Slike stranica
PDF
ePub

2

3

invece che ci fa questo scritto è che il suo autore non sia un vero proselito cristiano; ciò che del resto risponde al senso di ciò che di lui dice Eusebio.' Sembra che egli abbia prese le difese della nuova fede perchè negli scritti dei cristiani ha trovato degl' insegnamenti che sono più degli altri, « vicini alla verità»; e vi aggiunge anche « per quanto noi abbiamo compreso ». Perciò si astiene dall' esporre all' Imperatore le loro più riposte dottrine, 3 nè dice una parola sul profetismo e sui doni carismatici, sulle forme del culto e sulla liturgia cristiana. Giova anzi notare che parla dei cristiani sempre in terza persona, nè in tutto lo scritto s' incontra una espressione dalla quale possa apparire ch'egli consideri sè stesso come uno di loro. Ben altrimenti professa apertamente la sua fede Giustino il martire, colle libere e ardite parole onde apre la sua prima Apologia (1, I) - « All'imperatore Tito, Elio, Adriano Antonino il Pio, Cesare Augusto, a Verissimo suo figlio filosofo, a Lucio filosofo figlio di Cesare per natura e di Pio per adozione, amante di cultura, al sacro Senato e a tutto il popolo romano, per coloro che da tutto il genere umano sono odiati e perseguitati, io Giustino, figlio di Prisco figlio di Bacchio, di Flavia Neapoli, nella Siria di Palestina, uno di essi, questa orazione e supplicazione composi ». Chi scrive tali parole più tardi saprà dare la vita per la sua fede, e renderle col proprio sangue aperta e solenne testimonianza.

Anche gli altri caratteri interni di questa primitiva Apologia, se si paragona alle altre composte nella

1 EUSEB. Hist. Eccl. IV. 3,

stra religione ».

«

uomo fedele, seguace della no

2 XVI. As far as we have comprehended, we have understood that they only are nearer to the knowledge of the truth.

3 XVII. For as to what remains.... there are found in their other writings words wich are difficult to speech or that one should repeat them.

1

seconda metà del secolo, ci fanno sentire come in pochi decenni si fosse profondamente trasformato l'ambiente in cui cresceva la Chiesa. Uno dei motivi che ritorna costantemente nelle apologie del secondo secolo è il bisogno quasi inerente alla coscienza cristiana divenuta adulta, di mostrare che l'Ellenismo e il Giudaismo non sono che una preparazione storica alla rivelazione cristiana; che questa non è se non la continuazione e l'adempimento di una rivelazione divina cominciata già nella legge giudaica e nella filosofia ellenica; che il Cristianesimo, in una parola, c'era come latente prima di manifestarsi nella storia. Codesto concetto penetrava le prime apologie, secondo che attesta Tertulliano, e ci fanno fede quasi tutti gli apologisti da Giustino ed Arnobio, 2 come una risposta efficace all'accusa che si moveva al Cristianesimo, principalmente dagli scrittori pagani, di essere una nova religio e mancare perciò di quella maestà che a una religione viene dall' antichità sua; giacchè, dicevano, religiones eo sunt veriores, quo vetustatis auctoritate munitae sunt (Arnal. adv. Gent. II, 72). Ora nulla di tutto questo trasparisce ancora dalla ingenua apologia di Aristide, dove il politeismo e la cultura pagana è rappresentata come la negazione precisa del Cristianesimo, e questo mira a distinguersi, come antitesi risoluta, dal politeismo precedente. Il che è sorprendente se si pensa che l' apologista è Ateniese e filosofo. Paolo stesso, così aspro nemico della scienza pagana, parlando in Atene (Act. 17, 28) sembra abbia creduto necessario appellarsi alla testimonianza dei poeti e dei filosofi.

1 TERTULL. De testim. anim., 1.

2 Su questi caratteri comuni alle apologie cristiane si vedano, fra i più recenti, il lavoro dello SCHMITT, Die Apologie der drei ersten Jahrhunderte, Mainz, 1890, p. 35 n., e MACGREGOR, Studies in the history of chr. Apologetics, Edinburg, 1894.

Ma questo ateniese, filosofo, mentre ancora doveva echeggiare nell' Areopago la fiera parola dell' apostolo di Tarso, non sa o non vuole invocare l'antichità pagana a favore del Cristianesimo, e dove allude anzi alla filosofia greca, ne mostra disdegno (c. 13). Forse è un resto d'orgoglio nazionale che gli vieta di far servire la patria letteratura a vantaggio altrui; o piuttosto non è ancora incominciato quel lavoro di filtrazione delle idee greche che via via trasformò lo spirito della prima fede cristiana.1

2

Nè l'autore sente ancora il bisogno di difendere la fede e la Chiesa cristiana dai suoi nemici interni, come faranno fra poco gli scrittori cristiani. Nessun segno di eresia e di gnosticismo nel seno della nuova chiesa, ch'ei ci descrive; nessun accenno ad un principio di costituzione gerarchica, com'è già nella grande Apologia di Giustino, composta circa un ventennio dopo, o al bisogno di porre in luce l' innocuità politica e sociale della fede e della società cristiana. E soltanto una difesa morale della religione e dei costumi cristiani, animata ancora dalla fede viva nell' imminente ritorno di Cristo, come in molti scritti vicini all'età apostolica. L'apologista non adula l'impero, come farà Melitone di Sardi, ma poichè si rivolge a un Cesare Romano, nemmeno vede nello Stato l'incarnazione di Satana o dell' anticristo, come l'autore dell'Apoca

3

1 Su questo punto si veda, fra gli altri, il buon lavoro dell' HATCH, The Influence of Greek Ideas and usages upon the Cristian Church (Hibbert Lectures). London, 3a ed. 1891.

