; le sue parole sono anche parole di Dio; le sue opere, opere di Dio. Chi vede lui e lo conosce e lo intende, vede anche Dio e intuisce immediatamente come Dio vive in sè » (Vorr, XI), poichè in lui è la pienezza della rivelazione divina nella storia, mentre Dio si rivela oscuramente, sparsamente nella natura. Quindi l'origine di lui non è nella natura, nè fuori della natura, ma soprannaturale (ib. XIV). Dall'altra parte i tre biografi, più o meno esplicitamente credenti nella divinità di Gesù nel significato dogmatico, l' Edersheim, il Didon e il Bonghi, concedono nel fatto che le condizioni geografiche e storiche hanno esercitata un'azione innegabile sullo spirito e sull'opera di lui; più specialmente si ferma, con una sintesi larga, sulla preparazione storica dall'evangelio il primo; più si fermano a descrivere il quadro naturale sul cui fondo si rileva la figura di Gesù gli altri due, e segnatamente il Didon. Sebbene la vasta opera di quest'ultimo sia pensata e scritta in perfetta conformità coi principii dell'ortodossia cattolica, e sia presentata anzi ai credenti da una ufficiale approvazione dell'autorità ecclesiastica, tuttavia anch'egli non si è sottratto a quelle che sono le più alte, legittime, e intangibili esigenze scientifiche del nostro tempo; anch'egli riconosce e rispetta, nel fatto, i diritti della critica storica. Non solo talora, come quando parla delle tentazioni nel deserto, riconosce che « quegli che è stato proclamato da Dio stesso il figlio di Dio non sfuggiva alle condizioni dolorose dell'umanità » (I p. 158), ma soprattutto ha come voluto veder Gesù sulla faccia

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