2 I limiti cronologici fra cui esita la critica sono l'a. 138 e il 150. A quest'ultima data, che a me par più probabile, sembra condurre un passo della prima Apologia, I, 46 su cui richiamò l'attenzione il VOLKMAR, Theolog. Jahrbucher, 1855, p. 234 ss. Su questa questione rimando del resto a DE OTTO Corpus Apologet. 1, 3a ed. Jena, 1875. AUBÉ ST. JUSTIN, philos. et martyr. 1875, p. 379. ENGELHARDT, Des Christenthum Justins. Erlanger, 1878.

3 Cfr. il mio scritto Le idee millenarie dei Cristiani nel loro svolgim. storico (Disc. inaug. della R. Univ. di Napoli), 1888.

[ocr errors]

lisse. Le ultime sue parole ricordano piuttosto la fine del discorso di Paolo all'Areopago (Act. 17, 30 s.). Lascia, egli dice all'Imperatore, che si accostino ad essi (ai Cristiani) tutti coloro che non conoscono Dio, e che ricevano quelle incorruttibili parole che sono tali dall'eternità; lascia che anticipino il terribile giudizio che deve venire da Gesù il Messia su tutto il genere umano (c. 17, lin. 32 Sir.).

[ocr errors]

E così tutti gli altri caratteri ci manifestano l'antichità del documento. Il costume dei primi Cristiani, ivi descritto, di provvedere ai bisogni dei poveri col digiuno, che incontriamo in un'altra antica scrittura cristiana, il Pastore d'Erma (Simil. V. 3); non già come precetto formale, ma come consuetudine di spontanea e libera carità; l'apparirvi non già un simbolo di fede, come ha creduto l' editore Harris, ma soltanto le prime linee del concetto cristologico. Gesù Cristo è il figlio di Dio disceso dal cielo, è il messaggio celeste che libera gli uomini dalla idolatria, riconducendoli all'adorazione dell'unico Dio; e scrivendo quasi nell'animo dei suoi fedeli i comandamenti della santità, vi risveglia una fede sicura nella resurrezione e nella futura immortalità. Questo testamento spirituale egli ha trasmesso ai dodici apostoli; ond'è il progenitore d'un popolo nuovo, in grazia del quale ancora sussiste il mondo,' e che parla non parola d'uomo, ma una parola divina; «e solo fra tutti gli altri cammina nella via della verità e della vita; quella via che conduce al regno eterno, annunziato da Cristo nella vita futura » (c. 16). La fede in Dio, la santità della vita, la speranza nel regno futuro costituiscono i capi saldi della nuova religione, e solo le appartiene chi crede

1 Questo curioso concetto d' Aristide (sir.) si ritrova poi in Giustino, Apol. I, 43. II, 7, e nell' Epistola a Diogneto, 6. Giova qui notare che nell'insieme la seconda apologia di Giustino è più vicina ad Aristide che la prima.

nel figlio di Dio e nella sua eredità consegnata e deposta nell' evangelio.

1

A chi guarda nel suo insieme questa antica apologia, appare facilmente che essa gravita, per così dire, su due punti principali; la professione aperta di monoteismo e la critica del paganesimo da un lato, la rappresentazione della vita e della società cristiana dall' altro. Ora questi due offrono diverso modo di confrontarla colla letteratura classica e cristiana contemporanea. Nella prima di queste due vie hanno già percorso buon tratto i due editori inglesi, l' Harris e il Robinson, ponendo in luce i molti punti di contatto della Apologia colla Dottrina dei XII apostoli, con Giustino, colle Recognizioni Clementine, con alcune parti degli Oracoli Sibillini, e segnatamente colla così detta Predicazione (Kerygma) di Pietro e l'Epistola a Diogneto. L'affinità della Apologia con queste due scritture è evidente e innegabile, e i raffronti si potrebbero anche, a parer nostro, moltiplicare, specialmente col quarto libro degli Oracoli Sibillini e coi frammenti dell' apologia di Melitone di Sardi. Ma non è questo il luogo di insistervi ulteriormente, nè di ricercare come questa larga critica del politeismo che comincia ad apparire in Aristide e si svolge sempre più nelle apologie posteriori, cospirasse con quel lavoro di demolizione religiosa che da Carneade, e forse già da Diagora di Melos fino a Luciano, aveva preparata nella coscienza pagana la via al monoteismo, rilevando le molte e curiose assonanze di alcuni dialoghi

1 Le ultime parole di questo capitolo (c. 15 greco; 2 sir.) << onde coloro che seguono colla giustizia questi insegnamenti si chiamano cristiani » ricordano il celebre passo di Giuseppe Flavio su Gesù Cristo (Antiq. 18, 3), la cui autenticità, tanto contestata, è stata difesa recentemente dal Müller Christus bei Josephus Flavius, Innsbruck, 1890.

2 Vedi i frammenti in HILGENFELD, Novum Testamentum extra Can., ed alt. IV. 1881, p. 56-58 e poi raccolti dal PREUSCHEN e da altri.

« PrethodnaNastavi »